Mentre nel mondo la terza guerra mondiale miete vittime e produce la più grande migrazione nella storia dell’umanità e l’Europa è ancora in piena crisi finanziaria, a Milano gli italiani celebrano il cibo. E lo fanno in un contesto tipicamente nostrano sullo sfondo di scandali, corruzione, speculazioni edilizie selvagge e così via.
Nella grande abbuffata milanese non potevano mancare i volti celebri, le star della moda e i politici di turno loro amici. Il tutto sotto la benedizione delle grandi multinazionali dell’alimentazione e del fast-food, dalla Coca Cola a McDonald. Persino Slow Food, un tempo simbolo della semplicità del mondo contadino, rischia di finire in questo tritacarne.
Ciononostante ci si meraviglia della contestazione – il No Expo – e degli scontri di piazza. Questa è una manifestazione contestatissima perché costosissima, uno spreco in un momento in cui i soldi servirebbero a ben altro. Lo stesso ragionamento ha alimentato la contestazione poche settimane fa nei confronti dell’apertura della nuova sede della Banca centrale europea. La celebrazione della grande abbuffata del cibo globale e la costruzione della nuova cattedrale della finanza europea sono completamente fuori luogo in un contesto di austerità dove ai pensionati europei sono state ridotte le pensioni, già da fame, ed i giovani sono destinati ad una vita magra da precari.
Queste contraddizioni sono frutto della polarizzazione sociale regalataci dall’economia neoliberista, da una parte ci sono le élite, inclusa quella del cibo, e i politici di turno che con loro si abbuffano, dall’atra parte c’è il resto della società, coloro che dovrebbero come tante formichine varcare i cancelli dell’Expo, per ammirare i tempi del cibo di paesi lontani.
A questo punto bisogna porsi alcune domande.
In un mondo globalizzato dove tutti sanno tutto degli altri, dove non esistono più misteri culinari e dove la cucina fusion ha portato in oriente cibi e spezie occidentali e viceversa, a che serve l’Expo del cibo? Anzi a che serve l’Expo come concetto di scoperta e scambio di innovazioni tra i popoli? Basta accendere uno smartphone per rendersi conto dell’inutilità di questi eventi, tutto ciò che desidero sapere o vedere è sempre a portata di mano e gratis ma se lo voglio acquistare o mangiare allora il portafoglio mi dice che non si può.
Seconda domanda: quante bocche avremmo potuto sfamare con i soldi spesi per questa vetrina di prodotti legati alla gastronomia, tutti privi di sorprese? E se questi soldi fossero stati risparmiati per combattere la fame nel mondo, oggi l’Italia e Milano avrebbero potuto usarli in Nepal per sfamare milioni di persone.
Certo i neoliberisti italiani obietterebbero che dar da mangiare ai terremotati nel Nepal non aumenta il Pil italiano mentre l’Expo…Tutta quella cementificazione intorno alla stazione Garibaldi, sostengono, ha fatto gravitare il valore degli immobili della zona, e poi c’è l’indotto del turismo, alberghi, ristoranti, taxi ecc. ecc., persino la corruzione fa bene al Pil, alla fine i soldi sono finiti nelle tasche di imprese italiane, non nelle pance dei poveri. Peccato che questa favola non sia a lieto fine. Gli alberghi a Milano non sono pieni, i ristoranti non traboccano e i prezzi degli appartamenti che si vendono sono sempre più bassi.
E quelle formichine umane che dovevano correre verso l’Expo non lo stanno facendo perché non hanno i soldi. Certo chi ci vuole credere a questa favola, chi ha bisogno di questa illusione, è libero di continuare a farlo.
Terza domanda: la riflessione sul cibo nel contesto del XXI secolo davvero non serve a nulla? E la risposta è si, certo che serve, ed è importante, ma va fatta in contesti completamente diversi.
A Verona il 1° maggio si è svolto un convegno organizzato dalle donne veronesi WE EXPO e dal MAG, un’iniziativa sociale attivissima sul territorio. Si è trattato di una sfida all’interno del carrozzone dell’Expo tutta femminile. E vi hanno partecipato anche contadine venete del movimento No Expo, aderenti al movimento mondiale Vía Campesina, che rappresenta 400 milioni di piccole aziende, che sin dall’inizio ha preso le distanze dall’Expo di Milano.
Mentre a Milano si beveva Coca-Cola e si mangiavano hamburger di McDonald, a Verona si è parlato della dieta occidentale che ci uccide e dei costi altissimi da questa prodotti in termini di salute pubblica e inquinamento del pianeta. Mentre a Milano si gustavano dolci di tutti i tipi, le contadine venete ci raccontavano come le multinazionali dell’agricoltura chimica hanno ridotto a tre le varietà di semi di granoturco. Chi il primo maggio degustava vini e prosecchi all’Expo non sapeva che i pesticidi di cui si serve l’agricoltura meccanicizzata stanno uccidendo le api, senza le quali il 40% della produzione agricola mondiale scomparirà. Nessuno a Milano ha conosciuto Maria Teresa Padovani, un’artista che con una donazione di poche decine di euro ha dato da mangiare a 187 bambini dello Zambia.
Fortunatamente lontano dai riflettori, dai volti celebri e dalla politica esiste un movimento mondiale che vuole riconquistare il diritto al cibo sano e sfamare così chi ha fame, per ascoltare la sua voce basta accedere alla rete, è facile, rapido, e non bisogna acquistare nessun biglietto d’ingresso.