9 aprile 2014: il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità della norma della legge 40 che vieta il ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi nei casi di infertilità assoluta.
8 Aprile 2014
il manifesto

Fecondare con un dono il divieto incostituzionale

di Bruno de Filippis

La legge 40, come molti ricor­dano, fu appro­vata in tutta fretta, omet­tendo di valu­tare oltre 300 emen­da­menti all’epoca pre­sen­tati e fu “blin­data” dalla mag­gio­ranza di allora, che mostrò com­pat­tezza, nel respin­gere ogni pro­po­sta di cor­re­zione o miglio­ra­mento, e volontà di per­ve­nire, senza modi­fi­che, all’approvazione del testo pre­di­spo­sto. Vero­si­mil­mente, se all’epoca fosse stata mostrata mag­giore dispo­ni­bi­lità al dia­logo, la legge non avrebbe suc­ces­si­va­mente con­se­guito il non invi­dia­bile pri­mato di essere tra quelle più spesso e per mag­gior numero di aspetti sot­to­po­sta al giu­di­zio della Corte Costi­tu­zio­nale, con ecce­zioni di con­tra­sto con i prin­cipi fon­da­men­tali della nostra Costituzione.

 

Subito dopo l’approvazione, la legge fu defi­ni­tiva «la più puni­tiva d’Europa», in quanto si occu­pava delle norme rela­tive alla pro­crea­zioni assi­stita con un’ottica pena­li­stica, invece che pro­mo­zio­nale e civile, non­ché creava una nutrita serie di nuove fat­ti­spe­cie penali, vale a dire faceva con­tem­po­ra­nea­mente nascere ipo­tesi di reato che prima non esi­ste­vano, desti­nate a punire i cit­ta­dini, i medici, i ricer­ca­tori ed i respon­sa­bili dei cen­tri che non si fos­sero atte­nuti alle sue dispo­si­zioni. Da quel momento molte cop­pie, pri­vate della pos­si­bi­lità di valersi dell’ausilio della scienza per rea­liz­zare il sogno di poter avere un figlio, si rivol­sero ai tri­bu­nali e, sia in sede giu­di­zia­ria, che ammi­ni­stra­tiva (deci­sioni dei Tar) furono sol­le­vate ecce­zioni di inco­sti­tu­zio­na­lità, che deter­mi­na­rono rimes­sione dei pro­ce­di­menti alla Corte Costituzionale.

 

L’apice di tale atti­vità di impu­gna­zione si ebbe il primo aprile del 2009, allor­ché la Con­sulta dichiarò l’illegittimità costi­tu­zio­nale dell’art. 14, comma 2, demo­lendo alcuni dei prin­cipi fon­da­men­tali della legge 40. Da quel momento, il numero di embrioni da impian­tare non fu più aprio­ri­sti­ca­mente deciso dalle norma, ma sta­bi­lito dal medico, sulla base della situa­zione cli­nica di cia­scuna paziente e, quindi, tenendo conto della sua salute, non­ché fu abo­lito l’obbligo di impianto, sem­pre e comun­que, degli embrioni for­mati, a pre­scin­dere dalle con­di­zioni fisi­che e psi­co­lo­gi­che della donna che doveva rice­verlo. Dive­nuto così pos­si­bile che alcuni embrioni fos­sero for­mati e non uti­liz­zati, si ammise la pos­si­bi­lità di una loro crioconservazione.

 

Nono­stante que­sto impor­tante risul­tato, che stra­vol­geva l’impianto ini­ziale della legge 40, la stessa con­ti­nuò ad essere diversa dalle ana­lo­ghe nor­ma­tive esi­stenti in molti altri Paesi euro­pei. Le con­te­sta­zioni, i ricorsi al giu­dice e le rimes­sioni alla Con­sulta pro­se­gui­rono, poi­ché molti cit­ta­dini con­ti­nua­vano a per­ce­pire un fon­da­men­tale distacco tra le pre­vi­sioni di legge e ciò che esse deter­mi­na­vano, da un alto, ed i diritti fon­da­men­tali della per­sona dell’altro. Poter avere dei figli, avere figli sani, essere in con­di­zione di eser­ci­tare come tutti gli altri i pro­pri diritti in una sfera per­so­na­lis­sima e deci­siva per la vita e la rea­liz­za­zione per­so­nale non è cosa cui si possa facil­mente rinunciare.

 

Dopo la bat­ta­glia giu­ri­dica per la dia­gnosi pre-impianto, neces­sa­ria per poter far nascere bam­bini sani, por­tata avanti dalle cop­pie por­ta­trici di malat­tie gene­ti­ca­mente tra­smis­si­bili e dalle asso­cia­zioni che le sosten­gono, bat­ta­glia che ha con­dotto all’importante risul­tato di ren­dere pos­si­bile que­sta inda­gine, prima vie­tata, la fecon­da­zione ete­ro­loga è dive­nuta la que­stione più rile­vante e mag­gior­mente al cen­tro del dibat­tito giu­ri­dico e sociale sulla legge 40 o si potrebbe dire, su quanto ancora di essa resta in piedi. Il Legi­sla­tore avrebbe infatti potuto inter­ve­nire ed anti­ci­pare ulte­riori pro­nunce di inco­sti­tu­zio­na­lità, ma non lo ha fatto, pre­fe­rendo lasciare alla Corte fun­zioni che avrebbe potuto riven­di­care per sé. Il divieto di fecon­da­zione ete­ro­loga è, tra i nume­rosi divieti posti dalla legge 40, uno dei più incom­pren­si­bili. Prima della legge, molti rite­ne­vano che paci­fi­ca­mente la coscienza sociale rite­nesse legit­timo il ricorso ad essa. La fecon­da­zione ete­ro­loga, infatti, si attua allor­ché una cop­pia, per poter pro­creare, ha biso­gno dell’intervento esterno di un dona­tore. Come nell’adozione i due geni­tori, con un atto d’amore, scel­gono di con­si­de­rare pro­prio figlio un bam­bino bio­lo­gi­ca­mente gene­rato da altri, così nell’eterologa uno solo dei due com­pie que­sta scelta ed il bam­bino che nascerà sarà figlio bio­lo­gico solo dell’altro, ma figlio for­te­mente voluto ed accet­tato da entrambi.

 

Si è detto che la fecon­da­zione ete­ro­loga deve essere vie­tata per­ché la gene­ra­zione può avve­nire solo all’interno del matri­mo­nio, ma que­sta tesi dif­fi­cil­mente può essere soste­nuta e non sem­bra che deb­bano essere spesi argo­menti per la sua con­fu­ta­zione, poi­ché gene­rare o meno un figlio all’interno di un rap­porto matri­mo­niale o meno non può che essere una scelta per­so­nale, non coer­ci­bile. Si è detto, altresì, che, vie­tando l’eterologa, lo Stato avrebbe “pro­tetto” i cit­ta­dini dalle riper­cus­sioni psi­co­lo­gi­che interne alla cop­pia, deri­vanti dal fatto che bio­lo­gi­ca­mente il figlio appar­tiene ad uno solo dei suoi com­po­nenti, ma que­sta tesi attri­bui­sce allo Stato un ruolo di “Grande Fra­tello” che for­tu­na­ta­mente non appar­tiene alla nostra cul­tura. Nep­pure può dirsi che la pro­crea­zione ete­ro­loga crei pro­blemi giu­ri­dici per l’attribuzione della pater­nità o mater­nità, poi­ché gli stessi sono stati altrove age­vol­mente risolti. Il divieto resta quindi immotivato.

 

Secondo il Tri­bu­nale di Milano, che ha sol­le­vato la que­stione di ille­git­ti­mità davanti alla Con­sulta, il divieto vio­le­rebbe più di un arti­colo della Costi­tu­zione, in ordine all’eguaglianza dei cit­ta­dini ed alla tutela del loro diritto alla geni­to­ria­lità ed alla salute fisica e psichica.

 

La Corte deci­derà que­sta mat­tina nel merito. Si auspica che que­sto divieto cada e che l’Italia si avvi­cini un po’ di più all’Europa della civiltà e dei diritti. A quando il pros­simo passo avanti per il defi­ni­tivo sman­tel­la­mento della legge 40?

(il manifesto – 8 aprile 2014)

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