6 Novembre 2012
il manifesto

Femministe gitane, Il Manifesto

Caterina Rea

 

“Siamo state zitte per troppo tempo, ora vogliamo essere il motore del cambiamento”. Dalla Spagna all’America latina, crescono i movimenti di donne rom. Che dimostrano la forte vitalità di un popolo vittima di pregiudizi e razzismo. E di un forte sessismo interno alla stessa comunità zingara. Ecco chi sono e quali sono le loro rivendicazioni in vista del secondo Congresso mondiale che si svolgerà a Helsinki
Esattamente un anno fa, alla fine ottobre del 2011, si è svolto a Granada, in Spagna, il Primo congresso mondiale delle donne gitane. Oltre duecento donne romanì erano arrivate nella città andalusa da mezzo mondo (Francia, Portogallo, Olanda, Grecia, Finlandia, Palestina, Colombia) per discutere della loro condizione e per affermare la volontà di lottare contro il sessismo interno, ma anche esterno, alla loro comunità, e contro il razzismo. Il prossimo Congresso mondiale si terrà tra un anno a Helsinki, in Finlandia. Tra gli organizzatori dell’evento figurano il Consiglio d’Europa, il governo finlandese e il Segretariato generale per la popolazione gitana del paese ospitante. Una prima riunione organizzativa si è tenuta qualche giorno a Bucarest per definire le linee-guida del convegno, i criteri di selezione e il numero delle partecipanti.
Qualcosa sta dunque cambiando nel mondo rom. Numerosi gruppi e associazioni militanti – in particolare di donne – stanno nascendo, in Spagna ma non solo, per rivendicare diritti e visibilità, per cercare di cambiare gli equilibri della loro comunità come dell’intera società.
Una delle opinioni – diciamo pure dei pregiudizi – più diffusi sul popolo rom è che si tratti di una realtà omogenea, tutta uguale e come tale statica e immutabile. Eppure non è così. Sappiamo che tutto ciò è proprio dei meccanismi di oppressione, di discriminazione, delle logiche razzializzanti e stigmatizzanti che creano un “altro” differente da sé, riducendolo a un blocco tutto omogeneo, identico e senza sfaccettature. Per il pensiero razzista (come per quello sessista e omofobico, del resto), i diversi sono tutti uguali, marcati da caratteri, qualità e comportamenti considerati come specifici e originari. Cosi, nel caso dei rom, tanto gli stereotipi romantici (popolo misterioso, folkloristico e orientale di musici e danzatrici) quanto gli stereotipi negativi (popolo di delinquenti, di ladri, che vive in sudice baraccopoli) pretendono di fissare una volta per tutte caratteri e comportamenti “naturali” di questo popolo.
Contro questi dffusi pregiudizi e contro questa logica persistente di stigmatizzazione e di discriminazione lottano i numerosi movimenti rom, oggi diffusi in molti paesi europei e latino-americani e attivissimi anche via internet, in particolare sui network sociali come Facebook, attraverso i quali possono entrare in contatto e scambiarsi facilmente messaggi. Sì, perché l’attivismo rom esiste, con le sue rivendicazioni: eguaglianza di diritti, lotta contro la romafobia e l’antigitanismo.
Il primo aspetto della loro battaglia consiste nella costituzione di gruppi e organizzazioni come soggetti attivi della militanza, nella costituzione cioè di un attivismo rom plurale e differenziato. In Spagna, esiste per esempio una giovane organizzazione che si chiama Ververipén1 – roms para la diversidad – che si batte per difendere e rendere visibile la diversità e l’eterogeneità (di scelte, posizioni, comportamenti… anche in materia di sessualità) interna alla comunità rom. Questi giovani lanciano una sfida alle loro comunità, cioè quella di riconoscere questa molteplicità che intimamente le attraversa, ma soprattutto alla società riduce il popolo rom a una realtà piatta e omogenea. “L’immagine che si trasmette da parte della società maggioritaria – leggiamo in un testo elaborato da Ververipén – è un’immagine piana, senza profondità, che tende a negarci un volto e una presenza umana; ci “cosificano” trasmettendo l’idea, conscia o inconscia, che siamo tutti più un problema che un gruppo umano, relegandoci, nella dimensione sociale, al ruolo di delinquenti, nella dimensione economica a quello di competitori e, nella dimensione culturale, al ruolo di esseri esotici, misteriosi e selvaggi”. Questi giovani vogliono far sentire la propria voce, anzi, ancor di più, come mi spiegano Demetrio e Kurro di Ververipén in uno scambio di e-mail, “agitare coscienze e generare nuove idee”.
Prova della ricchezza di prospettive e dell’effervescenza del nuovo attivismo rom è l’organizzazione di movimenti femministi che stanno costituendo una rete internazionale di donne romanis portatrici di un nuovo pensiero e di una pratica sociale e politica che lotta per creare nuovi spazi di cittadinanza. “Siamo state zitte per tanto tempo, ora vogliamo parlare di tutto”, afferma una di queste militanti femministe gitane. Vogliono rivendicare i loro spazi, dibattere su diritti umani, eguaglianza, partecipazione politica, sessualità, come ricorda Alexandrina Moura da Fonseca, che dirige l’associazione alicantina di donne romanis Arakerando.
Queste donne vogliono essere presenti e attive di fronte alle sfide del secolo XXI: lottare contro il sessismo e il machismo, sia che provengano dalla loro comunità che dal resto della società, e contro il diffuso razzismo antigitano che le relega a un ruolo subalterno. “Se la storia del popolo gitano è stata muta, le donne gitane sono state figure invisibili che non hanno mai avuto il diritto di esprimersi”, afferma Beatriz Carrillo de los Reyes, presidenta dell’associazione andalusa Fakali – donne gitane universitarie. Ma ora le cose stanno cambiando. “Ora è il nostro momento, dobbiamo rivendicare potere, stare nei centri di potere, essere lì”, aggiunge un’altra attivista. L’obiettivo principale di questi collettivi di donne è la lotta per la visibilità e l’idea che sono proprio loro, le donne romanis, a essere il “motore del cambiamento” in seno allo stesso popolo gitano.
Il femminismo gitano sta muovendo i suoi primi passi, ma in modo già fermo e deciso. Ecco le sue principali rivendicazioni, affermate nel Primo congresso delle donne gitane e ribadito dal comitato organizzatore della prossima conferenza mondiale: azione collettiva volta alla presa di coscienza, di responsabilità e di decisioni in materia di diritti sociali) delle donne romanis dentro e fuori la loro comunità; uguaglianza di genere; visibilità della loro condizione e promozione della comunità gitana; educazione e inserimento delle donne romanis nel mercato del lavoro; lotta contro il razzismo e affermazione della loro solidarietà con l’intero popolo rom; partecipazione politica, militanza e cittadinanza.
Secondo questa versione del femminismo, la rivendicazione dell’eguaglianza delle donne non è separabile dall’affermazione della propria condizione specifica di romnja, in quanto la discriminazione e la subalternità alle quali si oppongono è effetto congiunto dell’oppressione maschile e del razzismo. Di quest’ultimo, esse sono vittime tanto quanto gli uomini della loro comunità. “Le rivendicazioni delle donne gitane – si legge in un testo elaborato nel 2002 da un’associazione catalana in occasione di una giornata di discussione su questi temi – non vanno solo in senso femminista, ma chiedono il rispetto e l’uguaglianza per tutto il loro popolo. Le donne gitane non intendono il superamento delle loro diseguaglianze e della loro promozione senza la promozione del popolo gitano in generale” (Jornada Dona Gitana, 2002).
Forse i movimenti rom, e in particolare quelli delle donne, si stanno finalmente avviando a divenire i futuri (forse inattesi) protagonisti del dibattito politico, sociale e culturale del XXI secolo.

(il manifesto, 6 novembre 2012)

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