10 Settembre 2016

Fertility day. Una campagna sbagliata ma qualcosa va salvato

di Sara Gandini

Fertility day. Una campagna sbagliata ma qualcosa va salvato, sostiene la senologa Alberta Ferrari: «Ho cercato di capire se, buttata l’acqua sporca, ci fosse un neonato da salvare» perché il problema della tutela della fertilità esiste, scrive in “Il #FertilityDay nasce da un parto distocico. Ma va salvato”. E si chiede se la maternità sia un bene comune. Mi è sembrata una domanda interessante. Ma Nadia Riva su facebook (mi) provoca affermando che la maternità è «la più grande fregatura storica per le donne, e solo interrompendo il ciclo riproduttivo si potrà cominciare a ragionare in termini di libertà per le donne». E così mi sento trascinata da queste due femministe a ribadire che per me la maternità è stato uno dei modi per scoprire la libertà femminile. Ho ereditato da mia madre il desiderio di essere madre, forse proprio mentre mi allattava (e quanto piaceva anche a me allattare, soprattutto di notte, eravamo solo io e mia figlia…). Mi sembra di averlo sempre desiderato, anche vedendo come lei, donna libera e curiosa, separata e senza soldi, discuteva di politica e femminismo e si laureava a trentacinque anni mentre lavorava e cresceva i suoi figli. Erano gli anni ’70, tutto sembrava possibile. Anche l’onnipotenza materna, certo. Ma pure mio padre, un intellettuale con grande passione per la politica, mi diceva che i figli erano stati la cosa più bella della sua vita, nonostante la sua depressione. Oggi grazie al femminismo anche i padri scoprono quanto sia bello fare i padri, ed è sempre più possibile essere madri e professioniste, fare politica, godersi le amiche, e ballare pure il tango. Certo, c’è sempre il rischio dell’onnipotenza femminile, bisogna fare attenzione. Ma diciamolo, le donne sono potenti. La relazione con mia figlia è stata una delle esperienze che più mi ha messo in discussione, lei ha messo al mondo la Sara che sono ora. Un’esperienza anche dura, ma profondamente intensa e sempre diversa, che mi obbliga a pensare chi sono e cosa voglio essere. Aggiungo che il neoliberismo e l’emancipazione intesa come adeguamento al modello di vita maschile, tutto dedicato alla ricerca di successo, denaro e potere, possono essere una gabbia anche per le donne, fin dentro la maternità, facendo perdere di vista una grande esperienza di vita che gli uomini ci invidiano. So di non essere la sola con un vissuto o un desiderio simile al mio, fortunatamente; penso ad altre femministe della mia generazione. Alla Libreria delle donne di Milano abbiamo parlato del “doppio sì”. C’è chi mi provoca affermando che non si può più chiedere eroismo alle donne, ma non si tratta di eroismo, rispondo io, si tratta di femminismo, che permette di lavorare sul proprio desiderio, con tutte le sue contraddizioni, e di puntare sulle relazioni fra donne in primis, oltre che sui nuovi padri.

Scambio avvenuto su Facebook a commento del precedente testo:

Alice D’Alessio
Mi hai fatto quasi venire voglia di figliare! Per me 32enne le donne come te sono fonte inesauribile di esempio. Io non sono stata una buona figlia, odio mia madre e temo farei un gran casino a riprodurmi. Tutto qui.

Marcella De Carli

Terra terra: io ho avuto un desiderio fortissimo di un figlio e la gravidanza, il parto e la maternità mi hanno rimessa in contatto con una parte di me che è quanto di più lontano da tutto ciò che mi sono sentita imposta nella vita. È stata una faccenda mia, fortissima, mi sono scoperta una potenza che non sapevo (più) di avere. Anche solo affrontare il cambiamento del corpo, il dolore (immane, indicibile) del parto, la passione dell’allattamento (mi è piaciuto tantissimo allattare, ma proprio tantissimo. Non a caso l’allattamento è una di quelle cose su cui il mio ex marito ha tentato di mettere becco. E purtroppo ci è anche riuscito).

Nella maternità ho scoperto di nuovo l’amore gratis, quello che non ha richieste, quello per il quale vuoi sinceramente il bene. E basta.
Che tutto questo mi abbia reso una persona migliore è un dato di fatto.
Io ne avevo la voglia e il bisogno. Era il mio desiderio. Poi, inutile negarlo, il desiderio di una figlia femmina (che è arrivata come terza) si è insinuato dentro di me fortissimo. Questo legame, che ho ricercato senza ammetterlo alla mia ragione, mi ha dato un senso che ho colto solo il giorno in cui ho saputo di aspettare una bambina.
In questo senso i figli mi hanno rimesso al mondo.
Non so quanto fossi libera. Io penso di esserlo stata.

Alberta Ferrari

È una specie di seduta di autocoscienza ;)? Allora do il mio contributo. Orfana di padre prima di nascere, a 6 anni un patrigno psicotico-patriarcale, infanzia/adolescenza di merda senza figure maschili di riferimento positive e forti. L’ho pagata con molte scelte sbagliate nella vita sentimentale adulta e una fragilità che permane e ho accettato. La svolta è arrivata con la maternità. Con il mio unico figlio maschio ho ritrovato suo padre (ha qualcosa di lui), la serenità e un senso di compiutezza affettiva mai avuta. Mio figlio è il maschio che non ho mai avuto. Lui mi riconcilia con una ferita non rimarginabile. Lui… l’ho fatto io. È espressione vivente del potere di vita e autoguarigone delle donne. Di gran lunga la mia esperienza affettiva più profonda.

Nadia Riva
Non so bene ancora perché ma certo mi prendete dentro di brutto. Quindi cuccatevi questa. Ho fatto i conti da sempre con un padre seduttivo e gran seduttore. Ho imparato da subito a non cascarci, il suo disprezzo per mia madre – con me violenta – e mia sorella mi ha da subito fatto mettere dalla loro parte. Sono cresciuta a suon di lividi. Non sono diventata una serial killer ma ho dovuto aprire un intero Cicip&Ciciap per cercare di diluire quello che ho sempre sentito come un forte torto fatto alle donne. Il separatismo politico mi ha salvato la vita, il confronto continuo esclusivo con le donne ha segnato il limite tra un’esistenza che non si accontentava e un essere nel mondo a tempo pieno, con il mio essere donna senza ruoli prestabiliti, che mi avrebbero riportato nell’inferno di definizioni, figlia? madre? Quale implacabile condanna mi voleva inchiodare, quale via di fuga se non la consapevolezza di essere io, intera e solo con altre, quale grandiosa incolpevole innocenza mi stavo regalando liberandomi. Due elementi fondamentali hanno potenziato la mia percezione delle cose del mondo e la mia continua attenzione, anche ai particolari più impalpabili: 30 anni di onorato separatismo politico, appunto, e un mese in cella d’isolamento qualche tempo fa. Non una penna, non un foglio, né un giornale. È stata un’esperienza tremenda ma quasi mistica. Ho imparato a osservare lo spicchio di cielo tra le sbarre, a respirarne l’odore. Ogni particolare della cella due per tre e ogni giorno ricostruivo paesaggi inesistenti, inesplorati per cielo per terra e per mare, ne percepivo i profumi. Ne sono uscita barcollando, ogni particolare diventava un viaggio, parlare, sfogliare un libro, sfiorare una mano, emozioni profonde, inesauribili, la percezione delle cose un canto incantato. Per “fortuna”, prima di essere scarcerata ho passato altri due mesi in carcere, in una situazione che paradossalmente mi proteggeva perché ero con altre donne, detenute, storie forti, selvagge, senza sconti e lì dentro non puoi raccontarti palle, vale ciò che sei davvero, senza ambiguità, senza fronzoli, i tuoi sensi continuamente all’erta in tanta umanità fragile e potente. Ho imparato a piangere – non l’avevo mai fatto, non me l’ero mai permesso – ma non per autocommiserazione flanellosa ed egocentrica ma per l’emozione della sintonia con altre. Lì, in quel luogo, rinchiuse, ho provato momenti di libertà infinita, che nessun muro, cancello, nessuna sbarra poteva togliermi, in quel mondo inaspettato ho sentito di venire davvero al mondo come di venire partorita collettivamente, come partorendo un sogno lacerante di libertà. Non so che cosa mi è successo ma con voi care Sara e Alberta, con questa menata del materno mi si è scoperchiata qualche tomba e piena di riconoscenza e amore mi dileguo nella notte con il mio giubbotto di pelle d’oca. Domani, incontrandovi, fingerò di non conoscervi.

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