2 Giugno 2016
Corriere della Sera

I centri per le donne lasciati senza fondi

di Luisa Pronzato ed Elena Tebano

La legge dà i finanziamenti, poi la burocrazia li blocca
Ecco perché le strutture di assistenza stanno chiudendo una dopo l’altra

Il 23 giugno ha chiuso Casa Fiorinda, l’unico rifugio per donne maltrattate di Napoli. Tre giorni prima aveva serrato le porte il Centro antiviolenza Le Onde di Palermo, che adesso riesce a garantire solo l’ascolto telefonico. Il 26 giugno è toccato a Sos Donna H24, lo sportello del Comune di Roma che prendeva in carico 24 ore su 24 le vittime di abusi. Lo stesso potrebbe succedere il 30 luglio, sempre a Roma, al centro Colasanti-Lopez. A Pisa quello gestito dalla Casa della Donna ha dovuto limitare drasticamente i servizi, dopo un taglio del 30% ai fondi. Come Arezzo: ridotto il servizio di ascolto e di reperibilità, chiusa una casa rifugio. Nel 2013 quando fu approvata la legge sul femminicidio, non c’era partito politico che non avesse speso parole pesanti sulla necessità di combattere la violenza sulle donne. Tre anni dopo tanti dei 75 centri della rete nazionale Dire sono in difficoltà per mancanza di soldi.

Colpa di un sistema di assegnazione che ha portato molti dei finanziamenti di quella norma a perdersi nelle maglie della burocrazia. «I fondi per il 2015 e il 2016, circa 9 milioni all’anno stanziati con la legge di stabilità, non sono ancora stati erogati: stiamo aspettando la Conferenza Stato-Regioni che decida come ripartirli. Non si sa quando» dice Rossana Scaricabarozzi, di ActionAid Italia. Ci sono quelli per il biennio 2013/2014: 16,5 milioni di euro per tutte le regioni.

La legge del 2013 stabiliva che solo il 20% (circa cinquemila euro l’anno per ogni centro antiviolenza e seimila per le case rifugio) andasse ai centri, gli altri venivano girati alle Regioni che potevano destinarli a progetti diversi: dalle strutture, ai progetti educativi, ai consultori generici. «In Lombardia la Regione li ha messi a bilancio, eppure ai centri antiviolenza quei soldi non sono mai arrivati», denuncia Manuela Ulivi della Casa delle donne maltrattate di Milano.  Non è l’unico caso.

Come è possibile? Al momento nessuno lo sa.

«Come governo, stiamo verificando con le regioni l’utilizzo dei fondi loro assegnati – dice la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Sesa Amici -. E l’8 marzo abbiamo emanato un bando diretto a finanziare le azioni di rete dei centri antiviolenza, impegnando 12 milioni di euro». A seguire i soldi ci ha provato la Rete Dire. «Abbiamo visto che molto spesso non c’è trasparenza e i fondi non arrivano a destinazione – spiega la Presidente Titti Carrano -. La scelta di regionalizzare ha prodotto problemi di burocrazia e mancanza di condivisione».

Non tutti le difficolta sono legate alla legge sul femminicidio. A Roma i servizi chiusi dovevano essere finanziati con bandi comunali, ma l’amministrazione commissariata ha deciso di non emanarne finché non ci saranno le direttive per il nuovo decreto legislativo sugli appalti pubblici. A Palermo ci sono stati errori, rinvii e ricorsi sul bando del Comune. A Napoli un rimbalzo di responsabilità tra Comune e Regione che attende dal governo i fondi delle politiche sociali. Il problema però è simile: «I centri vanno avanti di progetto in progetto – dice Giovanna Zitiello della Casa della Donna di Pisa -. Passiamo quasi più tempo a fare bandi e cercare soldi che ad aiutare le donne». Si vince la gara, dopo sei mesi o un anno si ricomincia da capo. Non c’è un sistema unico in cui le strutture a che funzionano e hanno i giusti requisiti possano ricevere fondi con continuità. «Manca una seria programmazione nazionale sui servizi – riassume Tania Castellaccio di Casa Fiorinda -. Governo, regioni ed enti locali danno giustificazioni diverse, ma per me che opero contro la violenza il risultato non cambia. Poi è inutile indignarsi quando una donna viene uccisa a colpi d’ascia o una ragazza bruciata».

(Corriere della Sera, 2 luglio 2016)

Print Friendly, PDF & Email