5 Dicembre 2013
Il Quotidiano della Calabria

Le spiegazioni che Carolina ci deve

di Franca Fortunato

 

Dolore, smarrimento, incredulità sono i sentimenti che mi hanno stretta in una morsa alla notizia dell’arresto di Carolina Girasole. Ho sentito il vuoto di parole dentro di me. Non riuscivo a dire a me stessa se non «non è possibile», «non può essere vero». Poi ho letto i giornali e la cronaca giudiziaria. A quel punto ho deciso di scrivere questa che vuole essere una lettera aperta, da parte di una donna che, pur non avendola mai conosciuta personalmente, ha sempre scritto e parlato di lei, non come simbolo dell’anti ’ndrangheta (i simboli non appartengono alla storia delle donne), ma semplicemente come una donna tra le tante che, giorno dopo giorno, lottano, anche in questa terra, per poter affermare la propria libertà e riappropriarsi della propria vita. Lei aveva scelto di affermare il suo desiderio di donna stando nelle istituzioni, come le altre sindache con cui ha stretto una relazione politica forte, in nome della buona politica e della buona amministrazione.

«Carolina Girasole è una delle tante donne che stanno dimostrando che anche in Calabria è possibile la buona politica e la buona amministrazione, lontane dal malaffare e dalla complicità mafiosa. La sua esperienza, come quella che stanno portando avanti altre donne quali Maria Carmela Lanzetta, Annamaria Cardamone, Elisabetta Tripodi ed altre, presentate in modo riduttivo dai mass media come “sindache anti ’ndrangheta”, credo che ci parli innanzitutto di passione politica, di amore per il proprio paese e la propria terra, che è amore per la madre, di desiderio libero femminile di amministrare con trasparenza e correttezza. La ’ndrangheta non ama la buona politica e la buona amministrazione. Ecco perché ha combattuto Carolina e combatte le altre, cerca di fermarle con violenze e intimidazioni. Chiamare Carolina Girasole e le altre “sindache anti ’ndrangheta” non rende giustizia al senso libero della loro differenza, ingabbiandole in un immaginario massmediatico che vuole la Calabria terra di ’ndrangheta e anti ’ndrangheta. Carolina come Giuseppina (Pesce) e le altre sono donne accomunate non dalla lotta alla ’ndrangheta ma dal desiderio di libertà per sé, per i propri figli e figlie e per la Calabria tutta. E gli uomini di ’ndrangheta le combattono, innanzitutto per tutto questo. Non so se Carolina sarà rieletta sindaca e se Giuseppina riuscirà a ricostruirsi una vita, dopo aver pagato il suo debito con la giustizia, ma stiano sicure che niente e nessuno potrà cancellare il valore delle loro scelte con cui hanno segnato questa terra.» Così scrivevo su questo giornale appena qualche mese fa, prima delle elezioni amministrative a Isola Capo Rizzuto, rispondendo a un editoriale del direttore Matteo Cosenza che generosamente ringraziava Carolina e Giuseppina Pesce, per la «speranza di cambiamento» che rappresentavano per la Calabria. Per anni, il nome di Carolina Girasole l’ho portato in giro tra le donne di tutta Italia e nelle aule scolastiche, tra le mie alunne, come testimonianza di una realtà femminile che è già cambiata e sta cambiando la Calabria. In nome di tutto questo chiedo pubblicamente a Carolina Girasole di dire chi è veramente e come è arrivata ad amministrare il Comune. Smentisca tutto quello che ho scritto su di lei. Ogni donna che sceglie di entrare nelle istituzioni, che lo sappia o meno, deve rendere e rende sempre conto alle altre donne di quello che fa, di come agisce e di come si rapporta a uomini e donne in quei luoghi. Carolina deve rendere conto, del suo operato e delle accuse che le vengono mosse dai magistrati, a tutte le donne come me, che hanno creduto e credono ancora in lei. Aspetto, pertanto, che lo faccia con una lettera pubblica alle donne calabresi.

(Il Quotidiano della Calabria, 5.12.2013)

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