di Benedetto Vecchi
Ippolita è uno dei gruppi di mediattivisti più interessanti apparso sulla «scena italiana». Per prima cosa, è un gruppo anche teorico transdisciplinare. Vede al suo interno la presenza di antropologi, filosofi, programmatori di computer, che non condividono la loro conoscenza, con la consapevolezza di mettere a fuoco e superare i limiti della propria disciplina e competenza «professionale». Tutti provengono da esperienze di movimento, in particolar modo da quella variagata area che è solito qualificare come libertaria.
Infine, Ippolita esercita sempre uno sguardo critico sulla vita dentro e fuori lo schermo, cercando di passare in rassegna corpus teorici sia mainstream che variamente critici verso le relazioni sociali dentro Internet. È espressione cioè di quell’attitudine hacker che vuole aprire la «scatola nera» della tecnologia: punta alla condivisione della conoscenza come momento fondante di «comunità» di liberi ed eguali che assegnano tuttavia alla diversità un valore fondante di pratiche sociali e di stili di vita orgogliosamente oppositive allo status quo.
Fa dunque piacere vedere pubblicato il loro ultimo lavoro che punta a destrutturare il luogo comune sulla Rete come regno della libertà e della democrazia. Il libro, edito da Laterza, è programmatico sin dal titolo (La Rete è libera e democratica. Falso). Pubblicato rigorosamente con una licenza Creative Commons (ma se si leggono le norme della licenza ci si accorge che è copyleft, cioè ostile a qualsiasi logica proprietaria), prende in esame tutti i luoghi comuni che in questi anni hanno accompagnato lo sviluppo di Internet e riesce a mettere in evidenza come dentro la Rete siano all’opera precise strategie di controllo sociale. E come la comunicazione on line sia sempre più un settore economico dove lo scambio di informazioni, le manifestazioni di uno stile di vita, la comunicazione sans phrase siano diventati il contesto in cui precise strategie imprenditoriali tendono all’espropriazione e alla trasformazione in attività produttiva di quella cooperazione sociale presente dentro e fuori il web.
La prima parte del volume presenta, in forma sintetica, i risultati di una produzione teorica critica precedentemente svolta e articolata nei volumi Open non è free, Luci e ombre di Google e Nell’acquario di Facebook (per acquistarli il modo migliore è andare nel sito di Ippolita: www.ippolita.net).
Anche questi libri programmatici sono tesi a svelare aspetti che la cultura mainstream tende ad occultare. Il primo è, infatti, una critica del mondo open source, nel quale la produzione di software non vincolata rigidamente alla proprietà intellettuale è una scelta che ha favorito la torsione capitalistica di Internet; il secondo volume ha come oggetto polemico il motore di ricerca di Google — che lungi dall’essere uno strumento «oggettivo» nelle ricerche sulla Rete — risponde a criteri anch’essi economici: Google, infatti, ha il suo business nella vendita di spazi pubblicitari e i risultati delle ricerche mettono in evidenza soprattutto i siti degli inserzionisti pubblicitari.
Ippolita avverte anche che i risultati sono sempre rispettosi dello status quo, e che tra un sito di un’impresa alimentare e un sito di un rigoroso movimento sociale che denuncia il complesso agricolo-alimentare viene privilegiato sempre quello dell’impresa. Nell’acquario di Facebook la critica, invece, ha due obiettivi distinti ma interdipendenti. Da una parte, l’idea del social network come neutro strumento della comunicazione che abbatte le barriere e i pregiudizi. Ippolita sostiene, a ragione, che Facebook promuova la comunicazione tra simili, favorendo la formazione di comunità identitarie che non tollerano la diversità al proprio interno. Inoltre, il social network di Mark Zuckeberg assembla, elabora i profili individuali per poi venderli come aggregati di dati. In altri termini, Facebook è il prototipo di un Big Data, dove l’espropriazione e la privatizzazione di ciò che è comune (la comunicazione) ha raggiunto la sua «maturità». Il tutto all’insegna di una retorica sulla libertà individuale che si è soliti chiamare come «anarco-capitalismo».
In questo La rete è libera e democratica. Falso vengono analizzati altri aspetti della nuova forma di capitalismo. Il controllo sociale, la tendenza a una balcanizzazione della Rete, dove lo Stato nazionale tende ad esercitare un potere di controllo e governo, come testimoniano i casi di spionaggio da parte della Nsa o la censura sistematica esercitata da alcuni governi nazionali (Cina, Iran, Russia, solo per citarne alcuni). C’è da dire però che questa tensione ad istituire una società del controllo – Gilles Deleuze, Michel Foucault, David Graeber e l’ultimo Nicos Poulantzas sono riferimenti teorici ricorrenti – riguarda anche paesi democratici.
Gli Stati Uniti, come la Germania e, ad esempio l’Italia, come documentano le rivelazioni delle attività di spionaggio di Vodaphone, non sono secondi a nessuno nel monitoraggio della Rete in nome della sicurezza nazionale. Allo stesso tempo, Ippolita concentra l’attenzione su quella sorta di «pornografia delle emozioni» (i like apposti sui social network, così come l’incentivo a uno sguardo voyeuristico sui «post» inviati su Facebook, Instagram, Ask) che tende a ridurre ulteriormente a merce proprio le emozioni. Tutto ciò, non fa che annullare ogni velleità di considerare la Rete come fosse un medium democratico. Internet induce sempre a una partecipazione passiva, a una spettacolarizzazione della comunicazione e del conflitto sociale.
Da questo punto di vista, l’evocazione della Rete come strumento democratico avanzata da gruppi populistici come, ad esempio, il Movimento 5 stelle di Grillo e Casaleggio rivela invece una tendenza autoritaria, centralistica e gerarchica delle relazioni sociali e politica. Dunque un libro importante, che non chiude la riflessione, ma la apre, idealmente, a quanti in Rete ci stanno.
C’è un limite da registrare, dovuto più a culture politiche differenti. Poca rilevanza è data ai rapporti sociali di produzione. Ippolita però non è un cenacolo di studiosi. Chi ne fa parte è anche un mediattivista, un militante che sa che questo è un nodo che in qualche modo bisognerà pur sciogliere. E quando ciò verrà fatto, dal loro punto di vista, la critica dell’economia politica dell’anarco-capitalismo ne avrà giovamento.
(il manifesto, 12 giugno 2014)