di Vita Cosentino
Ilaria e Daniela con le loro parole ci fanno presente una forte contraddizione: mentre nel mondo reale con il femminismo abbiamo imparato a sottrarci allo sguardo maschile, in quello virtuale questa sottrazione risulta difficile. La continua esposizione sui social apre in una giovane donna una ferita proprio nel cuore dell’elemento politico primario a sua disposizione: il corpo.
L’occhio maschile – del mercato, della società, del potere – si frappone determinando uno scollamento tra l’esperienza del corpo e la sua rappresentazione, che risulta distorta perché filtrata dalla lente della sessualizzazione del corpo femminile. Loro stesse finiscono per guardarsi attraverso quello sguardo distorto.
Tutto ciò porta alla tentazione della dissociazione di cui ci hanno parlato. Così attraversate dalla contraddizione, ai loro occhi i guadagni politici connessi al radicamento nel corpo, fatti dalle generazioni femministe precedenti, sembrano frutti lontani e inaccessibili: cose su cui non possono contare.
Sull’essere corpo Chiara Zamboni in “Parole non consumate” richiama dalla Dolto l’idea che una donna non possiede il suo corpo, ma è il corpo e ha con esso un legame inconscio. Il lato inconscio del corpo «è il tessuto delle relazioni più autentiche che hanno segnato l’esistenza, di cui non sempre portiamo memoria». Ci lega agli altri e al mondo. La nostra storia singolare, dai primi legami familiari a tutti gli altri incontri ed esperienze, depositata dentro di noi, è presente, anche se non cosciente.
C’è un’intelligenza corporea inconscia che alimenta il nostro sentire e quindi il nostro pensare e agire.
Sarà per questo, oppure sarà per altro, ma sta di fatto che nel mondo reale Ilaria, Daniela e le altre Compromesse hanno fatto il gesto essenziale che rompe con questa sorta di incantamento dei social: rivolgersi all’altra che è donna, contare su uno sguardo femminile.
Sono convinta che mantenendo ben salda questa scelta nel mondo reale si potranno provocare mutamenti, forse ancora difficili da immaginare, anche in quello virtuale. L’esperienza del sito della Libreria va in questa direzione: c’è una redazione “carnale” che si riunisce tutte le settimane.
Io sento nelle parole di Ilaria e Daniela che già fanno la politica delle donne, proprio perché danno voce, con lucidità e franchezza, al disagio e alla sofferenza vissuta in prima persona e li portano alla discussione. Ma non sono consapevoli – e posso dare io questo rimando – che è proprio così che è cominciata, comincia e procede, la politica dell’essere corpo, dell’immettere il corpo nello spazio pubblico. L’abbiamo chiamata la politica del partire da sé e della relazione tra donne.
Sono loro grata perché mi hanno sollecitata a rileggere materiali del passato che non prendevo in mano da tempo. Tra questi un titolo che ho trovato nel loro blog: “Mettere al mondo il mondo”. Non ricordavo più se fosse il secondo o il terzo libro di Diotima, allora sono andata in internet e ho scoperto che è molto aumentato di prezzo perché è catalogato come “libro antico”! È il secondo, uscito nel 1990. L’anno dopo è uscito “L’ordine simbolico della madre” di Luisa Muraro. Questi due libri antichi sono stati per me i frutti più significativi di quella stagione, perché dalla consapevolezza dell’essere corpo, segnato dalla differenza, arrivano a delineare una diversa concezione del mondo.
Nel volume collettivo di Diotima, in particolare Adriana Cavarero riprende da Hannah Arendt la categoria della nascita in tutta la sua dirompenza rispetto a quella della morte su cui si regge, da Platone in poi, la filosofia occidentale: per quest’ultima il mondo corporeo del caduco e del divenire è svalutato e contrapposto all’essere che si offre immobile alla contemplazione.
Dice Cavarero: «La centralità della morte produce da un lato la scissione tra pensiero e corporeità e, d’altro lato, iscrive in questa scissione l’astrattezza di un pensiero decorporeizzato e il disprezzo per il corpo i cui segni diventano insignificanti».
La natalità è la categoria centrale «perché annuncia il radicarsi degli umani nella singolarità del cominciamento». Ne consegue che la soggettività è sempre incarnata e sessuata.
È certo che donne e uomini siamo mortali, ma è altrettanto certo che prima di morire siamo nati e nate. E da una madre. Questo, se accettato, può essere significato e apre a una diversa concezione del mondo, come argomenta Muraro nel suo libro, dando parola a un altro ordine simbolico, quello della madre, che non è un rovesciamento simmetrico e speculare di quello paterno patriarcale. È un’apertura di un orizzonte di libertà per donne, uomini, e ogni altro genere.
Cavarero conclude dicendo che una donna che si radica nel suo corpo, rimette nel mondo se stessa «e così facendo mette al mondo il mondo come esso si è messo, ossia come esso appare e si mostra alla vista di ognuna e di ognuno».
Il patriarcato è finito, ma non è finita la fallocrazia e in questi tempi mutati siamo nella necessità di pensieri e di parole nuove.
Quando abbiamo incontrato le Compromesse, abbiamo sentito di parlare la stessa lingua, pur nelle profonde differenze che ci attraversano. Ci siamo fidate le une delle altre e abbiamo deciso di percorrere questa che si può configurare come una nuova pratica di differenza.
Ricominciamo dal corpo per me vuol dire rivisitare i nuclei fondamentali del femminismo e metterli alla prova del presente a partire dai vissuti, dalle idee, dai desideri di giovani donne.
È una strada che può generare nuove idee per l’oggi? Non lo so.
Di certo è una scommessa attraente da fare insieme. Niente è dato per scontato.
(#VD3, www.libreriadelledonne.it, 9 marzo 2022)