15 Settembre 2015
Corriere della Sera

Il desiderio di dominio, l’altra che diventa sempre più cosa da possedere, oggetto simbolo della propria potenza (ormai perduta), ossessione perversa

di Luisa Cavaliere



Il desiderio di dominio, l’altra che diventa sempre più cosa da possedere, oggetto simbolo della propria potenza (ormai perduta), ossessione perversa. Incubo. Questo è spesso l’amore malato che affligge tante relazioni, l’amore che ha dentro di sé le ragioni della metamorfosi che lo trasforma in rancore, movente di morte. E questo amore è toccato a Vincenza, uccisa con spietata determinazione in un pomeriggio d’estate in un’affollata strada di Terzigno. Prima, le promesse, la tenerezza, i sogni, poi, il rifiuto di accettare l’abbandono, la persecuzione, le minacce, la violenza reiterata. Intorno lo stupore impotente della famiglia e la discutibilissima decisione del tribunale del riesame di lasciarlo libero, di consentirgli un’altra occasione… Nunzio poteva redimersi. Poteva a detta dei giudici (colpiti da un non insolito attacco di ancestrale maschilismo) farsi perdonare e cancellare gli schiaffi, i pugni inflitti nel tentativo feroce e disperato insieme, di convincerla a desistere, a non lasciarlo. E Nunzio ha scaricato sul corpo indifeso di Enza la sua pistola, lasciandola in agonia sul selciato senza che a niente potessero servirle i soccorsi . Ha colto così l’“occasione” che la dolosa sciatteria dei magistrati gli aveva concesso.

Penso allo sguardo di Enza che ha incrociato quello del suo assassino e all’orrore che ha attraversato il suo cuore. Sento come ogni volta che si ripete questa strage delle “innocenti”, il disagio doloroso che sempre procura l’impotenza che tanto somiglia alla sconfitta. Quali parole, quale politica, quale solidarietà, quale cultura oggi, tutti i giorni, potrebbero fermare questo? Il femminismo, le donne hanno indicato una strada per tentare di rompere questa spirale. Abbiamo chiesto agli uomini di “buona volontà” di avviare radicali processi di autocoscienza capaci di leggere nel linguaggio e nei gesti tutte le tracce del desiderio di dominio e di negazione (negare significa anche uccidere). E lo abbiamo fatto non prima di avere attraversato e nominato senza autocompiacimenti o facili commiserazioni, la complicità che perversamente le “vittime” destinate offrono ai carnefici.

Complicità e desiderio malato sono le due terribili “patologie” che connotano questa tragedia che sembra non avere fine, tanto da apparire spesso come un destino. Su entrambi bisognerebbe intervenire consapevoli che questa partita mortale si gioca sull’apparato simbolico che governa le nostre relazioni. Sulla retorica della “maschilità” innanzitutto. Più che leggere le motivazioni della sentenza forse varrebbe la pena indagare le ragioni culturali, i valori che hanno guidato la mano e la testa di chi l’ha scritta e dato quel tragico via libera a Nunzio.


(Corriere della Sera, 15 settembre 2015)

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