6 Giugno 2013
la Repubblica

“Il male che si deve raccontare” Come si vince la violenza sulle donne

di Silvana Mazzocchi

Contro la violenza domestica Stato e istituzioni possono fare la differenza e viene dall’Inghilterra l’esempio di una strategia che paga. Lo dimostra il lavoro svolto dall’ex guardasigilli, Patricia Scotland, un’avvocata che è stata la prima donna nera a far parte della Camera dei Lord e del Consiglio dei ministri e che, tramite la creazione di un sistema pensato dentro il dicastero degli Interni, è riuscita, nel giro di pochi anni, a ottenere una vistosa diminuzione delle vittime di violenza famigliare. E a mettere in atto procedure di contrasto più rapide e più snelle, riducendo drasticamente anche il costo sociale determinato dalla brutalità domestica.

 

A raccontare l’esperienza di Patricia Scotland e gli effetti prodotti dal coinvolgimento di Enti ed aziende soprattutto da parte di una delle Fondazioni da lei create, la Global Foundation for the elimination of Domestic Violence (Edv) è Il male che si deve raccontare (Feltrinelli), un libro utile e stimolante firmato da Simonetta Agnello Horby, scrittrice e avvocata siciliana che vive e lavora a Londra, (impegnata anche lei nella lotta contro la violenza domestica) e da Marina Calloni, docente alla Bicocca, che ha curato la parte dedicata all’analisi della situazione italiana.

 

Illuminante è ciò che emerge dalla comparazione del fenomeno tra i due Paesi. Oltre ai dati e alle statistiche (nel 2012 sono state 120 le donne uccise nel Regno Unito e 127, le vittime italiane), è la fotografia del quando e come si consuma l’odio contro le donne ad essere pressoché identica. Anche in Inghilterra, la violenza domestica non conosce né distinzioni di classe sociale , né di censo. E l’agire dell’uomo che abusa, picchia e colpisce a volte fino a uccidere, è sempre lo stesso. All’inizio della relazione il partner si mostra amorevole; solo in seguito inizia a cambiare, e lo fa secondo uno schema che disegna una precisa escalation: prima la donna viene isolata, quindi viene attaccata nella sua autostima, insultata, picchiata e tenuta sotto scacco fra richieste di perdono e minacce. A volte si arriva all’omicidio. Tanti i modi in cui si declina la violenza domestica: c’è quella fisica, quella sessuale, quella psicologica e quella economica. E l’unico modo per liberarsi è reagire, ma spesso è difficile, troppo difficile. Spesso l’abnegazione delle tante associazioni e Case delle donne che svolgono comunque un enorme lavoro non basta, ed è fondamentale che lo Stato e le istituzioni rispondano alle aspettative e siano in grado di supportare concretamente la donna che rischia e decide di denunciare l’uomo che abusa di lei e, spesso, dei suoi figli.

 

In questo senso l’approccio pragmatico dell’esperienza inglese, sembra aver dato i suoi frutti. Una volta accertato che spesso le donne non riescono a staccarsi dai loro aguzzini per mancanza di lavoro e sostegno economico, Patricia Scotland ha tra l’altro creato un Associazione senza scopo di lucro, con l’intento dichiarato di sensibilizzare i datori di lavoro al supporto delle dipendenti vittime di abusi. Un’iniziativa alla quale hanno ormai hanno aderito ben settecento aziende del Regno Unito, da quelle private alle multinazionali.

 

Benemerita la finalità del libro che tutto questo racconta per trasmetterne l’esperienza a chiunque lotti per cancellare la violenza sulle donne. Nella contro copertina di Il male che si deve raccontare, si avverte che i proventi del libro saranno destinati “alla creazione della sezione italiana della Edv e delle attività che, attraverso la Fondazione, hanno come obiettivo l’eliminazione della violenza domestica.”

 

Simonetta Agnello Hornby, il vostro libro ha il dichiarato obiettivo di creare una Edv italiana. Di che si tratta?

Si tratta di importare in Italia il sistema di Patricia Scotland, una parlamentare inglese laburista che, nei suoi undici anni al governo, e riuscita a diminuire la violenza domestica del 64% e le morti a Londra da 49 a 5 nel periodo di otto anni. il suo sistema e basato su cinque punti chiave:

1. Un consulente indipendente specializzato in violenza domestica che accompagna la vittima per i primi tre mesi dopo la denuncia (che può anche essere una comunicazione al medico, al datore di lavoro o all’avvocato e che non richiede dunque una condanna dell’aggressore).

2. Tribunali specializzati e una multi-agency risk assessment conference (MARAC).

3. Valutazione multidisciplinare della potenzialità del rischio e supporti immediati alla vittima ad alto rischio.

4. L’offerta di servizi continuati a sostegno delle vittime e dei loro figli per tre mesi.

5. Terapia e monitoraggio degli aggressori durante e dopo l’esecuzione della pena.

 

Può riassumerci la strategia applicata e gli obiettivi raggiunti?

E’ contenuta nei cinque punti appena elencati e in particolare: reazione immediata nei casi ad alto rischio, personale specializzato che supporta la vittima, tribunali sensibilizzati, aiuto non soltanto per la vittima, ma per la famiglia tutta e per i bambini. E terapia e monitoraggio degli aggressori. Oltre a un lavoro basato sul concetto olistico; i rei confessi sono aumentati dal 21% al 61%, le condanne sono passate dall’8% al 32% e le assoluzioni per insufficienza di prove sono diminuite dal 46% al 4%. Non solo: il costo nazionale del mancato lavoro delle donne vittime di violenza e diminuito in otto anni da 2.700 a 1.900 milioni di sterline.

La riduzione del fenomeno ha anche un enorme effetto sui figli, vittime silenziose della violenza domestica. la Scotland ha dimostrato che in Inghilterra ogni anno 750.000 minori sono coinvolti come testimoni o vittime, e la sua strategià include l’aiuto a questi grandi assenti nella speranza che, crescendo, non riprodurranno i comportamenti genitoriali.

 

Dal suo osservatorio, perché il femminicidio (brutta parola, ma efficace) è in Italia in continua espansione?

Dal mio osservatorio inglese, è evidente che le morti diminuiscono soltanto quando lo Stato aiuta le vittime di violenza a stare lontane o ad allontanare il potenziale aggressore. Si tratta, infatti, quasi sempre di morti annunciate. In Il male che si deve raccontare, scritto con Marina Calloni e pubblicato da Feltrinelli, parliamo delle mie clienti uccise dai loro compagni appunto perché lo Stato non era intervenuto e io non ero stata capace di allertare sufficientemente i servizi. In Italia, dove c’e un’alta percentuale di violenza domestica nelle coppie laureate e di professionisti, più che negli altri paesi, posso solo immaginare che sia la disoccupazione e il malessere che ne deriva a causare un aumento degli omicidi. A mio parere comunque tutta l’Europa si trova in uno stato di grande decadenza, e le uccisioni di uomini e donne in questo contesto sono un altro aspetto del degrado della nostra società. E sono in aumento anche gli abusi nei confronti dei minori da parte di genitori e delle persone a cui il loro bene è affidato; come si espande lo schiavismo dei giovani, in particolare delle donne, nel mercato sessuale.

 

Simonetta Agnello Hornby

con Marina Calloni

Il male che si deve raccontare

Pag . 188, euro 9

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