di Sara Gandini
«Il medico non è più “padre e padrone”. Il paziente non è più sottomesso», scrive Veronesi su La stampa il 25 di settembre 2015, in un articolo in cui si dichiara d’accordo con il recente decreto della ministra Lorenzin sui tagli ai test diagnostici. E aggiunge: «Il rapporto di fiducia medico-paziente, basato sulla certezza che il dottore sia l’unico detentore del sapere, è in crisi profonda», per questo i medici si “tutelano” dai pazienti prescrivendo innumerevoli test, spesso inutili.
Il famoso chirurgo si riferisce al campo oncologico che conosce bene e in effetti la stessa Unione Europea stima un 30% di uso inappropriato della diagnostica radiologica. E in Italia le percentuali crescono: alcuni studi scientifici dei radiologi stimano che il 50% delle prestazioni diagnostiche risulta inappropriato. Sono test che vengono richiesti «per dimostrare che tutto il possibile è stato fatto e nessun errore diagnostico è stato commesso», commenta Veronesi. Tranquillizzano il paziente e tutelano il medico dalle cause, ma paradossalmente creano altri rischi per la salute. Uno studio del New England Journal of Medicine, rivista scientifica tra le più quotate, denuncia un aumento dei tumori causati dai raggi della diagnostica radiologica.
Il problema è che si sta diffondendo rapidamente anche in Italia, come negli Stati Uniti, la tendenza di pazienti e familiari a fare causa al proprio medico per qualsiasi dubbio sul suo operato. Così Veronesi nel suo articolo si affida alle leggi, nella speranza che possa arrivare il tribunale a fare ordine: il medico, grazie al recente decreto della ministra Lorenzin, ora può difendersi dicendo di fare causa anche al ministero. Insomma le sanzioni ministeriali “aiuterebbero” il medico a prendere le decisioni corrette, per il bene dell’assistito, perché il decreto sarebbe «una specie di mano tesa al medico per uscire dall’impasse della medicina difensiva».
Una situazione molto interessante. Riassumendo abbiamo: un medico che non può più fare il padre-padrone e che prescrive ingiustificati test diagnostici per paura che il paziente, che non si fida più di lui, gli faccia causa e si rallegra se arriva il ministero a fare da padre-padrone imponendogli sanzioni.
Mi stupisce che un uomo così intelligente e attento alla valorizzazione del sapere delle donne non si renda conto che questo quadro è espressione del senso d’impotenza in cui la medicina si ritrova a causa dell’incapacità di affrontare il disordine post-patriarcale. La fine del patriarcato, di cui anche Veronesi è consapevole, ha certamente creato contraddizioni non facili. «Una volta i medici erano figure paterne rassicuranti, cui ci si affidava certi che avrebbero risolto ogni problema. E questo aveva una sua efficacia», scrivevo in “Scienza, femminismo e l’autorità imperfetta”. Ma è evidente che non si può affrontare questa situazione aggrappandosi agli stessi strumenti del vecchio ordine simbolico.
Vorrei a questo punto che le mediche insorgessero per affermare che l’unica strada da percorrere è quella di affidarsi alla magia della relazione, magia che punta sul sapere scientifico, ma è inestricabilmente legata al desiderio di far capitare qualcosa di speciale nell’incontro in presenza.
E mi riferisco alle mediche perché è un sapere delle donne ma che conoscono anche gli uomini, per la relazione con la loro madre, la prima importante medica di ogni creatura. Quando da bambini non si sta bene si chiede prima di tutto a lei, che impara a capire come sta il proprio figlio quando ancora non parla. Le basta toccare la fronte per fare la sua diagnosi e con un massaggio e una coccola spesso sa rimettere le cose a posto.
In modo simile, quando medico/a e paziente si studiano per cercare di capirsi, per trovare le parole giuste per comprendersi, per affidarsi l’un l’altro, ecco che la medicina funziona. Si tratta di un sapere che non separa il corpo dalla mente, che sa il valore del metodo scientifico intrecciato alla magia delle relazioni. È un sapere che parte dalla scienza, quando quest’ultima sta al sapere dei corpi e si trasforma nell’incontro, che fa capitare miracoli quando raccoglie le sfide che nascono dalle contraddizioni che la medicina pone alla politica.
La comunità scientifica femminile di Ipazia aveva raccolto quella sfida perché era nata con l’intento di far entrare la politica delle donne nella cittadella della scienza, come scriveva Gabriella Lazzerini nel 2000. Da quella esperienza sono nate due pubblicazioni, Autorità scientifica, autorità femminile e Due per sapere, due per guarire, che andrebbero riprese e fatte circolare perché di enorme attualità. Sono quindi felice che al Grande seminario di Diotima quest’anno (venerdì 23 ottobre) Alessandra Allegrini e Luisa Muraro ragioneranno su Vita senza esseri umani, tecnoscienza senza differenza.
Rispetto ad arte, filosofia e letteratura, la scienza è sempre stata la forma di pensiero più monosessuata e omofila. Ma ora abbiamo una tradizione di pensiero e una maggiore presenza femminile, anche in ambito scientifico, che hanno portato libertà di pensiero e la consapevolezza che la scienza non è neutra. Non si può più ignorare che la presenza dell’elemento soggettivo e sessuato è fondamentale. Bisogna fare spazio alla rivoluzione che le donne hanno portato anche in questo ambito per non tornare a quel senso d’impotenza in cui incappa la medicina di fronte al disordine post-patriarcale.