di Luisa Cavaliere
Universo femminile. Ritorna il racconto collettivo per un confronto necessario che rifiuta derive individualiste e superate disparità di genere
Torna «un mare di donne». Lo pensammo, qualche anno fa, come un racconto collettivo e, insieme, come la traccia materiale di tante singolari tà capaci di dar conto dell’universo, della filosofia, della storia, dell’etica, dell’economia, della religione. Ascoltammo voci inedite e differenti che narravano dei loro paesi,delle loro culture, dei loro sogni, della politica come strumento utile per rendere migliore il rapporto con la realtà, del mare cheavevano attraversato, delle disparità disseminate sui loro insicuri percorsi, della violenza, della forza. Parlammo di noi, del luogo di confronto che volevamo costruire per pensare e giudicare, generare simboli: del nostro rifiuto di tutte le derive individualiste, di tutte le culture «per donne», del nostro desiderio di un mondo che prevede, si nutre e legittima anche la libertà femminile.
Un mondo che non separa la vita, i sentimenti , la morale, la politica, l’etica e che tiene tutto insieme, tutto connesso nell’esperienza e nel pensiero che essa produce. Un mondo che coglie il tratto distintivo dell’umano nella relazione necessaria con l’altro/a . Che vede la natura, il paesaggio, tutte le creature viventi non come presenze indifferenti sulle quali fare agire il proprio ebete dispotismo suicida ma,come indispensabile scena su cui misurarsi. Un mondo senza conformismi, senza regole esangui che chiedono e impongono di adeguarsi ad esse per essere accettati sacrificando magari la parte più significativa della propria singolarità. Un mondo dove gli stili di vita si radicano in antiche feconde abitudini che nel presente trovano altre ragioni, altre prospettive, altre stagioni, un altro tempo.
Parlarono e si raccontarono donne e uomini. Costruimmo una brevissima stagione. di confronto che si infranse, come spesso accade, sulla esiguità delle risorse e, forse, sull’affievolirsi del desiderio che la sostenevano.
Ora riprendiamo ma non come «se niente fosse» stato. Riprendiamo quel filo che non diventò tessuto, trama consolidata, riallacciando il presente a quel breve, intenso passato.
Ci teniamo il titolo, «Un mare di donne», allusivo di una forza che è anche speranza.
E ci teniamo quella sua traduzione in arabo che era il segno di una lingua che non si chiudeva nelle sue parole europee e ne cer-cava differenti per raccontare altre storie .
Insieme al titolo manteniamo il metodo che assume le storie di vita come fonte, strumento insostituibile per conoscere ciò
che accade e per pensare se c’è ancora tempo per cambiare il mondo.
(Corriere del Mezzogiorno, 21 luglio 2016)