13 Marzo 2015
lesiciliane.org

Il Parlamento europeo e Nurit Peled

di Franca Fortunato


Il 17 dicembre 2014 il Parlamento europeo ha riconosciuto «in principio» lo Stato palestinese e ha, altresì, condannato gli insediamenti dei coloni israeliani nei territori palestinesi ed espresso il proprio sostegno «per la soluzione dei due Stati sulla base delle frontiere del 1967, con Gerusalemme come capitale dei due Stati». Un riconoscimento che, non a caso, è venuto dopo l’audizione dell’11 settembre 2014 dell’israeliana Nurit Peled Elhanan, insegnante di lingua a Gerusalemme, la cui bambina è stata uccisa nel 1996 da un kamikaze palestinese, e a cui nel 2013 il Parlamento europeo ha assegnato il premio Sakharov, insieme al suo compagno di lotta, lo scrittore palestinese Izzat Ghazzawi, il cui figlio è stato ucciso nella scuola da soldati israeliani, che ha passato anni nelle prigioni israeliane, senza sapere il perché e la cui voce e la cui vita sono state spente dalla brutalità dell’occupazione israeliana. Nurit Peled, dal giorno della morte della sua creatura, si batte con palestinesi ed ebrei per la fine dell’occupazione israeliana della Palestina e contro quello che lei chiama l’“olocausto” del popolo palestinese. «Quello che c’è stato negli ultimi 12 anni a Gaza, e che ha raggiunto il suo apogeo durante il ramadan di questa estate – ha esordito davanti al Parlamento europeo – non è niente meno che un olocausto. Non un’operazione. Non una guerra ma una distruzione deliberata di una società vivente. Una guerra è tra due stati e due eserciti che si affrontano; ma qui c’è uno stato potente, la cui dottrina è di considerare come proprio nemico tutta una nazione; uno stato che manda il suo esercito ad operare con la sua strapotenza contro i civili di questa nazione; uno stato che sostiene che è lecito uccidere le donne e i bambini e le persone anziane per dare un avvertimento ai dirigenti di questa nazione nemica, e per ricordare loro chi è che comanda; uno stato che sostiene che la vita dei propri soldati vale più della vita dei bimbi del nemico (…). Quando l’esercito applica tutti i mezzi possibili alla distruzione di tutto un popolo e della sua popolazione, questa non è una guerra ma un olocausto (…). Noi sappiamo che da anni la vita a Gaza è peggiore che nei peggiori ghetti, e che il risanamento e la ricostruzione è ostacolata. Gaza è senza un sistema di fognature o di elettricità o di acqua potabile da più di cinque anni, perché Israele ha distrutto le sue centrali elettriche e non le lascia ricostruire, per non ricordare la mancanza di forniture di cibo, di medicinali o la privazione di libertà. Questa non è una guerra. È un sociocidio e per i palestinesi è un olocausto (…)». «Durante i raid del 2008/9 e in questo ultimo feroce e spietato attacco – ha proseguito – sono state utilizzate armi sconosciute. I soldati che vengono da Gaza dicono che è un laboratorio per ogni tipo di armi mortali. Ho visto bambini e adulti pieni di buchi e ferite. Una famiglia intera senza gambe, neonati ustionati, una ragazza senza occhi. Bambini e adulti che non sono più che pezzi di carne senza vita con spine dorsali spezzate e cervelli bruciati (…). Perché in altri casi i crimini di guerra devono essere trascinati davanti ai tribunali e le vittime sono invitate a testimoniare, mentre in questo caso le vittime sono costantemente biasimate per la loro miseria e gli autori dei crimini beneficiano di una totale impunità? Perché invece di punire i criminali di guerra che regnano su Israele e sulla Palestina, contravvenendo a tutte le leggi e convenzioni internazionali – radendo al suolo dei quartieri interi, uccidendo le mogli e i figli dei capi dei loro nemici e infliggendo una punizione collettiva a milioni di persone, per pura vendetta –, perché gli stati dell’Unione europea fanno tutto quello che possono per impedire alle vittime di sporgere denuncia contro i carnefici? Perché, invece di domandarsi che genere di educazione al razzismo trasforma delle belle ragazze ebree e dei ragazzi ebrei in assassini in uniforme, senza scrupoli, il Parlamento europeo revisiona, controlla e censura il sistema educativo delle vittime, senza neanche gettare un’occhiata a quello degli aggressori? (…)». «Si dice sempre – ha concluso Nurit Peled – che il mondo, che significa l’Occidente, non ha imparato la lezione dell’Olocausto (…). La lezione avrebbe dovuto essere mai più, da nessuna parte, per nessuno (…). Quando le vittime sono dei palestinesi gli autori se la cavano e il mondo resta in silenzio. La misera scusa utilizzata dall’Ovest e in particolare dall’Europa per non interferire, per non disciplinare l’espansione selvaggia di Israele, per non esigere la fine del suo sistema di apartheid e la sua mancanza di rispetto dei diritto internazionale, è che gli europei non vogliono essere chiamati antisemiti. È una ben misera scusa, perché sappiamo tutti che ogni paese europeo trae profitto dall’occupazione israeliana della Palestina (…). Non c’è niente di ebraico nel comportamento razzista e crudele di Israele verso i palestinesi (…) non potete più permettere di utilizzare questa scusa, quando dei bambini sono massacrati; non possiamo più permetterci di preoccuparci di come la gente ci chiama, quando un olocausto imperversa (…) proprio come io non posso permettermi di avere paura delle persone che mi trattano da traditrice per aver difeso gli oppressi (…). Nessuno è morto per essere stato chiamato antisemita o per esserlo stato, ma dei bambini e i loro genitori e nonni stanno morendo perché sono chiamati palestinesi, non per un’altra ragione, proprio come gli ebrei sono stati sterminati semplicemente perché erano chiamati ebrei. E l’Europa, che aveva girato le spalle agli ebrei allora, oggi gira le spalle ai palestinesi». Il premier israeliano Netanyahu, all’indomani del riconoscimento europeo dello Stato palestinese, venuto dopo quello della Svezia, della Francia, Irlanda, Gran Bretagna, Lussemburgo e Spagna, ha tentato, ancora una volta, di riesumare la tagedia ebraica: «Ci sono troppe persone in Europa, sulla terra dove sono stati massacrati sei milioni di ebrei, che non hanno imparato nulla». All’Onu Israele è riuscita ad ottenere la non approvazione della stessa risoluzione votata dal Parlamento europeo, presentata dai palestinesi, ma non ha potuto evitare che la Corte penale internazionale (Cpi), a cui la Palestina ha chiesto di aderire e che il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha confermato che vi entrerà dal prossimo aprile, aprisse un’inchiesta, come chiesto dal presidente palestinese Abu Mazen e da Nurit Peled Elhanan nel suo intervento, per verificare se siano stati commessi «crimini di guerra nei territori occupati». «Una decisione scandalosa il cui unico scopo è giudicare e arrecare danno ai diritti di Israele di difendersi contro il terrore» è stato il commento del ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Liebermann. È di questi giorni la notizia che il governo israeliano ha deciso la costruzione di altre 430 case in Gisgiordania e quanto prima – come ha denunciato la sindaca di Betlemme, Vera Baboun, venuta a Catanzaro per un gemellaggio con Fondazione Betania, struttura assistenziale Onlus e vari sindaci e parroci – costruirà la seconda parte del “Muro della vergogna”. Sono le voci di donne come queste che il mondo intero deve adottare, altrimenti – come ebbe a dire Nurit Peled Elhanan nel dicembre 2001 – «ben presto non rimarrà alcunché da dire, alcunché da ascoltare se non l’eterno lamento del lutto».


(Casablanca – rivista on line, febbraio-marzo 2015)

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