2 Agosto 2022

Il pensiero vivo di Carla Lonzi (1931-1982) e lo spazio delle donne

di Marta Equi Pierazzini


«Si può dire che tutta la drammaticità, la fatica, il peso dell’andare contro corrente, lo sconquasso nelle proprie vite personali, nei rapporti perché fossero più veri, adesso non va di ripeterlo. Chi vuole lo legga nei libri, però sappia che c’è stato. […] Se uno tiene troppo a mente la fatica che ha fatto, cosa ci ha rimesso, è meglio che a un certo punto guardi cosa ci ha guadagnato, cosa gliene è venuto di buono. Che cosa sarebbe stato, dio ne guardi, se quell’operazione non fosse stata fatta. E allora, adesso, basta parlare del costo. E uno parla proprio, invece, della merce: quanto era proprio bella, pregiata e che non aveva prezzo, praticamente.» (Carla Lonzi, 1982)


Carla Lonzi pronuncia queste parole a marzo dell’82, in dialogo con la compagna di Rivolta Femminile Jacqueline Vodoz, a bilancio di una vita, come riportano nella sua biografia Marta Lonzi e Anna Jaquinta, in apertura del volume di poesie Scacco Ragionato. Morirà pochi mesi dopo, il 2 agosto: oggi sono 40 anni dalla sua morte.

La vita luminosa di Carla e il suo pensiero fiammeggiante mi accompagnano, ci accompagnano sempre.

L’analisi e il commento sui molti aspetti del lavoro di Carla, li lascio ai diversi studi specialistici usciti negli ultimi anni (a partire dalle seminali ricerche di Maria Luisa Boccia), impegnati a raccontare, da molteplici punti di vista, la traiettoria complessa di questa pensatrice. Adesso non va di ripeterlo, come dice Lonzi.

Qua vorrei soffermarmi su un unico punto. Carla non solo lavorò strenuamente per la libertà femminile, per la differenza femminile e per il suo riconoscimento, ma si dedicò anche, e con continuità, a una critica appassionata al mondo della cultura e alle micropratiche dei suoi attori principali, come campo che effettivamente potrebbe fare la differenza e che spesso abdica al suo potenziale di cambiamento per diventare dispositivo di riproduzione tacita del potere. Lo fa analizzando non solo i testi del pensiero ma vagliando la “credibilità del processo”[1] con cui i prodotti culturali sono creati così come le pratiche quotidiane degli artisti, giornalisti, editori, scrittori con cui entra in contatto.

Il pensiero di Carla Lonzi è carne viva, non materia fumosa di un mito da celebrare o di un contenuto esoterico da riscoprire, e può essere ricordato solo riportandolo al concreto di ogni giorno.

In quest’ottica, dell’articolo “Indagine su Carla Lonzi, femminista dimenticata”, di Nicola Mirenzi, Il Venerdì di Repubblica, 29 luglio, c’è un passaggio in particolare che vorrei commentare, proprio a partire dal dimenticata del titolo.

Giovanni Agosti (Statale Milano) “è uno dei pochi” a inserire Lonzi nei programmi di studio, si legge.

Forse l’autore intende uno dei pochi accademici (andrebbe comunque ricordato il lavoro di Michele Dantini e di Francesco Ventrella) perché in verità, quando si parla di Carla Lonzi dalla prospettiva disciplinare della storia dell’arte il contributo di pensiero, scrittura e didattica delle Professoresse Laura Iamurri e Lara Conte (Roma Tre) è imprescindibile. Ma potrei anche citare Linda Bertelli, Lucia Cardone, Barbara Casavecchia, Lucia Farinati, Vanessa Martini, Raffaella Perna, Elvira Vannini, Angela Vettese, Giovanna Zapperi, solo per rimanere negli ambiti che gravitano intorno alla storia dell’arte e agli studi sulle immagini (e a studiose di madrelingua italiana, sebbene non tutte lavorino solo in Italia). Altri nomi di studiose andrebbero fatti se allargassimo il campo ad altre discipline: oltre a Maria Luisa Boccia e Annarosa Buttarelli, filosofe che l’articolo menziona, anche Sandra Burchi, Ida Dominijanni, Liliana Ellena, Monica Farnetti, Manuela Fraire, Luisa Muraro, Vinzia Fiorino, Debora Spadaccini e molte altre ancora; tante altre che lavorano al margine e negli interstizi tra discipline, cosa che ancor di più non aiuta il riconoscimento, e naturalmente quelle che fanno il lavoro del pensiero fuori dall’Accademia (per esempio le artiste, penso a Claire Fontaine, Chiara Fumai, Silvia Giambrone o le curatrici, come per esempio Cecilia Canziani, Francesca Pasini, Paola Ugolini), e poi ancora i luoghi delle donne, che al pensiero e memoria di Lonzi si dedicano. Ed ecco che il campo si allarga, lo spazio[2] si anima…

Che la scholarship su Lonzi non sia vasta è vero, ma nel fare l’esempio delle eccezioni che si sono dedicate a lei, omettere tutti i nomi femminili, seppur senza pensare di far dolo, funziona come dispositivo silenziatore, ancora una volta, del lavoro del pensiero e della vita delle donne, si cancella il loro spazio di visibilità e dunque di potenziale memoria.

Se davvero si vuole che l’eredità di Lonzi non vada perduta bisogna che chi dice di occuparsi di cultura si impegni nel concreto a cambiare le proprie pratiche quotidiane e a custodire così, con cura, la possibilità che vi sia spazio per la voce e la soggettività delle donne, non soltanto nel ricordo, seppur dovuto.

Scrive Lonzi nel 1978: “Mi rendo conto, siccome la cultura esistente è quella maschile, succede che quello che noi scopriamo fuori, va a finire che l’uomo se lo piglia e lo mette, malamente, nella sua cultura. Siamo sempre state derubate così, magari senza accorgercene”.[3]


(www.libreriadelledonne.it, 2 agosto 2022)


[1] Testo senza titolo pubblicato in Identité italienne. L’art en Italie depuis 1959, catalogo della mostra, Paris, Centre Georges Pompidou, 25 giugno – 7 settembre 1981, a cura di Germano Celant. CNAC/Centre George Pompidou e Centro Di, Paris/Firenze 1981. Testo in lingua originale in C. Lonzi, Scritti sull’Arte, Et/Al EDIZIONI, Milano 2012, a cura di Lara Conte, Laura Iamurri, Vanessa Martini, pp. 653-654.

[2] Nello scrivere questo paragrafo penso al lavoro di Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Einaudi, 2022

[3] C. Lonzi, Taci, Anzi, Parla, Scritti di Rivolta Femminile, 1978.

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