12 Settembre 2015

Il Trucco: un’esperienza di scrittura e di lettura

 

 

di Fiorella Cagnoni

 

Pubblichiamo l’intervento di Fiorella Cagnoni alla XIII edizione della Scuola Estiva della Differenza (Lecce, 7-10 settembre 2015) sul libro di Ida Dominijanni Il Trucco (Ediesse 2014).

 

La lettura di questo libro è stata un evento molto significativo. Ho riconosciuto nel Trucco la caratteristica preliminare, per qualunque mia lettura, che è una riflessione – o una trama – che abbia presenti l’esistenza e i movimenti dell’inconscio. Accertato questo primo requisito, questa competenza preambolica che del resto conosco e riconosco in Ida Dominijanni, ho trovato nel Trucco un pensiero capace contemporaneamente di fare ordine e di essere insurrezionale. Un pensiero che conosce e padroneggia tutte le chiavi interpretative della differenza sessuale e le usa, le applica al mondo, a ogni evento.

È stato un evento così significativo che ho proposto a sei donne leccesi, e poi realizzato con loro, un gruppo di lettura; ho incoraggiato la formazione di un analogo gruppo a Milano, e con le donne con cui sono più legata ne ho spesso e continuamente ragionato. Alcune di queste donne di Lecce e di Milano sono qui e potranno aggiungere le loro parole a queste mie, che ovviamente sono frutto anche della riflessione comune.

Questa eccezionalità ha comportato altre due conseguenze che ci riguardano qui e ora. La prima è che ho molto insistito con Ida Dominijanni, e le sono grata per aver ceduto alla mia perseveranza, perché accettasse l’invito della Scuola Estiva in un momento dell’anno per lei sempre complicato da impegni personali; la seconda è che ho chiesto a Marisa Forcina di rivoluzionare il setting della Scuola e di unire il mio tempo (che sarebbe stato ieri) a quello di Dominijanni stamattina, sia per desiderio di condividere con voi il senso di un’esperienza comune benché differente – come dice il titolo: di scrittura per lei di lettura per me, per noi – sia per cercare, con la forma del dialogo, di andare avanti con la riflessione, di non ingessarci in una ripetizione di complimenti e di già detto. Perché Il Trucco dice pensieri nuovi, non ripete cose che sappiamo, non riassume il già pensato. Racconta la cronaca e/o fa filosofia politica interpretando eventi e fatti in modo originale e proponendo domande insolite e risposte inedite.

Nel pensare a questo incontro mi sono dovuta accorgere che l’architettura del testo, la capacità di cui dicevo di leggere l’accadere con la lente della differenza, la responsabilità politica storica filosofica personale che Ida Dominijanni si è voluta assumere e la generosità che ha avuto scrivendolo, il suo impegno e il suo lavoro di studiosa, di filosofa, di giornalista, la qualità sempre più e più di sempre sontuosa della scrittura (elemento non marginale, nel mio giudizio) unite alla speciale consistenza esperienziale della lettura per me, – ecco mi son dovuta render conto che tutte queste particolarità mi stavano spingendo verso una qualche forma di ansia. Un’ansia di dire chiaro, e di dire tutto. Siccome aborro anche soltanto l’alba, dell’ansia, e siccome Il Trucco è talmente ricco di pensiero da chiedere di essere letto, non si può dirne tutto, ho scelto di cercar di dire mediamente chiara una introduzione, soprattutto per chi non l’abbia letto. Lasciando semmai a Ida e poi a voi la strada verso il tutto.

Il Trucco ha per sottotitolo Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi ma non è un libro su Berlusconi. Berlusconi è un pretesto. Il Trucco è la lettura di una storia politica che ci riguarda da vicino, è una analisi approfondita e documentata del tempo che stiamo vivendo. E mette le proprie radici attorno al Sessantotto. Il punto di partenza dell’analisi è là, non è agli inizi degli anni Novanta.

Il punto di partenza è in quella che Ida chiama «la congiuntura Sessantotto-femminismo», e il quadro di fondo è la guerra che il capitalismo ha scatenato contro quella congiuntura, e che in parte sta vincendo. Un capitalismo che oggi ha la testa del neoliberalismo e i corpi di chiunque sta nell’ordine simbolico maschile, nel disordine post patriarcale.

E allora Berlusconi e il berlusconismo non appaiono più tanto e soltanto una anomalia italiana rispetto a una presunta normalità liberaldemocratica. Il regime del Berlusconi acquista i tratti «di un caso specifico, estremo e paradigmatico, dell’egemonia neoliberale che dagli anni Ottanta in poi ha modificato radicalmente i connotati di tutte le democrazie occidentali». Per una femminista come me, già capire questo è stata una rivoluzione, ché io di neoliberalismo non volevo nemmeno sentir parlare, come se non mi coinvolgesse, come se concernesse altri altre e non me. E di queste rivoluzioni il libro è stato pieno, per me e per le altre che erano nel gruppo di lettura.

Qual è il Trucco? Quali sono i Trucchi di cui il berlusconismo si è servito? Il «vuoto di sostanza dietro un pieno apparente» – il «fantasma maschile dell’impotenza nascosto sotto la compulsività sessuale».

Quali sono i trucchi del neoliberalismo? Parafrasando Dominijanni dico: il vuoto di libertà dietro la legittimazione di ogni forma di trasgressione.

Il Trucco dicevo non si può riassumere, si possono elencare alcuni punti di snodo dell’architettura che lo sostiene.

Nel Trucco si ragiona per esempio di quanto l’estetica berlusconiana si sia insinuata anche nel linguaggio di chi lo ha sempre contrastato, e di come l’estetica berlusconiana tenti di trascinarci tutte e tutti nella rincorsa degli effetti speciali, nelle opinioni che nascono dal nulla e si autorizzano sul nulla.

Si ragiona del coro mediatico che sempre si adegua, archivia prontamente le caratteristiche del regime precedente e si sintonizza con lo stile dei nuovi potenti; si ragiona dell’apparato mediatico italiano che «non è più strumento ma seconda natura, della leadership».

Si ragiona del «perturbante della sessualità» e di come la politica tenti di autoimmunizzarsi dalla sessualità, il che porta per esempio alla inclusione paritaria delle donne nella politica, al prezzo di neutralizzare il conflitto tra i sessi.

E ancora, e molto, si analizzano le occasioni mancate dalla sinistra – tradizionale e radicale – di capire e di farsi attraversare e di farsi cambiare dalla rivoluzione femminista.

Si ragiona di come sia stata però la parola femminile – Veronica-gate, Patrizia-gate, Ruby-gate – a denudare il re svelandone i trucchi e si dice che importa relativamente poco che quella parola fosse più o meno consapevole, più o meno politica, più o meno autentica. Questa relativa importanza è stata uno dei punti di conflitto nel gruppo di lettura: ad alcune pare che il «pedigree femminista» sia indispensabile per ottenere ascolto. Mentre l’indispensabile – in qualunque circostanza – è il partire da sé.

Si ragiona di come il «mutamento femminile sia aperto a esiti diversi», di come il termine femminismo sia oggetto di una risignificazione costante in cui emergono antichi conflitti e in cui ne nascono di nuovi.

Si ragiona, analizzando le elezioni nord americane che portano Obama alla Presidenza, del diverso «modo di interpretare il maschile in tempi di fine del patriarcato» che è stato in gioco appunto per esempio fra Obama e Berlusconi.

Si dice che fra le donne e il dire la verità esiste un legame profondo che però non sempre si attiva perché – ha scritto Luisa Muraro nel 1996 – «non è una dotazione naturale ma una qualità dell’esperienza che si può affinare e potenziare o, viceversa, svilire e cancellare» – aderendo con zelo ai trucchi delle «macchine maschili della verità».

Si scrive, nel Trucco, di come questa qualità dell’esperienza sia sempre stata disconosciuta dalla sinistra, che con la propria sordità verso le donne che dicono la verità ha ottenuto e ottiene il risultato di amputare la realtà.

Si rifà ordine nella confusione fra i binomi personale/politico e privato/pubblico; si ragiona del rapporto, nel paradigma politico moderno, tra morale e politica; si spiega la necessità che ci sarebbe di «indagare sul segreto legame che unisce qualità delle relazioni personali e qualità del legame sociale, passioni personali e passioni collettive, desiderio individuale e felicità pubblica», e si ragiona sulla necessità che ci sarebbe di interrogarsi «sul nodo che stringe, a destra e a sinistra, questione maschile, questione sessuale e crisi della politica».

Nel Trucco si analizzano i dispositivi della governamentalità – cioè delle forme con cui il neoliberalismo ottiene ubbidienza e asservimento facendoci credere di essere libere, anzi sempre più liberi. E moderni. E nuovi.

Nel Trucco ci sono innumerevoli citazioni del lavoro teorico e politico di femministe in ogni parte dell’Europa e delle Americhe, oltre che ovviamente in Italia – il che dà generosamente un quadro, che non tutte conosciamo, di quanto si muove. Si criticano senza pietà le opinioni che non hanno referenti e non hanno riferimenti, le opinioni che non hanno interlocutori, cioè le opinioni senza storia e senza genealogia. Si dicono le contraddizioni in campo femminista e si criticano – motivando il giudizio senza ideologismi e senza preconcetti, che è una delle grandi virtù delle analisi di Dominijanni – il femminismo delle quote, dell’inclusione, di SNOQ, il femminismo più interno, o subalterno, alla sinistra.

E si dicono le contraddizioni che riguardano da vicino il femminismo del pensiero e della pratica della differenza sessuale – lo dico sperando che questa definizione sintetica significhi quel che deve significare per tutte, e tutti.

E qui mi fermo, in questo elenco – della cui ricchezza, della cui articolazione spero però avervi data un’idea. Mi fermo qui perché ci avviciniamo a quel che mi riguarda più da vicino. Aggiungo ancora due punti per me e per il gruppo di lettura cruciali, e la cui sostanza lo vedrete è quello che mi ha fatto dire che abbiamo un po’ vinto ma anche un po’ perso.

Uno, a cui Ida accenna brevemente verso la conclusione del Trucco – ma a cui ha dedicato nella primavera del 2014 una memorabile lezione per il seminario di estetica alla facoltà di Filosofia della Sapienza, a Roma – è la formazione del senso comune. Sostiene Ida che “populismo” è il nome corrente (sinonimo di “personalizzazione della politica”) che riassume le tante trasformazioni delle forme della politica nelle democrazie contemporanee. Populismo è nome generico, che in Italia si è messo e si mette varie maschere a cui lei tra altre caratteristiche aggiunge quella di sensoriale. Scrive Dominijanni: «Un populismo sordo alle ragioni etiche ma attentissimo a quelle estetiche, dimostrazione di come il biopotere contemporaneo non si accontenti di governare la vita e disciplinare i corpi ma pretenda di iscriversi nei nostri sensi, e di condizionare attraverso di essi, con l’aiuto del sensazionalismo mediatico, la formazione del senso comune». A questo potere che pretende di forgiare il comune sentire, dice Dominijanni, dobbiamo opporre la nostra tessitura di legame sensoriale, e di qui dobbiamo opporre un senso comune radicato nella percezione condivisa dell’esperienza e del piacere.

Il secondo punto è quel che Dominijanni chiama «la partita della libertà». Una partita, una battaglia, una guerra, tra la libertà del mercato e la libertà femminile, che dunque mi riguarda. Che riguarda noi.

L’ho già usato e uso ancora il pronome noi, che di solito non mi piace; finalmente – dopo Il Trucco – posso usarlo, perché so a quale noi mi riferisco. Alle donne, e eventualmente agli uomini, che hanno «fatto dello spostamento dal paradigma dell’oppressione al paradigma della libertà femminile la propria sfida teorica» e che hanno un’idea e una pratica precisa di quella libertà femminile, non altra. Cito dal Trucco: un’idea di libertà femminile «politica (perché vive, arendtianamente, nella sfera pubblica e non nel e del mercato), relazionale (cioè non individualistica ma ancorata alla pratica della relazione fra donne), autonoma (cioè misurata sull’autorità materna e non sulla legge del padre, sul giudizio dell’altra e non dell’uomo), “sopra la legge” (cioè non dipendente dalla grammatica dei diritti), non secondaria né subordinata all’emancipazione (cioè praticabile anche da donne non emancipate secondo i canoni occidentali), sorgiva ed “eventuale” (cioè riconoscibile anche in eventi e contesti non contemplati dalla logica tradizionale e dagli schieramenti politici tradizionali)».

Io sto con chi pratica questa idea di libertà, quello è il mio “noi”, per esempio… (Poi ci sono anche altre cose, che fanno il mio noi.)

Questa della libertà femminile, su cui concludo e che all’altra questione – del senso comune – è molto intrecciata, ha due facce.

La prima è che l’esistenza di quella libertà è fuori discussione, per Ida Dominijanni e per me, anzi tutto il lavoro di Dominijanni vive della sua conoscenza di quel femminismo, della sua esperienza pratica e teorica di quel nostro femminismo. Tutto Il Trucco è illuminato come ho detto dalla sua applicazione di quel pensiero alla decifrazione del mondo e dell’accadere.

L’altra faccia è che non possiamo però continuare a dirci soltanto che siamo state brave, che abbiamo capito tutto, che la radice originaria del discorso rivoluzionario femminista è valida e utile senza bisogno di assestamenti per capire ogni presente. Diciamocelo, se questo ci rassicura, ma oggi non è la verità. La verità è che «c’era in quella radice della rivoluzione femminista una tensione all’unità di corpo e di parola che oggi tutto, fuori ma anche dentro il femminismo, tende a smembrare, una tensione all’unità di corpo e di parola che va ritrovata – pena il ricadere in una politica sulle donne che perde di vista l’ascolto delle donne cui si rivolge».

La verità è che durante il sexgate di cui il libro racconta – e poi anche dopo – il nostro femminismo si è trovato per la prima volta – e anche poi – «a confrontarsi con la potenza, i linguaggi, i ritmi e le tecniche di una sfera pubblica compiutamente mediatizzata che domanda l’invenzione di strategie comunicative diverse da quelle del femminismo delle origini, quando la presa di parola femminile poteva darsi l’agio di tempi e mediazioni (piccoli gruppi, contagio contestuale, elaborazione teorica in circuiti di nicchia) che oggi sono improponibili o insufficienti».

La verità è che il potenziale trasgressivo o sovversivo della differenza femminile, nel momento in cui essa diventa il target privilegiato delle strategie di marketing e serve alla governamentalità biopolitica, non si può più postulare: «la differenza femminile va ri-messa al mondo, come scommessa politica».

La verità è che noi siamo abilissime nell’individuare i meccanismi del potere ma siamo poco abili nell’individuare i modi per ribaltare il consenso. O per creare quella nostra tessitura di legame sensoriale, cioè ri-creare un senso comune condiviso molto più largamente di oggi.

La verità è che ci sono nostre titubanze pigrizie timidezze insicurezze – per chiamarle così – da analizzare, ci sono domande da rilanciare, e ci sono invenzioni da fare.

Passo la parola a Ida Dominijanni che potrà ripartire ovviamente da dove preferisce, aggiungere, precisare, arricchire… e poi avrò domande. Grazie.

(www.libreriadelledonne.it, 12 settembre 2015)

Print Friendly, PDF & Email