22 Giugno 2014
Corriere della sera

Il valora della crescita femminile va difeso da alcune insidie, prima fra tutte il rischio di omologazione

di redazione La27ora

Donne ai posti di comando per dare forza a una classe dirigente più moderna. Libera da vecchi codici e vecchi club, capace — nel suo insieme — di trasformare il Paese. In Italia si sta definendo la mappa di un nuovo potere femminile. La stanno disegnando quel 31 per cento di deputate e senatrici in Parlamento dal 2013, le otto ministre su 16 al governo, le capolista alle elezioni europee. E ancora: le manager nominate ai vertici delle società quotate in Borsa, le alte funzionarie di alcune aziende pubbliche strategiche, le 5 rettrici (su 78, pochissime) alla guida di università influenti. La svolta c’è. È in corso. Ma è a questo punto chevogliamo chiederci: lungo le direttrici di questa svolta ritroveremo anche le nostre strade comuni? Questa mappa è, o promette di essere presto, lo specchio di un cambiamento diffuso e coerente?

La realtà è che non ci sono ancora le condizioni per una vita quotidiana equa, con opportunità e responsabilità in equilibrio tra donne e uomini in tutti i campi, pubblici e privati. Anzi. Ci sono molti dati e statistiche e numeri che potrebbero essere qui considerati per raccontare come stiamo veramente. Prendiamone uno solo: la quota delle madri che ha lasciato il lavoro dopo la nascita di un figlio non è affatto diminuita. Al contrario, è balzata dal 18,4% nel 2005 al 22,3% nel 2012, percentuale molto superiore alla media europea. Questo vuol dire che resta moltissimo da fare e rivela quanto sarà fondamentale, in questa fase critica, il ruolo di chi è invece riuscita a rompere il soffitto di cristallo nazionale.

E dunque il valore della crescita femminile va difeso da alcune insidie, magari invisibili. Prima fra tutte il rischio di un’omologazione strisciante, o anche immediata, rispetto a chi ha avuto il controllo esclusivo del potere per secoli. Le donne, anche perché in forte minoranza e di conseguenza sotto osservazione speciale, finiscono a volte per assorbire i difetti dei vertici tradizionali: vengono cooptate nei nuovi ruoli e si uniformano alla classe dirigente preesistente. Non rompono gli schemi organizzativi, non cambiano il linguaggio, non innestano un’identità e un’energia proprie. Il paradosso è che, attraverso questa complicità più o meno consapevole, il potere maschile si «rigenera». Grazie al cambio di genere. Una seconda questione è in gioco tra le donne stesse. In questo caso, l’insidia arriva da quante «ce l’hanno fatta»: insieme vanno ad affollare una vetrina — molto esposta — che sembra comunicare alle altre donne, e agli uomini, una situazione di parità ormai raggiunta se non sorpassata. Chi non è in ascesa, chi non riesce a tenere insieme vita familiare e professionale, si sente a torto sbagliata e resta ai margini: teme — o viene accusata — di non essere abbastanza preparata e audace. Come se il successo di poche costituisse la prova che adesso tutto è possibile, se solo si hanno riflessi pronti e una giusta ambizione…

La riuscita di alcune donne sarà sì una leva sociale determinante, ma soltanto se aprirà a scelte libere — di fare o non fare carriera, di fare o non fare figli — e se saprà accelerare mutamenti positivi per tutte in mondi anche distanti. Siamo a un tornante risolutivo quanto pericoloso di una salita non breve: servono misure d’urto per scardinare le resistenze nel lavoro, nelle istituzioni, nel sistema dei talenti e dei meriti. Questa agenda per le donne, e per la società intera, deve aprirsi subito. Per non tradire chi comincia a immaginarsi in un futuro prossimo di possibilità, per chi quelle possibilità non riesce a intravedere.

L’innovazione del lavoro e nel lavoro è il primo punto. Orari ripensati, rotazione delle mansioni, valutazione dei progetti realizzati e non dei tempi lunghi in ufficio possono dare una prima spallata. Con il coinvolgimento di sindacati e associazioni delle imprese, la flessibilità è fondamentale perché scatti un cambio di organizzazione che liberi risorse e motivazioni personali. Ed è inutile ragionare di occupazione femminile finché il guadagno di una donna resterà in competizione con i costi di cura della casa, dei figli, dei genitori anziani. In questo passaggio, la leva fiscale è irrinunciabile. Sostituire la detrazione per il coniuge a carico — ormai si sa: è un disincentivo all’impiego femminile — con la deducibilità dei costi di cura sostenuti dalle famiglie renderebbe finalmente conveniente mantenere quel secondo stipendio.

Flessibilità, riforma del Fisco, educazione. Il divario tra studenti e studentesse è stato colmato, ma le bambine continuano a seguire percorsi scolastici influenzati da modelli culturali ancorati alle previsioni di genere. Le ragazze vanno invece incoraggiate a esplorare anche spazi ritenuti «maschili»: come quelli delle materie STEM (Science, Technology, Engineering, Math) che portano a professioni nella scienza, nella tecnologia, nell’ingegneria o nella matematica. Professioni che garantiranno maggiori chances di impiego, di crescita, di indipendenza economica a lungo nel tempo.

La rotta si sta invertendo ai vertici. Nuove politiche sociali e per il lavoro sosterranno la navigazione. Ma si avvicina un giro di boa coraggioso che tocca direttamente alle donne: nella ricerca di nuovi equilibri, pubblici e privati, ci sono stereotipi da smontare a favore degli uomini per rivoluzionare il loro ruolo nelle famiglie. Soprattutto come padri. È compito anche delle donne ripensare un’idea antica di virilità schiacciata su forza e protezione e infallibilità. Davvero la libertà è partecipazione: ma per tutti. Per le donne e per gli uomini, insieme, fuori e dentro casa.

(Corriere della sera – 22 giugno 2014)

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