24 Gennaio 2017
Corriere della Sera

Impariamo dalle donne americane

di Luisa Cavaliere

Migliaia di donne di tutte le età, uomini e ragazzi di tutti i colori, bambini e bambine portati per mano anche dalle nonne «guerriere» che hanno dissotterrato l’ascia per l’occasione, sfilano per le strade della capitale simbolica dell’ «impero» d’Occidente. Immagini di una maratona che non sarà, lo dicono i cartelli che compongono un’allegra pinacoteca, una corsa e che, promettono, sfiderà giorno per giorno la misoginia e l’ ignoranza di un presidente che rappresenta il peggio dell’America. Pura forza materiale e simbolica che somiglia tanto a quella che negli anni ‘60 sostenne il sogno di Martin Luther King o si oppose alla guerra in Vietnam. Somiglia come sempre il presente ricorda il passato, ma, non è quella. E non è quella perché ad indirla sono state le donne che hanno messo in scena una forza che parla al mondo e parla a ciascuna e a ciascuno di noi. Anche qui, anche in Campania dove sembra archiviata qualsiasi riflessione collettiva, qualsiasi antagonismo organizzato, qualsiasi cultura capace di rompere conformismo e rassegnazione (quando non complicità) con l’ ineluttabilità di ciò che accade. Per le strade delle città americane (un dato che sembra sfuggire anche a «prestigiosi» commentatori nostrani), le donne hanno dichiarato che lo scettro (quello che Trump promette di restituire al popolo e di cui si fa sinistro e arbitrario mediatore in nome di una investitura che i voti popolari gli hanno negato) non lo cederanno. Non consentiranno l’azzeramento delle tante e faticosissime conquiste che Obama ha radicato pur tra mille impedimenti e incomprensioni.

Le donne mostrano l’intenzione consapevole e politicamente feconda di assumersi la responsabilità di invertire il senso e il corso degli eventi. Resistono allo scoramento e accendono la scintilla che può bruciare la prateria. Mostrano il loro modo di prendersi cura della democrazia e delle sorti del loro Paese (e non solo). Costruiscono un protagonismo che nei giorni prima della manifestazione, ha giustiziato differenze, interessi di parte, separatismi. Guardano al bene comune come sempre fa chi con la politica desidera cambiare in meglio la vita di tutti e di tutte, il mondo. Aprono la strada e si preparano ad accoglierli, ad altri antagonismi, ad altre responsabilità.

Sta qui il valore dirompente e, in parte, inedito di quel meraviglioso fiume colorato che ha invaso le città del potere americano. Un valore quasi di metodo. Sta qui il lavoro necessario perché quel valore si espanda come un potente virus anche a Napoli e in Campania dove regnano incontrastate disoccupazione e precarietà; declino di culture di impresa e iniqua distribuzione del reddito; disfacimento progressivo e ineluttabile della coesione sociale, controllo della criminalità organizzata di grandissime aree.

Senza enfasi, che non è più il loro tempo, credo che con il sano realismo che non rinuncia alla speranza collocata nella storia e non usata come inutile sedativo, bisogna imparare rapidamente la lezione americana. Impararne tutti i capitoli. Coglierne tutte le implicazioni. Sottolinearne tutte le antiche novità come quella dell’età di chi ha pensato quella manifestazione. Una «ragazza» di sessant’anni, una pensionata che ha convinto le giovani dando loro il tempo. Volutamente immemore di una distanza generazionale che sembrava impedire scambio e reciprocità di esperienze e di pensieri. Contro questa destra vecchia e misogina che sembra dilagare, è necessario organizzare tessere relazioni produrre culture. Occorre non rassegnarsi e accendere scintille anche… sotto il Vesuvio. Intrecciando vecchie e nuove modalità. Senza innamorarsi dei sogni che pure rendono bella la vita.

(Corriere della Sera, 24 gennaio 2017)

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