Ecco le mie impressioni sull’incontro della redazione allargata di Via Dogana, del 9 luglio 2017 al Circolo della rosa. Subito vi dico che credo di aver capito molto bene alcune cose, altre rimangono oscure.
La questione dibattuta è stata innescata dallo “sbrego”, come l’ha definito Luisa, che si è aperto tra la comunità gay e quella lesbica, sulla legittimità della maternità surrogata, detta GPA, o Gravidanza per Altri. Io volgarmente definivo questa pratica “Utero in Affitto”. Ci scrissi sopra un articolo, su un giornaletto locale, anni e anni fa, che titolai appunto “Utero in Affitto, Garage Annesso”. Sembrava, volutamente, un annuncio immobiliare.
Il tono della discussione è stato molto alto, però ci sono state delle affermazioni che mi hanno toccata, nonostante non sia madre e non abbia mai avuto una gravidanza. Mi ha colpita l’intervista in differita con Cristina Gramolini, perché ha usato la parola famiglia, il diritto di potersi prendere cura dell’altro, dell’altra nel bisogno e per l’assistenza… Io lì ho capito bene tutto. Ed ero, sono d’accordo su tutta la linea. Poi c’è stata una provocazione forte contro gli uomini che chiederebbero l’approvazione delle donne. La provocazione non è stata raccolta.
Ho preso qualche appunto disordinatamente, ma quando Alberto Leiss ha parlato mi sono un po’ persa. Ho registrato che ha detto, forse riferendosi allo sperma, che è “un pezzo del corpo maschile”.
Ho capito e condiviso il discorso sulla genitorialità per tutti.
Mi sono emozionata quando, credo Patrizia, a proposito della gravidanza, ha tirato in ballo non solo l’esperienza uterina e l’intero corpo della donna, ma anche la sua immaginazione e la fantasia.
Luisa ha parlato dell’eugenetica, della china pericolosa di questa società di m., temibile, e ha fatto un’altra affermazione forte sull’asimmetria che esiste tra uomo e donna: se donare lo sperma non rende padri, accettare la gravidanza e partorire rende madri.
Poi un altro momento di buio, per me, quando sono state citate la sigla LGTBQ+ e le parole cisgender e transgender. Io lì non ho capito. Volevo attaccarci anche una C, per Chissenefrega, ma mi è sembrato blasfemo, Chissenefrega perché, per me, non ha senso appiopparsi un’etichetta e barricarcisi dentro. Ma questo è un problema mio.
Poi ha preso la parola Marina e lì, vai, mi sono proprio sentita interpellata. Io che vengo da un retroterra culturale non povero, anzi ricchissimo, ma gretto e materialista, e però sono radicalmente contro la mercificazione dell’essere umano, sia L. che G. che T. che B. che Q. che + che bambino, che deficiente, che inerme, e metteteci quello che volete, mi sono sentita d’accordo su tutta la linea. Ha parlato di libertà e di sfruttamento e di radicalità del no. Nessuna sfumatura: nessuna concessione all’altruismo che spalancherebbe le porte, come un cavallo di Troia, alla pratica dell’utero in affitto.
Si è parlato di non vietare: nulla si vieta tranne la pena di morte (badate bene che sto andando giù di falcetto). Qui sono saltata sulla sedia.
E ho fatto il mio intervento fantozziano. Tutto al contrario.
Il senso era che nel trecento sarei stata arsa, che negli anni quaranta sarei stata gasata. Ne sono consapevole. Alla fine l’ho scampata bella. Ho avuto la fortuna di nascere ai giorni nostri, ma una psicanalisi cieca, o che ci vede benissimo (come la sfiga!), mi ha impedito di fare figli. Poi ho citato il mio articolo di anni e anni fa di cui sopra e ho concluso parafrasando appunto Fantozzi. LA GPA è una cagata pazzesca. Nonostante mi sia impapinata e la mia caduta di stile, vi ho sentite solidali.
Il problema è che questa è una barzelletta che non fa ridere e me ne sono resa conto quando sono uscita e un’amica della libreria, alla cassa, mi ha parlato della mafia e del traffico degli organi dei bambini, e delle gravidanze pagate alle madri surrogate sottomesse a mariti magnaccia. In quel momento mi si è accapponata la pelle.
Più che il significato delle sigle, m’interessa, come ha detto Luisa, che esploda questa questione, esca dai salotti e dai cenacoli: bisogna parlarne, perché non è una questione che riguardi solo gay e/o lesbiche e/o tutte le altre sigle citate (e da chiarire per me). Io sono contenta di aver potuto partecipare. Ora mi chiedo quale potrà essere la prossima mossa per sfidare un silenzio che imploderebbe dentro di noi, affossando ancora di più i nostri mala tempora.
Scusate se sono stata così poco politically correct.
Francesca Zammaretti
(Via Dogana 3, 13 luglio 2017)