24 Aprile 2019
Il Quotidiano del Sud

In ricordo di Angela Cerra

di Fanca Fortunato


Ci sono persone che, senza che te ne accorga, entrano a poco a poco a far parte per sempre della tua vita, anche se le conosci poco, quel tanto da sentirle parte di te ed essere contenta/o ogni qualvolta le incontri. È quanto è stata per me Angela Cerra, la donna originaria di Decollatura morta il 9 aprile scorso e della cui morte sono venuta a conoscenza, pochi giorni fa, grazie alla sua carissima amica e collega Francesca, che si è presa amorevolmente cura di lei, insieme a Oslavia e Fiammetta, fino alla fine. La sua morte inaspettata è stata per me un colpo a ciel sereno. Non avevo saputo niente della sua improvvisa malattia e il dolore e la tristezza che ho sentito mi hanno fatto capire quanto questa donna mi fosse entrata dentro e come per me era parte del Centro oncologico “Pugliese-Ciaccio”, che “purtroppo” frequento da anni. Angela era caposala nel reparto day hospital diretto dal dottore Stefano Molica, scelta dal primario come caposala sin dalla sua apertura. Il mio incontro con lei risale a molti anni fa, quando mi sono affidata al dottore Molica per essere curata. Angela, la donna di piccola statura ma di grande umanità, dagli occhi chiari e dai capelli a caschetto, ha da subito conquistato la mia fiducia e simpatia, con la sua gentilezza, accoglienza, cordialità, col suo sorriso e la sua disponibilità che lei, come il dottore Molica, pretendeva anche da parte di tutte le infermiere. Andare in quel luogo per fare terapia e trovare lei, che mi salutava e mi accoglieva sempre con un sorriso, era per me motivo di rassicurazione e fiducia, mi faceva sentire viva, un essere umano, bisognoso sì di cure, ma anche di attenzione e di empatia. Quando sei nel bisogno, come lo sono le ammalate e gli ammalati, a volte basta un sorriso, un gesto gentile, un saluto, un sentirti chiamata/o per nome, per sentirti un essere umano e non una cosa da guardare con distacco e indifferenza. Angela sapeva tutto questo, era attenta ai rapporti umani e lo sapeva insegnare anche alle altre infermiere. Sapeva entrare nel cuore, gonfio di ansia e di angoscia, di ogni ammalato/a e trasmetteva loro fiducia, con un semplice sorriso. Una professionista, una brava caposala, che non aveva perso la sua umanità. Amata e stimata da tutti coloro con cui condivideva il suo lavoro, conosceva bene i bisogni profondi di chi si ammala, non disconosceva l’importanza dei medicinali, delle tecnologie, della professionalità di medici e infermiere/i, ma sapeva, perché lo praticava, che l’essenziale stava nei piccoli grandi gesti carichi d’amore, come ascoltare, guardare in faccia l’ammalato/a, chiedere, con un sorriso, mentre gli infilano l’ago nelle vene se gli stanno facendo male. Angela, insieme a tutti coloro che lì ci lavorano, rendeva quel luogo di disperazione e speranza, di angoscia e vita, di morte e resurrezione, un luogo familiare e accogliente, dove sentirsi al sicuro. Lei, con la sua presenza, mi ha accompagnata per tutto il tempo della terapia e anche dopo, a ogni visita di controllo. Ci incontravamo nel corridoio dove, con ansia, aspettavo di entrare dal dottore Molica. Lei mi sorrideva, mi chiamava per nome e si avvicinava per chiedermi come stavo. Poi, con fare gentile mi invitava a entrare. Con il suo sorriso, il suo fare discreto e la sua scrupolosità e attenzione a che la cartella medica fosse a posto, ascoltava le parole del dottore e, compiaciuta, condivideva con me la ritrovata serenità nel sentire che “tutto è a posto”. Mi accompagnava alla porta con il suo sorriso rassicurante e rassicurato. La sua presenza mi piaceva, mi dava forza e sicurezza e ogni volta ci salutavamo, sapendo che ci saremmo riviste alla prossima visita di controllo. Così non sarà più. Il male non ci ha dato il tempo di rivederci, ma il suo ricordo resterà vivo per sempre dentro di me. Addio carissima Angela.


(Il Quotidiano del Sud, 24 aprile 2019)


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