13 Novembre 2015

Io le voglio ricordare

La redazione del sito della libreria delle donne suggesisce anche il libro di Daniela Padoan “Come una rana d’inverno. Conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz” (Bompiani 2004) riporta tre conversazioni con Liliana Segre, Goti Bauer e Giuliana Tedeschi – italiane deportate ad Auschwitz e prigioniere nel campo femminile di Birkenau nel 1944.

di Anna Paola Moretti

Nel Convegno “Donne nei Totalitarismi” – 900fest 2015, tenutosi a Forlì dal 12 al 18 ottobre 2015, il nome di Ravensbrück ha richiamato qualche attenzione in occasione della recente pubblicazione del libro della scrittrice inglese Sarah Helm, Il cielo sopra l’inferno, presentato nel Fest di questo anno Forlì, il quotidiano Repubblica ne aveva ospitato una recensione (8/10/15) e il manifesto un’intervista all’autrice (22/10/15).

Ravensbrück, unico lager nazista destinato appositamente alle donne, è meno conosciuto di altri campi che sono diventati simboli dell’universo concentrazionario e sinonimi di sterminio, ma fa un effetto straniante sentirne parlare senza accenno al fatto che vi sono state rinchiuse quasi un migliaio di donne italiane, per la maggior parte deportate politiche.

Tuttavia è quello che è accaduto a Forlì, dove la presentazione del libro della Helm è stata fatta senza richiami al contesto italiano, assecondando la discutibile scelta editoriale della Newton Compton, che tende a presentare il libro come la scoperta di qualcosa di cui non si sapeva nulla, come recita la fascetta: “una storia di orrori tenuta nascosta per 70 anni”, che probabilmente non rende giustizia neppure all’autrice.

Anche per Ravensbrück quello che sappiamo lo dobbiamo in primo luogo alle sopravvissute e alla loro voglia di testimoniare e documentare, anche in nome di quelle che non c’erano più. Esistono studi storici, testi antologici, testimonianze di deportate di altre nazionalità tradotte in italiano, album fotografici (come il recente Ravensbrück di Ambra Laurenzi, nipote e figlia di deportate), video testimonianze e film. Tra le sopravvissute italiane che hanno dato parola pubblica alla propria esperienza ci sono:

Maria Arata Massariello, Il ponte dei corvi: diario di una deportata a Ravensbrück, 1978

Lidia Beccaria Rolfi, Anna Maria Bruzzone, Le donne di Ravensbrück: testimonianze di deportate politiche italiane, 1976

Lidia Beccaria Rolfi, L’esile filo della memoria. Ravensbrück, 1945: un drammatico ritorno alla libertà, 2003

Anna Cherchi, La parola libertà: ricordando Ravensbrück, 2004

Isa Desandrè in Maria Pia Simonetti, Vita di donne- Isa Desandrè, 1995

Fausta Finzi, A riveder le stelle: la lunga marcia di un gruppo di donne dal lager di Ravensbrück a Lubecca, 1979

Ida Marcheria in Aldo Pavia, Antonella Tiburzi, Non perdonerò mai, 2006

Maria Camilla Pallavicino di Ceva e di Priola, Non perdere la speranza: la storia di due sorelle in lager, 2009

Nora Pincherle, Come amare le viole del pensiero? Dio non c’era a Ravensbrück, 2007

Savina Rupel in Marco Coslovich, Storia di Savina: testimonianza di una madre deportata, 2006

Mi pare che non ricordare che già esistono parole di donne riuscite faticosamente a sopravvivere e a rielaborare la loro tragica esperienza faccia scadere un’occasione di ulteriore conoscenza a momento di consumo per promuovere le vendite, nel quale le donne ritornano ad essere ancora strumentalmente oggetti.

A conclusione dell’incontro di Forlì, un paio di interventi dal pubblico, tra cui il mio, volevano ricordare le deportate italiane, ma i relatori hanno chiesto di tagliare e abbiamo potuto pronunciare appena qualche nome; Sarah Helm si è mostrata invece piacevolmente sorpresa e ha dichiarato di non conoscere il contesto italiano.

È vero che all’estero la storia delle deportate italiane, minoranza numerica nel campo, quasi mai è conosciuta, che ogni paese ha dato (poco) spazio soprattutto alla memoria delle proprie deportate, trascurando quelle di altre nazionalità, che gli studi americani si sono interessati a Ravensbrück soprattutto per la parte di presenza ebraica. Ma c’è una memoria comune da costruire, che ricomprenda la molteplicità delle esperienze vissute da 130 mila donne che appartenevano a 40 nazioni.

Alcune hanno già iniziato l’opera di tessitura: penso al bellissimo film Present Past di Anet van Barneveld e Annemarie Strijbosch (1994) che ha per protagoniste cinque donne di differenti nazionalità, tra cui anche Lidia Beccaria Rolfi; o al progetto artistico di Pat Binder Stimmen aus Ravensbrück/Voices from Ravensbrück (http://pat-binder.de/ravensbrueck/en/home.html), che mostrando poesie e disegni delle deportate è un omaggio alla loro forza e creatività.

 

 

(www.libreriadelledonne.it 13/11/2015)

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