di Franca Fortunato
Annamaria Cardamone è stata eletta sindaca di Decollatura, un paesino di appena 50 kmq e 3.300 abitanti, situato alle pendici della Sila piccola nella provincia di Catanzaro in Calabria, alle amministrative del maggio 2011. È qui che è nata nel 1963. Ci incontriamo per farmi raccontare la sua storia. Comincia dall’inizio, dalla sua infanzia, e i suoi occhi chiari e il suo viso da bambina di donna adulta si riempiono di orgoglio. Sua madre coltivatrice diretta e suo padre commerciante di legname, sin da piccola le inculcarono una mentalità economica. Annamaria, seconda di sette figli (tre donne e quattro maschi), è l’unica in famiglia ad aver studiato e ad essersi laureata. Lo ha fatto affrontando e superando la contrarietà del padre con il sostegno della madre che – come tante della sua generazione – le ripeteva: «Le donne devono essere indipendenti. Tu devi avere un reddito». E lei i soldini se l’è guadagnati sin da piccola. Studente alla Scuola media preparò da privatiste due bambine per la primina. Grande lavoratrice Annamaria che non ha mai avuto paura di nessun uomo, compreso suo padre a cui si ribellava se maltrattava sua madre. Durante le elementari la mattina si alzava prestissimo per andare a guardare le pecore e solo dopo essersi lavata andava a scuola, dove a volte arrivava con qualche minuto di ritardo e si scusava per essersi “svegliata tardi”. «In quel momento era una vergogna per me andare a guardare le pecore. Però ero sempre preparata. Studiavo sempre. Vedevo nascere gli agnellini e dentro di me mi dicevo “questa vita la lascio”.» E così è stato. Frequenta la Ragioneria a Lamezia Terme e poi si scrive all’università a Messina alla facoltà di Economia e Commercio. Con l’aiuto della madre convince il padre a lasciarla andare e lavora per contribuire al suo sostentamento. Da laureata, dopo un corso di dirigente aziendale, per due anni si stabilisce a Palermo dove fa la responsabile amministrativa prima di una banca e poi di un’azienda agroalimentare. Annamaria interrompe la sua esperienza palermitana quando lascia il marito, un giovane messinese conosciuto negli anni dell’università, perché l’aveva ingannata.
«La mia vita è cambiata quando mi sono sposata con un siciliano. Siamo stati insieme tre anni e dopo sei mesi di matrimonio l’ho lasciato perché ho scoperto che aveva un figlio con la mia amica che abitava con me.» Annamaria ha un crollo, va in depressione e in analisi. «Questa storia mi ha fatto perdere tre-quattro anni, ma non mi sono arresa.» Tornata in Calabria, va a vivere e a insegnare a Lamezia Terme. Entra nella Coldiretti e dal 1996 al 2005 lavora all’interno del Gruppo d’azione locale, una Società che si occupava di progettazione integrata territoriale rurale, e ne diventa la vicepresidente. Comincia così la sua vita di progettista di fondi comunitari che la vedrà dirigere nel 2006 la Fondazione per la progettazione territoriale per i Dipartimenti regionali e i Comuni. È col suo ritorno in Calabria che entra attivamente in politica. Iscritta al Pd allo scioglimento della Dc, viene candidata alle regionali del 2010: «È stata una candidatura di servizio. Non volevo, ma mi ha chiamata la coordinatrice del Pd, Caterina Corea, e mi ha convinta». Non andrà al consiglio regionale ma a Decollatura risulterà la prima delle elette, sostenuta da un gruppo di giovani che conta su di lei per le prossime amministrative. Accetta. «Quando ho detto sì sentivo il dovere verso quei giovani che mi avevano aiutata e poi non era giusto lasciare il mio paese nel degrado. Era sempre stato un bel paese turistico. Potevamo fare qualcosa, potevamo farlo rinascere. Ho chiesto che nella lista non ci fossero persone che erano state già candidate e che ci fosse una buona presenza femminile. E così è stato. Non conoscevo la realtà del Comune. Sapevo che c’era un debito altissimo e che c’era stata una cattiva e disordinata gestione amministrativa. Per due volte c’era stata la Commissione antimafia anche se il Comune non era mai stato sciolto. C’erano stati episodi di esplosione di bombe e di macchine bruciate.»
Annamaria sin dalla compilazione della sua lista, civica e di sinistra, capisce che la gente è spaventata, non si sente libera di candidarsi, ha paura dell’ex sindaco da cui si sente ricattata. Ha difficoltà a trovare candidate e candidati. Alla fine nella sua squadra entrano sei donne e cinque uomini. Contro di lei tre liste tutte di uomini che, durante la campagna elettorale, cercano di delegittimarla con ingiurie e volgarità. Riceve anche lettere anonime offensive. Quando gli uomini vogliono denigrare una donna l’attaccano sempre sul piano personale, ne mettono in dubbio la moralità e le capacità, la deridono sul piano fisico. Annamaria reagisce non rispondendo, anche se ne soffre. La gente è vero ha paura, non si espone, ma la vota. Viene eletta sindaca con 827 voti. Allora tutto il paese partecipa alla festa della vittoria. «C’erano tante donne della campagna. Gli uomini della sinistra piangevano.»
Dopo appena tre giorni dall’insediamento Annamaria si rende conto della gravità della situazione economica amministrativa. Le arriva un pignoramento di 110 mila euro relativo al 1992-93. «L’ho fermato e lì ho capito che la segretaria e l’Ufficio tecnico non stavano con me. Nel giro di un mese mi sono resa conto che avevamo un debito di 1 milione e mezzo di euro. Mi è arrivata una bolletta per due anni di telefoni cellulari a carico del Comune di 27 mila euro e bollette elettriche per 450 mila euro. Ho capito che avevano fatto clientela.» Cambia la segreteria e il responsabile dell’Ufficio tecnico. Il vicesindaco, un imprenditore del luogo, si dimette per pressioni esterne. I suoi avversari, capeggiati dall’ex sindaco, cercano prima di farsela amica, lei rifiuta ogni invito, poi la attaccano sulla stampa e scommettono sulle sue dimissioni entro pochi mesi. Le arrivano lettere anonime che lei porta al Procuratore. Cercano, insomma, di fermarla. Lei va avanti. Sostituisce il vicesindaco dimissionario con una donna. In Giunta la maggioranza è donna. Si costituisce parte civile in un processo, che dovrebbe svolgersi a breve, per aver il Comune acquistato mezzi usati, messi sotto sequestro perché rivelatisi rubati. Erano stati venduti dal figlio dell’ex vigile, mandato in pensione al suo insediamento. Padre e figlio sono gli stessi che oggi sono accusati di aver ucciso a Decollatura, in pieno giorno, due mafiosi di Lamezia Terme, sembra per una questione di tangenti. Il padre è latitante, il figlio in carcere. Il fatto risale al gennaio scorso. (Domenico Mazzatesta, ex vigile in pensione, è ritenuto responsabile del duplice omicidio di Giovanni Vescio, 36 anni, e Francesco Iannazzo, 29 anni, di Lamezia uccisi il 19 gennaio alle ore 15,30 in un bar di Decollatura e che dopo l’omicidio si è dato alla fuga. Nel settembre dello scorso anno ignoti collocarono presso la sua abitazione un potente ordigno che nell’esplosione provocò forti danni all’edificio. Il figlio Giovanni, dopo il duplice omicidio, è stato arrestato perché ritenuto uno degli autori.)
Anche il depuratore è sotto sequestro. «L’ho fatto dissequestrare, messo a norma e oggi è un gioiello perché scarica acqua pulita.» Annamaria incomincia a fare ordine tra i dipendenti e le dipendenti che le fanno «la guerra. Passavano persino i documenti all’ex sindaco». Elimina piccoli privilegi e pratiche consolidate di clientela; apre un ufficio per le relazioni con il pubblico, cura la formazione del personale, in tutto 12 a tempo indeterminato, a maggioranza donne. Annamaria è un vulcano di iniziative e di progettualità. Apre, con l’aiuto di volontarie e volontari, una scuola estiva per i bambini della scuola materna; dà l’avvio a una fattoria didattica in collaborazione col centro mentale del luogo, dove opera una cooperativa di genitori che «cucinano, animano il centro, stanno con i figli e almeno due volte a settimana mangiano tutti insieme». Concede a una cooperativa un ettaro di terreno su cui si coltivano ortaggi e farro che vengono venduti.
Criticata dai suoi nemici, apprezzata dalla popolazione, Annamaria va avanti. Coinvolge la popolazione nella elaborazione del Piano strutturale comunale, apre le scuole materne ai figli degli immigrati rumeni e polacchi, coinvolgendo le loro madri. «Ci sono molte famiglie di rumeni a Decollatura e alcune di loro non possono pagare né il trasporto né la mensa. Allora faccio uno scambio di servizi. Le mamme, con una assicurazione annuale, fanno le pulizie al comune e in cambio hanno la mensa e il trasporto per i loro figli». Accoglie 20 ragazzi egiziani di cui tre ragazze, aderendo a un progetto regionale e li iscrive alla scuola Industriale di Soveria Mannelli, salvandola così dalla chiusura per mancanza di allievi. «Mi hanno aiutata tre professoresse in pensione che mi sono state vicine. Mi hanno dato forza, coraggio. Si sono dedicate ai ragazzi prima insegnando loro l’italiano e adesso col dopo scuola.» Risolve il problema della raccolta dei rifiuti, che nella regione Calabria è drammatica. Lo fa stabilizzando, tra le critiche e le proteste dei e delle dipendenti, dodici lavoratori e lavoratrici precari. «Non avevano la dignità di lavoratori, e questo mi pesava, in particolare per una donna gravemente ammalata che non aveva permessi per curarsi. Io glieli davo lo stesso. Ho chiuso il contratto con una Società esterna dei rifiuti che costava 148 mila euro all’anno, li ho assunti e sette di loro lavorano nella raccolta differenziata porta a porta.»
Decollatura con Annamaria diventa un esempio di buona amministrazione e le donne la sostengono. «La forza mi viene dalle donne che hanno voglia di fare e di lavorare.» Guai a chiamarla “sindaca anti ‘ndrangheta”, appellativo che rifiuta anche per le sue colleghe, Maria Lanzetta sindaca di Monasterace e Carolina Girasole di Isola Capo Rizzuto. «Non ci sono famiglie mafiose a Decolattura, c’è criminalità, non posso nasconderlo altrimenti non ci sarebbe stato un duplice omicidio alle tre del pomeriggio nel centro del paese. Non mi sento una dell’antimafia, né un’eroina che vuole salvare tutto. Quello che faccio lo faccio con passione. Questo vale anche per le mie colleghe con cui ci diamo forza, ci incoraggiano e ci sosteniamo, altrimenti è facile lasciare e dire basta. Nessuna di noi va a combattere la ‘ndrangheta, né aspira al martirio. Il nostro messaggio è che anche in Calabria c’è e si può fare la buona amministrazione. Siamo sindache che abbiamo applicato la legalità e la trasparenza, che dovrebbe essere una cosa ordinaria, non straordinaria. I giornalisti dovrebbero parlare di quello che facciamo, ma con i mass media si fa più audience quando si parla di mafia.» Annamaria è convinta che le donne la politica la fanno meglio degli uomini perché «non siamo predisposte alla corruzione, che è facile averla. In più la soddisfazione la troviamo nella relazione con l’altro, con la comunità, con chi ci sta accanto che lavoriamo, io lavoro, per farlo/a crescere». La storia di Annamaria non è una storia di lotta alla ‘ndrangheta o alla criminalità, ma di passione politica, di amore per il proprio paese che è amore per la madre, di desiderio libero femminile di buona politica e buona amministrazione, che in Calabria tante donne, come lei, stanno portando avanti con il consenso e il sostegno, soprattutto, di altre donne. La ‘ndrangheta e la criminalità politica mafiosa le combattono per tutto questo. Le intimidiscono, cercano di fermarle. Alcune di loro vivono sotto scorta. Chiamare queste donne sindache anti ‘ndrangheta non solo è riduttivo e pericoloso perché ne fa dei facili bersagli, ma non si rende giustizia al senso libero della loro differenza, ingabbiandole in un immaginario mass mediale che vuole la Calabria terra di ‘ndrangheta e anti ‘ndrangheta .