6 Maggio 2017
27esimaora.corriere.it

Kelly, madre surrogata pentita «Mi hanno usato e buttato via»

Monica Ricci Sargentini, inviata a Madrid

Kelly Martinez si aggira per le strade di Madrid con lo sguardo sperduto e la speranza di rivedere i due maschietti che ha partorito nel 2016 per una coppia spagnola. «Li ameranno abbastanza? Quando sono nati erano perfetti, due bambini bellissimi. Eppure i genitori li hanno guardati a stento. Non hanno legato, lo so». La sua missione ora è mettere in guardia le altre donne: «Non credete a quello che vi dicono le agenzie o i genitori intenzionali. Non c’è nessuna protezione per noi surrogate. Io mi sono sentita usata e poi buttata via. È solo una questione di soldi. A me hanno mentito. Per questo oggi parlo. Voglio avvisare le altre. Se solo potessi tornare indietro».

Americana, 32 anni, capelli lunghi neri, la donna, che vive in Sud Dakota, è venuta in Spagna accompagnata dal marito Jay con cui ha tre figli di 15, 13 e 5 anni. Lui le sta accanto con dolcezza mentre lei racconta delle tre gravidanze surrogate e di come ha rischiato di morire. «Credevamo di fare la scelta giusta – dice l’uomo – e invece si ė rivelato un incubo. L’ho convinta io a venire in Spagna perché volevo che si liberasse di questo peso».

Le motivazioni

Kelly è venuta a Madrid con Stop Surrogacy Now, il movimento internazionale fondato dall’americana Jennifer Lahl: «Ero disperata, ho scritto su google “Chi aiuta la madri surrogate?” E mi è comparso il suo nome». La ragazza ripete la sua storia nei minimi dettagli senza stancarsi. Va nel Parlamento spagnolo. Incontra deputati pro e contro. Rilascia interviste. «Perché l’ho fatto? Per i soldi sicuramente ma anche perché volevo che tutti fossero orgogliosi di me. Vengo da un’infanzia tragica: mio padre è morto quando avevo 13 anni, mia madre quando ne avevo 17 e mio fratello quando ne avevo 20. Le agenzie mi avevano convinto che era come se compissi un miracolo per queste coppie. Ho pensato che era il mio modo di guarire dalle ferite». Eppure tutte e tre le esperienze sono state negative. Ognuna a suo modo. «La prima gravidanza è stata nel 2005 per una coppia gay di Parigi che sembrava molto coinvolta. Sono venuti tante volte a trovarci». Ma dopo il parto è scattato il ricatto: «Siccome la maternità surrogata è proibita in Francia mi hanno costretto ad andare in consolato a Chicago e dichiarare che avevo avuto una storia con uno di loro due e che ora, per salvare il mio matrimonio, la mia unica possibilità era di spedire i gemelli con il padre biologico in Francia». Kelly e il marito si arrabbiano ma l’alternativa è tenere con sé i gemelli: «Come potevamo farlo? Avevamo già due bambini di uno e tre anni». Così la ragazza si presta al gioco: «È stata un’umiliazione terribile. Ero davanti alla console con uno dei neonati in braccio, loro parlavano solo in francese, lingua che non conosco, poi mi guardavano e, spesso, ridevano. Alla fine ho firmato dei documenti su cui non so nemmeno cosa ci fosse scritto».

La seconda coppia

Kelly va in crisi e ricorre all’aiuto di uno psicoterapeuta che, paradossalmente, per curarla le propone di fare un’altra maternità surrogata per un uomo e una donna che sta seguendo. «Pensavo che non ci sarei cascata più ma mi sono innamorata di questa coppia dello Iowa. È nata una bambina bellissima, però poi loro hanno divorziato e sono finiti in tribunale per la custodia della piccola. Mi si spezza il cuore perché io l’ho fatta nascere e se non fosse per me non sarebbe in questa situazione».

L’attaccamento

Quello che colpisce, parlando con Kelly, è il suo attaccamento per i bambini nati «su commissione». «Sì, lo so che ti dicono che è un lavoro e non devi affezionarti, ma io non ci riesco. Comunque io ho sempre messo in chiaro che volevo rimanere in contatto, sapere come stavano i bambini».

Gli spagnoli

L’ultima gravidanza, quella per la coppia madrilena, è stata la peggiore. «Non sono più la stessa – dice la donna -, mentalmente mi hanno distrutto. I due genitori intenzionali sono andati letteralmente in tilt quando hanno saputo che aspettavo due maschi invece di un maschio e una femmina. Da allora si sono disinteressati dei bambini. Non telefonavano più, non rispondevano ai messaggi. Ossessionavano il medico per sapere come mai i due embrioni maschio e femmina impiantati non avevano portato al risultato voluto e per il quale, ho scoperto dopo, avevano lautamente pagato. Ho chiesto alla madre intenzionale se avevano scelto il nome e loro mi hanno detto di no: «Sono baby A e baby B». Eppure avevano già una personalità, si muovevano. Una volta le ho scritto: «Mi sa che giocheranno a calcio. E lei ha risposto: sono ancora due maschi? A un certo punto ho pensato che non sarebbero venuti a prenderli ed è lì che ho cominciato ad attaccarmi ai piccoli».

La malattia

Il parto è prematuro. Kelly va in gestosi e rischia la vita. «Mi sono ammalata, ho preso 9 chili in una settimana. Avevo i piedi gonfi. Subito dopo Natale non riuscivo a infilarmi le scarpe. Non potevo respirare, il mio fegato era in sofferenza e anche i reni. La coppia però non si preoccupava di me, quando stavano per farli nascere, il padre mi ha scritto che io non li rispettavo e li stavo stressando. Doveva essere uno sforzo di squadra. Noi abbiamo fatto di tutto per farli diventare genitori, loro non hanno fatto nulla». Si preoccupa, invece, Madison, la figlia di Kelly che allora ha 12 anni. «Mi ha chiesto se rischiavo di morire, era un pensiero che non mi aveva mai sfiorato, l’ho chiesto all’agenzia, loro mi hanno risposto: sono casi rari».

Il parto

I bambini nascono alla 30sima settimana. «Nella sala parto lei era con me, non mi sembrava una mamma, non aveva emozioni. I bambini erano molto piccoli ma hanno subito pianto. Erano le nove di sera, i genitori alle dieci avevano già lasciato la clinica. Il giorno dopo sono andata a vederli. Loro alle 11 di mattina non c’erano ancora, gli infermieri li cercavano. Li avevano lasciati soli. Mi si è spezzato il cuore. I bambini appena hanno sentito la voce di Jay si sono mossi e l’infermiera ci ha detto che non si erano mai mossi così tanto».

L’epilogo

Appena si ristabilisce Kelly lascia la clinica per assistere a una recita della figlia ma vuole notizie dei bambini: «Mi hanno mandato delle foto in cui non c’era alcuna emozione. Sembravano degli oggetti. Sono impazzita per questo».

Il 17 febbraio 2016 la coppia spagnola se ne va con i bambini senza dirlo né a Kelly né all’agenzia: «Dovevamo restare in contatto, rimanere amici. Era questo il patto. Invece loro hanno lasciato le spese mediche da pagare, hanno insinuato che io avessi partorito in anticipo di proposito per prendere i soldi e si sono arrabbiati perché mi sono fatta chiudere le tube. I miei figli non sono riusciti a vedere i bambini e io non ho potuto salutarli. E quella è l’ultima volta che ho saputo qualcosa di loro».

(27esimaora.corriere.it 6 maggio 2017)

Print Friendly, PDF & Email