20 Febbraio 2014
La Sicilia

La cultura occidentale deve ripensare il concetto di autorità

di Pinella Leocata

 

«Sovrane» sono le donne con la loro autorità, con la loro conoscenza sapienziale fondata sull’esperienza e con la loro capacità di tessere relazioni con altri, inclusi gli animali, le piante, la terra, il mondo. E sono le donne, secondo la filosofa Annarosa Buttarelli, le sole in grado di affrontare l’attuale perdita di orientamento della politica e delle istituzioni, le sole capaci di superare gli specialismi sterili e settoriali per ritessere una necessaria connessione tra visione cosmologica e conoscenza, forti della «potenza liberatrice dell’autorità… finalmente intesa come ritrovamento della priorità politica ed esistenziale delle relazioni».

Di questo parla Sovrane. L’autorità femminile al governo (Il Saggiatore, 2013), un libro che affronta la crisi contemporanea a partire da un convincimento profondo: il tramonto del patriarcato. «Questa struttura simbolica, sociale, politica, istituzionale e religiosa – sostiene Annarosa Buttarelli – non ha più la forza necessaria per ordinare i legami e i suoi aspetti sociali. Non è più in grado di sorreggere neppure la vita istituzionale, ormai diventata una sorta di farsa». Ad essere entrato in crisi è il concetto di sovranità, principio cardine dell’epoca moderna. Non a caso nel discorso politico contemporaneo uno degli choc più forti è stato il dover constatare la perdita di sovranità degli stati nazionali, la loro incapacità di governare i territori.

(La Sicilia, 20 febbraio 2014)

Questo fa dire alla Buttarelli che «i fondamenti della vita occidentale non ci sono più» e che bisogna ripensare la sovranità, l’autorità, «a patto che mantenga la sua radice femminile», e che si riscopra lo stretto legame tra la vicenda delle donne e quella del popolo. Dunque va ripensato il concetto di democrazia, anch’esso profondamente in crisi. E se un governo del popolo non è mai esistito, e la democrazia è un orizzonte da raggiungere, è comunque evidente che questa non può esistere se non c’è una qualche centralità del popolo. E poiché le donne non hanno partecipato alla lotta per il potere sono loro a riaffacciarsi all’orizzonte politico, con il popolo, per reclamare le proprie ragioni. «Sono loro, strettamente connesse alla vita, a proporre i nuovi fondamenti per una vita associata, istituzioni incluse, attingendo al loro deposito di sapienza e di pratiche».

E il riferimento è al pensiero delle antiche filosofe, da Ildegarda di Bingen che voleva eliminare le armi, alla sapienza cosmologica di scrittrici come Anna Maria Ortese, all’esperienza delle sindache che in Calabria lottano la ‘ndrangheta, e al movimento delle amministratrici di cui è parte la sindaca di Ostiglia Graziella Borsatti, esempi possibili della «fuga dall’ideologia della rappresentanza, dal prevalere della quantità sulla qualità, dal dominio della funzione manageriale e dell’organizzazione tecnocratica del lavoro».

«Governare – sottolinea Annarosa Buttarelli – non significa prendere il potere, ma equivale alla capacità di riorientare la vita, anche quella associata. La proposta femminile è coerente nei secoli e dice che la vita non è governabile con dispositivi di potere, dice che bisogna trovare altre strade che superino la razionalità occidentale». E questo significa mettere in discussione l’assunto cartesiano della separatezza tra pensiero e realtà, il pensiero maschile astratto dal reale, per riconoscere che «il sapere è innanzitutto sapere dell’esperienza» basato sulle relazioni. Ed è da qui, dalle relazioni tra le persone e tra le persone e il mondo, che bisogna partire. Perché «sono le relazioni a mantenerci vivi e desideranti».

Per questo Annarosa Buttarelli chiede alle donne appassionate della politica «che non sia il computo numerico delle quote femminili a prevalere, ma il merito, l’intelligenza, la libertà e la capacità delle proprie simili a potere riordinare e governare i molteplici livelli delle relazioni in cui siamo immersi. L’essenziale – scrive – non sono i posti di potere, ma semmai i motivi per cui vi si giunge e il mondo simbolico cui si fa riferimento per gestirli». Per questo ritiene che sia finito il momento storico delle mediazioni con gli uomini. «Non ha funzionato – dice – dal momento che non c’è una diffusa volontà maschile di riconoscere l’alto livello di pensiero che viene dalla genealogia politica delle donne. Dunque non c’è possibilità di contrattazione. Il patriarcato non c’è più, non c’è via d’uscita se non in un cambiamento di forma mentis. Non resta che la fermezza dell’autorità femminile. La vita è presidiata dalle donne e va avanti perché ci sono loro».

Ma perché l’autorità femminile dia un nuovo ordine alla vita, e la governi, «è necessario che le donne smettano di essere ancora troppo esitanti, è necessario che smettano di fare come Ismene che si chiude in casa per evitare il conflitto».

(La Sicilia, 20 febbraio 2014)

 

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