Angela Putino Napoli 1946 – 2007
di Stefania Tarantino
Filosofa e femminista napoletana di grande forza umana e teoretica, Angela Putino ha lasciato un’impronta indelebile in chi l’ha conosciuta e in chi, anche senza conoscerla personalmente, ha frequentato i suoi testi. Veniva da una famiglia della media borghesia napoletana: la madre, Maddalena, insegnava in una scuola elementare, mentre il padre, Saverio, lavorava in una ditta di costruzione. La sorella, Anna, oggi in pensione, ha insegnato matematica e scienze in una scuola media. Racconta che sin da piccola Angela aveva una grande padronanza della scrittura e che le piaceva molto scrivere poesie, così come disegnare e dipingere con sapienza colori e forme. Non a caso, poi, il suo amore per Klee e Velasquez. Frequentò il liceo classico Sannazzaro di Napoli e, dopo il diploma, s’iscrisse alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Napoli “Federico II”. Si laureò in filosofia morale discutendo una tesi dedicata al filosofo tedesco Karl Jaspers, sotto la guida di Pietro Piovani. Partecipò attivamente al Sessantotto: oltre le tante manifestazioni, aveva dato vita a una comune e, in occasione del referendum sull’aborto, aveva raccolto firme improvvisando dei banchetti per strada.
All’inizio degli anni Settanta i suoi primi incarichi all’Università di Napoli e poi all’Università di Salerno dove insegnerà fino all’ultimo giorno.
È stata una donna libera che si poneva fuori dalle regole di pensieri e azioni codificate. La sua natura inaddomesticata, inquieta, la portava a varcare i confini del linguaggio, della parola funzionale: era una ricercatrice capace di disorientare chiunque volesse riportarla a ordini e schemi già confezionati. Amava gli spazi aperti. La sua casa, così piccola all’interno, godeva di una vista straordinaria sul golfo di Napoli e, cosa abbastanza rara nel centro città, era circondata da un grande giardino abitato da piante, fiori e tanti tanti gatti. Come racconta il suo amico, drammaturgo e attore Enzo Moscato, la sua casa era la casa di tutti/e, era una piazza, un’agorà accogliente in cui ciascuno/a si sentiva a casa propria. Era il frutto di un lavoro fatto con il suo amico Riccardo Dalise. “Zelig”: Giovanna Petrelli chiamava così Angela, per la capacità che aveva di vivere gli altri. Capacità e dono di una donna la cui vista segnava il suo rapporto con il reale. Te lo ridava vivo, bello e tragico. Lo dicono i suoi scritti e – per chi la conosceva – il suo sentire: il giardiniere che la aiutava e il preside di Facoltà avevano in lei lo stesso riguardo. Questa disponibilità alle relazioni, al fare comune, unita a un’indole brillante, ironica e divertente, è stato un elemento importante anche per il modo in cui ha inteso la filosofia e ha preso parte al femminismo italiano. La bellezza – che raramente nominava – era un suo composto. Lo era anche nel furore che la prendeva di fronte all’ingiustizia. […]