4 Ottobre 2014
il manifesto

La famiglia è flessibile

di Gilbert Garcin

 

È ormai chiaro che la pre­ca­rietà, defi­nita esi­sten­ziale dai filoni di pen­siero e di inchie­sta che più appro­fon­di­ta­mente l’hanno ana­liz­zata in que­sti anni, non ha a che vedere solo con la dimen­sione lavo­ra­tiva. Tra smot­ta­menti limac­ciosi, il dispie­garsi del para­digma bio­e­co­no­mico ha aperto una frat­tura fer­tile, uno spa­zio ibrido meno impac­ciato dal peso di iden­tità e isti­tu­zioni costruite sulla «norma» e sulle «natu­ra­liz­za­zioni». Lo sman­tel­la­mento del diritto del lavoro e del wel­fare ha tra­volto le cate­go­rie di tempo e spa­zio, demo­lendo impie­ghi a vita, cer­tezze pen­sio­ni­sti­che e garan­zie di red­dito. Ma ha anche lasciato respi­rare ori­gi­nali crea­ture sociali e desi­deri can­gianti inse­guiti da una razza bastarda (senza genere, senza genesi), per usare l’efficace imma­gine di Donna Hara­way. Por­ta­trice di forme ine­dite di vita e di scelte ripro­dut­tive eccen­tri­che, essa inventa nuovi legami e nuove «fami­glie», spe­ri­men­tando diverse forme di col­le­ganza, cioè nuovi discorsi amorosi.

Rela­zioni instabili

Così, appunto, la rac­colta di saggi L’amore ai tempi dello tsu­nami. Affetti, ses­sua­lità, modelli di genere in muta­mento (ombre corte, pp. 238, euro 22), curata da Manuela Galetto, Gaia Giu­liani e Chiara Mar­tucci, si lan­cia nella fon­da­men­tale e non abba­stanza pra­ti­cata esplo­ra­zione di que­sto nuovo pano­rama sociale dopo il pas­sag­gio dell’onda ano­mala che ha gene­ra­liz­zato la pre­ca­rietà. Lo sguardo degli autori e delle autrici che hanno con­tri­buito al testo si alza lad­dove si sta­gliano non solo mace­rie ma nuove con­fi­gu­ra­zioni delle rela­zioni e degli affetti nella post-modernità. Si sco­pre allora la potenza amo­rosa espressa da una «nuova spe­cie» non­ché la forza costrut­tiva di espe­rienze fino a ieri oscu­rate, attra­verso lo sve­la­mento della mul­ti­for­mità della sog­get­ti­vità ero­tica. Le libertà che sor­gono dalla assenza di assetti fissi dise­gnano una geo­gra­fia istrut­tiva che evoca l’aspetto incoer­ci­bile del desi­de­rio umano, pur coster­nato dai det­tami del neo­li­be­ra­li­smo. La vita, oggi dispo­sta in fun­zione dei biso­gni e degli impe­ra­tivi dell’impresa, si dibatte dispe­ra­ta­mente in cerca di un nuovo sta­tuto, con­sono alle neces­sità pre­senti e il sog­getto si inter­roga sulle ten­sioni che si sca­ri­cano sugli aspetti rela­zio­nali, affet­tivi e ami­cali, cer­cando vie d’uscita, cioè rispo­ste imme­dia­ta­mente poli­ti­che. «La con­di­zione che risulta dalla scom­po­si­zione post­mo­derna del sog­getto — si legge nella pre­fa­zione – è vista come quella in cui si pro­du­cono l’atomizzazione e l’individualizzazione esclu­si­va­mente nel pri­vato delle stra­te­gia per fron­teg­giare l’instabilità e l’insicurezza pre­ca­rie. Il nostro inte­resse si rivolge invece alla neces­sità che il muta­mento, inteso come pre­ca­rietà dif­fusa, impone di un ripen­sa­mento com­ples­sivo delle forme di soli­da­rietà e risponde all’urgenza di dare voce alle nuove pra­ti­che affettivo-relazionali che l’attuale situa­zione economico-sociale pro­duce». La cop­pia mono­ga­mica ete­ro­ses­suale e il «con­ti­nuum socio-sessuale» da essa incar­nato si sono sgre­to­lati o, per dirla con il titolo di uno dei saggi, di Ales­sia Acqui­sta­pace, assi­stiamo al «deco­lo­niz­zarsi della cop­pia». Si tratta ormai di una realtà spe­ci­fica, che non può più pre­ten­dere di model­lare tutti gli altri rap­porti sociali; emerge il desi­de­rio in quanto nozione auto­noma. Pos­siamo pren­dere coscienza del fatto che la forma della nostra sog­get­ti­vità è radi­cal­mente sto­rica e con­tin­gente? Pos­siamo ammet­tere la non-necessità e la non-naturalità del «regime di verità» sulla base del quale tale forma è stata costi­tuita, senza pro­vare al con­tempo il biso­gno di cam­biare gli aspetti del nostro rap­porto con noi stessi, gli altri e il mondo che tro­viamo inac­cet­ta­bili? Senza pro­vare, insomma, il biso­gno di tra­sfor­mare la sog­get­ti­vità che ci viene impo­sta e di con­te­stare il regime di verità che «natu­ra­lizza» ed «eter­nizza» tale imposizione?.

Vite «buone»

«I corpi sono per­for­mance», ricorda Liana Bor­ghi nella bella post­fa­zione, «non sono una cosa e non sono per­ma­nenti»; «l’identità è un incon­tro, un evento, un inci­dente, un fatto, un momento del dive­nire di corpi in movi­mento». Vale la pena di ricon­fi­gu­rare i modelli esi­stenti di società e di poli­tica e di capire allora quali nostri atteg­gia­menti ci nor­ma­liz­zano e ci por­tano ad accet­tare stor­ture sociali e mol­te­plici ingiu­sti­zie, «rifu­gian­doci in una pic­cola feli­cità, che non è poco, ma non basta a ren­dere buona una vita cat­tiva». Le inda­gini rac­colte affron­tano tali que­stioni «costi­tuenti» per la sog­get­ti­vità con­tem­po­ra­nea attra­verso un posi­zio­na­mento auto­ri­fles­sivo che rap­pre­senta una pre­cisa scelta meto­do­lo­gica (anch’essa poli­tica) e assume allora, per forza, un’altra voce rispetto alla cri­stal­liz­za­zione delle logi­che acca­de­mi­che. Il lin­guag­gio teo­rico viene deco­struito dall’approccio pre­scelto, che con­si­dera «impre­scin­di­bile l’esplicazione della posi­zione da cui gli autori e le autrici guar­dano le cose». Por­pora Mar­ca­sciano ricorre, per­ciò, alle parole «nude e crude» delle per­sone tran­ses­suali per espli­ci­tare come il «tran­sito» dia forma all’amore per­ché lo inse­gue lad­dove si trova senza accon­ten­tarsi della cor­ri­spon­denza tra sesso e genere rispet­tosa dei sistemi socio-sessuali vigenti. E Gaia Giu­liani e Chiara Mar­tucci, in un dia­logo sor­pren­dente rico­strui­scono i nessi tra la grande sto­ria (la guerra del Golfo, Genova 2001…), lo sva­nire del diritto del lavoro, i movi­menti sociali che hanno inter­pre­tato e com­bat­tuto la pre­ca­rietà, i col­let­tivi fem­mi­ni­sti che hanno letto le rica­dute esi­sten­ziali nel fra­gi­liz­zarsi del lavoro (May­day Parade; Scon­ve­gno; Sexy­shock) e la sto­ria per­so­nale, che ha affron­tato diret­ta­mente il muta­mento, anche vio­lento, con nuove con­sa­pe­vo­lezze e nuovi pro­cessi di pro­du­zione affet­tiva. Ci spiega, Laura Fan­tone, come il desi­de­rio di mater­nità possa essere rein­ter­pre­tato facendo di se stessa una dona­trice di ovo­citi, il che signi­fica allar­gare la capa­cità gene­ra­tiva dell’essere, svin­co­lan­dosi dal mito della cop­pia eterna e dal para­dosso di una società ita­liana che vuole gene­ra­zioni fles­si­bili non libere di avere fami­glie fles­si­bili. Corpi, insomma, dispo­ni­bili a spe­ri­men­tare nuove agency, radi­cal­mente poli­ti­che. Elisa Arfini, «la ricer­ca­trice vul­ne­ra­bile», parte da sé per ragio­nare di disa­bi­lità e ses­sua­lità for­nendo indi­ca­zioni stra­te­gi­che: «il modello sociale della disa­bi­lità con­sen­tirà di resi­stere all’individualizzazione, alla segre­ga­zione e alla nor­ma­liz­za­zione per pro­durre una poli­tica della disa­bi­lità come poli­tica di classe». Pos­siamo pun­tare anche attra­verso que­ste pra­ti­che su una nemesi del capi­ta­li­smo? Sarà suf­fi­ciente que­sta ten­sione multi-amorosa, que­sta pul­sione vitale che ci col­lega al mondo, a scar­di­nare gli ordi­na­menti neo­li­be­rali? Pen­siamo che le espe­rienze mate­riali tra corpi e corpi che inner­vano la realtà quo­ti­diana siano asso­lu­ta­mente più avanti dell’ottusità di gover­nanti e chiese. Il punto è riu­scire a con­net­tere tutti que­sti immensi eser­cizi di rot­tura, que­sto gro­vi­glio quan­to­queer, spin­gendo la con­trad­di­zione rap­pre­sen­tata dalla discra­sia tra il dovere e il volere essere al cuore stesso del potere. Si tratta, insomma, di poli­ti­ciz­zare (orga­niz­zare), sem­pre più e sem­pre meglio, il tema dell’autonomia del sog­getto con­tem­po­ra­neo, deter­mi­nando nuovi rap­porti di soli­da­rietà capaci di tra­dursi in nuovi, e più giu­sti, rap­porti sociali

 

(il manifesto, 4 ottobre 2014)

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