5 Dicembre 2012
il manifesto

La lezione di Miranda e Bolivar

Geraldina Colotti

«Nella rivoluzione bolivariana sono le donne a dirigere le organizzazioni popolari – dice la filosofa venezuelana Carmen Bohorquez (classe 1946) – Ai vertici, su 5 poteri che abbiamo in 3 vi sono donne. La nostra costituzione è declinata sui due generi, la parità per noi non è solo sulla carta». Intellettuale di primo piano e dirigente politica (è stata viceministra della Cultura ed è deputata supplente eletta nel Zulia), Carmen Bohorquez è animatrice della Rete internazionale degli intellettuali in difesa dell’umanità.
Sabato 8 dicembre, sarà a Roma per due incontri: nel primo, organizzato dall’ambasciata venezuelana e dalla Rete dei comunisti alle 15,30, alla Casa della Pace, discuterà di Cultura e rivoluzione. Il secondo, si svolgerà alle 19 alla fiera per la piccola e media editoria «Più libri più liberi» sul tema «Voci femminili della letteratura latino-americana. L’emancipazione al femminile: sguardi dall’America Latina», un’iniziativa a cura dell’Istituto Italo-Latino Americano. Insieme a Bohorquez, ci saranno la cubana Zuleica Romay e la colombiana María Matilde Rodríguez (introduce Sylvia Irrazábal, coordina Gabriella Saba).
Studiosa della storia del Venezuela, Carmen Bohorquez ha dedicato diversi lavori alla figura di Francisco de Miranda (Caracas, 1750 – San Fernando, Cadice, 1816): il «precursore delle indipendenze dell’America latina», com’è universalmente riconosciuto e come lei lo definisce nel suo ultimo libro, Francisco de Miranda, tradotto per le edizioni Nuova cultura da Luisa Messina Fajardo.

La figura di Francisco de Miranda occupa un posto centrale nella sua produzione culturale, perché?
Come molti intellettuali latinoamericani, considero fondamentale un lavoro di recupero della memoria storica. Duecento anni dopo la lotta dell’indipendenza dalla Spagna, nel nostro continente persistono ancora le relazioni di dominio contro cui si sono battuti Miranda e Bolivar. La nostra è un’indipendenza incompiuta, siamo stati fino a ieri il cortile di casa degli Stati uniti. Le risposte che hanno cercato quei precursori sono le stesse che stiamo cercando con la rivoluzione bolivariana in Venezuela, con quella cittadina in Ecuador, con quella indigena in Bolivia, o con quella sandinista in Nicaragua. Un nuovo corso non più basato su relazioni ineguali fra stati e subalterne agli Stati uniti o all’Europa. Per la prima volta si è verificata una felice congiuntura: l’elezione di alcuni presidenti, in costante e proficuo rapporto con un popolo protagonista, che stanno maturando una visione comune: per molti versi condivisa con vari accenti anche a livello continentale più ampio. Miranda e Bolivar furono i primi a comprendere che non può esserci vera indipendenza senza unità dell’America latina e dei Caraibi, e che bisogna lottare. Miranda è stato un gran maestro nel segnalare i pericoli a cui ancora ci troviamo di fronte: il nostro continente custodisce riserve appetibili, acqua dolce, biodiversità, fondamentali per mantenere il livello di consumo dei paesi capitalisti. Il Venezuela possiede la prima riserva mondiale di petrolio. La Bolivia, il gas… Miranda ha indicato come questione centrale per la liberazione dei popoli la coscienza della propria dignità. Quando un popolo decide di essere libero, non c’è impero che tenga. Come in Vietnam.

Quel Vietnam era figlio del ‘900, figlio di grandi ideali e di grandi orizzonti. Dopo l’89, dopo la scomparsa del campo socialista, prive di sponda e di orizzonti, in tante parti del sud del mondo le rivolte popolari non hanno preso la strada del socialismo. Basta la bussola anticoloniale per ricostruire un’alternativa?
No, certamente, è necessaria anche una battaglia delle idee. Oggi le cose sono molto più complicate, per esempio nel mondo arabo. Per avere un’egemonia sulle rivolte di piazza, per cooptarle o distorcerle, abbiamo visto all’opera ingerenze neocoloniali e forze reazionarie. Dal sud del mondo all’Europa, all’indignazione e alla creatività delle lotte di massa manca una forza organizzata per il socialismo. Non si esce dal disastro dalla sera alla mattina, ci sono passi avanti e lunghi passi indietro. Quelle lotte stanno comunque facendo esperienza. Fino a ieri l’Europa era addormentata dal consumismo, ora le masse popolari si stanno rendendo conto che quella capitalistica è una crisi di sistema: crisi ecologica, energetica, alimentare. Quel modello di sviluppo è fallito.

Su quali basi si articola, in Venezuela, una battaglia delle idee?
In Venezuela stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione, anche gli intellettuali fanno la loro parte, prima di tutto rendendo esplicita la portata epocale della partita che si sta giocando nel mondo tra un modello che porta alla catastrofe e il socialismo che l’umanità ha interesse a costruire. Non abbiamo più scelta. Eppure masse di sfruttati continuano a votare chi gli stringe il cappio al collo, magari cambiano solo il colore del cappio. Il problema dell’alienazione è fondamentale. Il popolo ha introiettato i disvalori del consumismo, della competizione, dell’individualismo. Pensa che solo accumulando soldi e consumando può avere un riconoscimento sociale. Sta a noi intellettuali combattere queste idee che legittimano un modo di produzione predatorio, decostruire i discorsi che negano la dignità della persona, per mettere al centro un nuovo essere umano. Stiamo costruendo il socialismo del XXI secolo dall’interno del capitalismo, puntando su consenso ed egemonia. Una sfida non facile.

Lei organizza ogni anno un Forum internazionale di filosofia molto seguito. Quale sarà il prossimo tema?
Quest’anno sarà Cultura, comunicazione, egemonia. A luglio, ne discuteranno 50 intellettuali provenienti da ogni parte del mondo e 50 venezuelani. Un forum di riflessione critica sulla realtà, lontano dall’idea che la filosofia sia qualcosa di astruso e distante. Ogni pensiero filosofico è determinato dalla condizioni storiche in cui si sviluppa, è situato in un tempo e in un luogo. All’incontro non partecipano solo filosofi, ma anche rappresentanti di altre discipline e l’invito è aperto ai non accademici: può venire un operaio, se ha delle idee e delle proposte da mettere in comune. A luglio, per una settimana, si discute di questo tema in tutto il paese, in varie iniziative sparse che si concludono con una discussione pubblica. Poi si svolge la discussione finale e si elaborano proposte.

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