28 Luglio 2016
Corriere della Sera

«La maternità surrogata sarebbe legittima con il diritto al ripensamento»

di Luigi Ferrarella

Ora come ora, senza regole, il divieto di maternità surrogata (nella quale una donna accetta gestazione e parto per conto di un’altra coppia) protegge la donna gestante dalla mercificazione: ma se il legislatore le assicurasse un diritto di ripensamento, e cioè «sempre e comunque» la possibilità fino all’ultimo di decidere di tenere il bambino anziché consegnarlo per contratto alla coppia committente, allora la maternità surrogata cesserebbe di «ledere la dignità della donna». È una motivazione double-face quella argomentata dalla sezione famiglia della Corte d’Appello di Milano, a latere di una questione invece più di nicchia sottoposta alla Consulta nel caso di un bimbo nato in India da una anonima madre indiana per conto della coppia italiana che poi lo aveva riconosciuto come figlio naturale: la questione della possibile incostituzionalità dell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio minorenne, nella parte in cui non prevede che possa essere accolta dal giudice solo ove risponda all’interesse del minore stesso. La Corte ritiene «irriducibile il contrasto tra la maternità surrogata e il principio di dignità personale della gestante con riferimento alla mercificazione del suo corpo se degradato a solo strumento di procreazione “per contratto”, che la obbliga a disporre del proprio corpo come mezzo per fini altrui e a consegnare il nato ai committenti». In ciò la Corte trova il divieto di maternità surrogata non incostituzionale, ma tale da «garantire la tutela di fondamentali diritti della donna, violata nella dignità se vincolata in una “gestazione per altri” attuata nella logica dello sfruttamento e commercializzazione del suo corpo, particolarmente evidente nelle donne più vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo». Ma la presidente Bianca La Monica e le giudici Patrizia Lo Cascio e Daniela Troiani svolgono queste osservazioni in un contesto tutt’altro che ostile alla plausibilità teorica di maternità surrogata: infatti «potrebbe non ravvisarsi lesione della dignità della donna qualora le fosse consentito, con scelta libera e responsabile, di accedere e dare senso, in condizioni di consapevolezza, alla pratica“relazionale” della gestazione per altri, in un contesto regolamentato in termini non riducibili alla logica di uno scambio mercantile». E cosa dovrebbero fare queste futuribili regole? Soprattutto «garantire» alla donna gestante, «sempre e comunque, un “ripensamento”»: ossia «la possibilità di tenere per sé e riconoscere il bambino, non potendo imporsi alla donna per contratto (né per legge) di usare il proprio corpo a fini riproduttivi, e di essere o non essere madre».

(Corriere della sera, 28 luglio 2016)

Ma la legge può arrivare a tanto? Non dimentichiamo il detto popolare: fatta la legge trovato l’inganno (Nota della redazione del sito).

Print Friendly, PDF & Email