30 Marzo 2017

La merce

di Antonio Gramsci

Ho pensato se era il caso di spedirvi questo scritto di Gramsci che mi ha mandato la fidanzata di mio figlio. Lei dice, nello spedirmelo: «Dopo 100 anni alcune obiezioni si possono muovere anche a Gramsci, però in linea di massima la parte finale sulla nascita come merce è ineccepibile».

Un abbraccio, Clelia Mori

«Secondo una comunicazione fatta all’Accademia di medicina di Parigi, il professore Laurent è riuscito a sostituire il cuore di Fox con quello di Bob, e viceversa, senza che i due innocenti cani abbiano troppo sofferto, senza turbare per nulla la vita del viscere delicato. Da questo momento il cuore è diventato una merce: può essere scambiato, può essere comprato. Chi vuol cambiare il suo cuore logoro, sofferente di palpitazioni, con un cuore vermiglio di zecca, povero, ma sano, povero, ma che ha sempre onestamente palpitato? Una buona offerta: c’è la famiglia da mantenere, l’avvenire dei figli preoccupa il genitore; si cambi dunque il cuore per non apparire di esserne sprovvisto.

Il dottor Voronof ha già annunziato la possibilità dell’innesto delle ovaie. Una nuova strada commerciale aperta all’attività esploratrice dell’iniziativa individuale. Le povere fanciulle potranno farsi facilmente una dote. A che serve loro l’organo della maternità? Lo cederanno alla ricca signora infeconda che desidera prole per l’eredità dei sudati risparmi maritali. Le povere fanciulle guadagneranno quattrini e si libereranno di un pericolo. Vendono già ora le bionde capigliature per le teste calve delle cocottes che prendono marito e vogliono entrare nella buona società. […] La vecchia nobiltà aveva indubbiamente maggior buon gusto della classe dirigente che le è successa al potere. Il quattrino deturpa, abbrutisce tutto ciò che cade sotto la sua legge implacabilmente feroce.

La vita, tutta la vita, non solo l’attività meccanica degli arti, ma la stessa sorgente fisiologica dell’attività, si distacca dall’anima, e diventa merce da baratto; è il destino di Mida, dalle mani fatate, simbolo del capitalismo moderno.»

(Avanti, 6 giugno 1918)

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