16 Gennaio 2015
www.huffingtonpost.it

La misura di Francesco

di Ida Dominijanni

 

O di qua o di là. O con me o contro di me. O con la vittima o con l’assassino. La logica binaria è, sempre e da sempre, il primo effetto collaterale dello stato di guerra. Ne è anzi, forse, il primo indice: quando si comincia a ragionare così, è segno che la guerra avanza. Fu così dopo l’11 settembre: o ti dichiaravi americano, o stavi con i kamikaze delle Torri. È così di nuovo oggi: o ti identifichi con Charlie Hebdo o stai con gli stragisti della libertà. Tertium non datur e non c’è verso di ragionare, basta dare un’occhiata ai social per rendersene conto.

 

A spezzare questa logica binaria arriva chiara e limpida, e non poco arrischiata e spiazzante com’è nelle sue abitudini, la parola di Papa Francesco. Il quale sostiene che invece sì, tertium datur e non si tratta dell’astensionismo di un “né… né” – né con Charlie Hebdo, né con i terroristi – bensì dell’affermazione di un doppio no, e contemporaneamente di un doppio sì. Un doppio no: alle religioni che uccidono in nome di Dio («un’aberrazione»), e alla libertà di espressione che offende e “giocattolizza” (pregnante neologismo) le religioni. Un doppio sì: al diritto-dovere di dire quello che si pensa, e alla dignità di ogni fede.

 

Lezione antica, ma oggi, nell’Occidente che si arma dei propri valori, sommamente spiazzante: la libertà (di espressione, ma non solo di espressione) non va assolutizzata, ha il suo limite interno nel rispetto dell’altro e deve fermarsi sulla soglia dell’offesa dell’altro; se si assolutizza, lo diceva Hannah Arendt, sconfina nell’arbitrio e nella violenza. È lo stesso limite interno che la tradizione illuminista dovrebbe darsi e invece non si dà, aggiunge senza tanta diplomazia Francesco. Perché se essa a sua volta si assolutizza fino a contemplare solo se stessa o ciò che può ricondurre a se stessa, finisce con il trattare le religioni soltanto «come sottoculture tollerate», secondarie e seconde, e perciò stesso passibili di irrisione, scherno, “giocattolizzazione”. Anche la laicità può diventare fondamentalista, o quantomeno escludente e gerarchica.

 

È tutt’altro dunque che un invito alla reciproca tolleranza quello che il papa rivolge ai guerriglieri delle opposte civiltà che da un quindicennio allestiscono la guerra globale: quando c’è in gioco la libertà, la posta in gioco è più alta della tolleranza. Si tratterebbe piuttosto di riconoscimento e, insieme, di conflitto: ma di un conflitto misurato, che si gioca in primo luogo sulla parola. Da un lato perché il diritto di espressione non è solo un diritto ma anche un dovere, il dovere di dire ciò che si pensa esponendosi dunque al rischio del giudizio altrui, ma senza varcare il limite dell’offesa. Dall’altro lato perché quando questo limite viene varcato, non ci si può aspettare che chi si sente offeso porga l’altra guancia: è più probabile che reagisca con un pugno. Ma fra un pugno e una strage c’è appunto la distanza che separa il conflitto dalla guerra, la vitalità del confronto dall’aberrazione della violenza mortale e mortifera: questione appunto di misura, la misura della civiltà, al singolare, che salta nella messinscena dello scontro fra le civiltà, al plurale.

 

Ma la lezione di Francesco non finisce qui: e come sempre, non suonerebbe credibile come suona se non fosse accompagnata da un gesto testimoniale. Che consiste stavolta in una ammissione di fragilità: «Se dovesse accadermi qualcosa ho chiesto a Dio la grazia che non sia doloroso, perché non sono coraggioso di fronte al dolore, sono molto pauroso». Mentre tutti – secondo effetto collaterale di ogni stato di guerra – invocano forza, determinazione e virile coraggio, la massima autorità spirituale del pianeta dichiara la propria paura e vulnerabilità. Di fronte alla guerra civile globale, bisognerebbe rovesciare il tavolo dell’onnipotenza e partire da qui: siamo tutti vulnerabili, e abbiamo tutti paura.

 

(www.huffingtonpost.it, 16 gennaio 2015)

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