7 Febbraio 2015
simonasforza.wordpress.com

La prostituzione è una forma di violenza

Si tratta della battaglia quotidiana di Rosen Hicher, ex prostituta, che oggi lotta proprio per questo: affinché la prostituzione venga riconosciuta come una forma di violenza. Vi propongo la mia traduzione di una intervista concessa a Zulma RamírezSol Camacho Olga L. González (membri del gruppo Aquelarre, qui il loro blog) e pubblicata su El Espectador lo scorso 3 gennaio (qui l’originale). Per riflettere un po’ anche qui in Italia…

Rosen Hicher è diventata un simbolo in Francia. Dopo aver trascorso più di venti anni nel mondo della prostituzione, dopo una presa di coscienza difficile e graduale, ora combatte apertamente affinché la prostituzione venga considerata una forma di violenza.

Recentemente ha fatto una marcia di 800 km. Perché?
Ho iniziato la mia marcia il 2 settembre, partendo dall’ultimo posto in cui mi sono prostituita e ho visitato tutti i luoghi e le città in cui mi prostituivo, fino ad arrivare al primo posto, al primo cliente, perché è colui che ci trasforma in una prostituta. Dal momento in cui hai avuto un cliente, diventi prostituta per tutta la vita.
Durante i 22 anni passati nella prostituzione, non capivo che venivo violentata, essendo immersa nella violenza, perché ogni cliente è una violenza, gli permettiamo che ci violi. Giunse il momento in cui mi diventò insopportabile sentir dire che come donne “in questo modo abbiamo una forma di sussistenza, per vivere e mangiare”.
La mia marcia è stata anche un modo per aprire il dibattito e affinché anche altre donne si mobilitino e raccontino la verità. Vorrei che altre prostitute ci raccontino le loro esperienze, perché ascoltiamo sempre le stesse voci, le medesime persone che ci dicono che prostituirsi è una buona cosa. Quando si è dentro, non si è coscienti di ciò che si sta vivendo.

Ha trovato sostenitori?
Ho incontrato voci che mi hanno sostenuta, altre prostitute che si univano al mio cammino. Sono certamente rimasta sorpresa di ricevere tante telefonate di donne che mi dicevano “ sì, la prostituzione è una forma di violenza, ma come possiamo fare per uscirne? La soluzione non consiste nel dare diritti alle prostitute, dobbiamo trovare il modo per farle uscire dalla prostituzione.

Se non le crea fastidio, potrebbe raccontarci come è entrata nella prostituzione?
Ho iniziato a marzo del 1988. Avevo appena perso il mio lavoro e guardando gli annunci ho trovato un’offerta di lavoro in un bar, dove mi presentai. Era come rifare qualcosa che avevo sempre vissuto, qualcosa che non mi era totalmente sconosciuto. La prima prostituta che incontrai mi disse: “Sembra che tu abbia fatto questo per tutta la vita”. Perché davo questa impressione? Fino ad allora avevo lavorato nel campo dell’elettronica, ero una moglie e una madre di famiglia! Quella frase mi è risuonata in testa ogni giorno, per 22 anni. Così ho iniziato a scavare nel mio passato e mi sono resa conto che, in effetti, avevo vissuto in quella situazione per tutta la vita: fui violentata a soli 16 anni da un amico di mio padre; vivevo con un padre alcolizzato, è come se fossi stata predisposta a diventare una prostituta fin dalla più tenera età. Quando sono entrata nel mondo della prostituzione, non mi era sconosciuta, dal momento che la violenza era qualcosa che avevo già vissuto e che consideravo come un trattamento naturale e questo è molto grave perché non c’è niente di naturale nel vendersi.

Ritiene che questo sia un percorso comune?
In 22 anni ho incontrato molte prostitute. Quando ho iniziato a contattare le associazioni mi sono resa conto che conoscevano altre donne, e quello che mi hanno raccontato mi ha ricordato ciò che mi dicevano altre compagne sulla loro vita: quasi tutte erano vittime di stupro, di abusi, di violenza domestica e familiare, di violenza e alcolismo dei padri; questo tipo di testimonianze riguarda il 98% delle prostitute.

In che momento ha capito che la prostituzione è una violenza?
Ho sempre saputo che fosse qualcosa di anormale, che prostituirsi non fosse normale. Mi era necessario capire come ero caduta nella prostituzione per poter riconoscere che si trattava davvero di una violenza e così trovare un modo per uscirne. A quei tempi vivevo con un uomo molto violento, vivevo due situazioni di violenza: la violenza domestica e la prostituzione.
In quel periodo era più facile prostituirmi che subire la violenza domestica, inflittami da un uomo (mio marito, ndr) che amavo appassionatamente e che mi aveva chiesto di scegliere (tra lui e la prostituzione, ndr), mi separai da mio marito e questo mi liberò la mente. Questi fatti accaddero nel 1998, dopo 11 anni nella prostituzione. Poi ho lentamente compreso che vivevo ancora nella violenza, ma ho dovuto capire che la violenza quotidiana era la prostituzione e che dovevo darci un taglio. Avevo già eliminato una violenza (mio marito, ndr) e ora mi restava l’altra.

E quanto ci ha messo a farlo?
Dieci anni. È stato tutto un percorso ad ostacoli, perché non solo ho dovuto comprendere come ero finita a prostituirmi, che mi aveva portato a ciò, ma ho anche dovuto affrontare il problema di come avrei potuto vivere senza prostituirmi, senza il denaro della prostituzione. Il denaro diventa una droga, è l’unica cosa che ti spinge a continuare. Mi ci sono voluti circa 6 o 7 anni per capire le ragioni della mia caduta nel mondo della prostituzione e il resto del tempo l’ho impiegato a capire come potevo uscirne. Questo è accaduto all’improvviso. Per me fu come una cura, una presa di coscienza della violenza che vivevo sul mio corpo, che avevo sperimentato nella mia vita di donna, che avevo vissuto nella mia carne… perché non è facile, e a un certo punto fu come se mi si accese una piccola luce che mi fece dire: “Mai più!” e questa fu la decisione definitiva.

Ha mai avuto la sensazione, quando era nella prostituzione, che i rapporti fossero consensuali?
Quando ero dentro, sì ero consenziente, per me era parte della mia libertà, dei diritti di una donna che può disporre come vuole del proprio corpo, erano fatti miei e di nessun altro e non capivo perché volessero proibirmi di prostituirmi.
Una volta fuori, ci rendiamo conto che abbiamo veramente bisogno di protezione. Abbiamo bisogno di essere informate e protette, dobbiamo arrivare a capire che si tratta di un abuso grave, sono violenze. Una volta fuori, accade quella che io chiamo una rivelazione.

In che senso si sentiva libera?
Era il mio corpo, e il mio corpo faceva ciò che voleva. Ma una cosa è certa: se stavo facendo quello che volevo con il mio corpo, gli uomini che venivano a comprarmi non avrebbero dovuto fare quello che volevano con il mio corpo. Ciò può essere una libertà per una donna, ma gli uomini non dovrebbero avere la libertà di acquistare il corpo di una donna.

Ritiene sia possibile uscire dalla prostituzione?
Io ce l’ho fatta, quindi è possibile. Si tratta di un processo lungo, dobbiamo responsabilizzare le donne per farcela. Questo rappresenta molto per molte donne. Esse devono essere in grado di essere consapevoli del fatto che, quando sono entrate nella prostituzione erano state vittime di violenza, in modo da curare prima queste violenze e poi le altre, per guarire dalla violenza contro le donne che deriva dalla pratica della prostituzione.

Cosa può fare lo Stato?
Lo Stato può fare molto, iniziando a proibire l’acquisto: la donna non è in vendita, un corpo non si può comprare; devono essere messe in campo una serie di risorse, di formazione, di sostegno e di aiuto. È essenziale che gli operatori siano consapevoli che la donna prostituta è vittima in ogni senso della parola “violenza”, che prima deve avere il tempo per riposarsi, che ha bisogno di un periodo, io pensoche ne ha bisogno, penso che abbia bisogno di stare da sola per un po’. E poi consentire a queste donne di vivere in un modo diverso, dotarle di mezzi per vivere, perché uscire dalla prostituzione genera molta paura.

Ha ricevuto aiuto da parte delle associazioni?
Mi sono informata in molte associazioni e dopo ho fatto un grosso lavoro personale per capire le mie ragioni e per riflettere su come avrei potuto uscirne e per sapere come avrei potuto sopravvivere dopo. E poi è successo tutto in tempi relativamente brevi, da un giorno all’altro.

Ora le leggiamo alcune frasi di una femminista colombiana, Mar Candela. Lei sostiene: “La prostituzione è un lavoro dignitoso come qualsiasi altro”.

Cosa ne pensa?
Per prima cosa non si tratta di un lavoro. Nella prostituzione non esiste alcuna dignità, nessuno ci rispetta, tutte nascondiamo la nostra attività, perché non è una cosa degna, non sarà mai un lavoro.

Candela afferma anche che: “La prostituzione è l’esercizio della nostra sessualità”.

L’esercizio della nostra sessualità? Intende dire quella degli uomini? La prostituta non ha sessualità, la prostituta subisce. Lei accetta solo perché ci sono i soldi, altrimenti non lo farebbe.

Mar Candela sostiene che non esiste un collegamento tra la tratta di esseri umani e la prostituzione.

C’è un gran numero di persone vittime di tratta. Per questo io spesso dico: se importano donne dall’estero è perché c’è domanda. E se c’è domanda è perché la prostituzione è ancora consentita. Il giorno in cui non ci sarà più domanda, cesserà la vendita e l’importazione di donne. Un cliente vuole oggi una donna bianca, domani una di colore, dopo una asiatica e per rinnovare l’offerta devono andare a cercare altre donne sempre più lontano. E queste donne sono spesso costrette a subire promesse del tipo: “Diventerai una modella, avrai un lavoro come cameriera, ecc.”, e invece diventano prostitute.

Mar Candela, inoltre sostiene che “Oggi le puttane decidono!”

Devo dire una cosa: la prostituzione oggi è identica a quella di ieri. Siamo qui per soddisfare i desideri sessuali dei nostri uomini. Quando un cliente arriva con un biglietto da 100 euro e ci chiede di essere sodomizzate, sesso orale o di picchiarci, accettiamo, ma non lo vorremmo. Non si sceglie il cliente, sono loro che scelgono noi. Non ho mai scelto i miei clienti, è sempre stato il cliente a scegliermi, è sempre lui che sceglie e che chiede. Non si può dire “no”, perché se dici “no”, non hai soldi. Se dicessimo no a qualcuno, dovremmo dire no a tutti. Perché, infatti, nel momento in cui abbiamo detto no a un cliente, è perché abbiamo iniziato a capire che ciò che chiede non è normale… e che tutte le cose che ci chiedono i clienti sono anormali! Ci sono passata anche io, ho incominciato a dire no a qualcuno, ci ho messo 2 o 3 anni, ma dopo tre anni ho incominciato a dire no a tutti. È il processo di presa di coscienza della situazione di dominio in cui si vive, ed è l’inizio della guarigione.

In Europa, il 50% delle donne che si prostituiscono sono immigrate, conosci qualcosa a proposito di queste donne?
Ho iniziato a prostituirmi nel 1988. A quei tempi l’80% delle prostitute era francese, il 20% immigrate. Quando ho lasciato la prostituzione nel 2009, il 90% delle donne erano straniere e il 10% di francesi. Molte donne arrivano in Francia dalla Nigeria. Donne che non hanno mai avuto un’identità, bambine nate senza identità.
Ci sono un sacco di giovani donne dell’Est che rimangono nel mondo della prostituzione perché gli hanno rapito i figli o perché hanno minacciato le loro famiglie, perché gli hanno tolto i documenti e li hanno sostituiti con documenti falsi, questo accade in Francia e dappertutto. Nonostante ciò si condanna la prostituta, anziché aiutarla. Nel mio paese si dice che sia una vittima, però è una vittima che viene condannata.

 

(simonasforza.wordpress.com/2015/02/07/la-prostituzione-e-una-forma-di-violenza/, 7/2/2015)

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