15 Marzo 2013
Sette

La prova del patibolo


Marie Gouze scrisse
La dichiarazione dei diritti della donna e finì sulla ghigliottina del terrore accusata di “non stare al proprio posto”. Le parlamentari di oggi le devono molto.


di Gian Antonio Stella


Marie Gouze! Chi era costei? È un peccato che perfino in questi giorni in cui, a ridosso dell’8 marzo, si celebra in parlamento l’arrivo della più grande ondata di donne deputate o senatrici di tutti i tempi, ondata che riscatta finalmente un ritardo vergognoso, quasi nessuno si sia posto la domanda che si poneva Don Abbondio a proposito di Carneade, il filosofo della terza Accademia Ateniese.

Eppure ognuna di quelle donne che finalmente irrompono a Montecitorio e a Palazzo Madama deve qualcosa a Marie Gouze, meglio nota con il nome d’arte di Olympe de Gouges. Fu lei, infatti, a teorizzare durante la Rivoluzione francese una cosa che, come i fatti si sarebbero incaricati purtroppo di dimostrare era ancora più rivoluzionaria, scusate il gioco di parole, di quella rivoluzione e cioè che se “la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla Tribuna”. Cioè di essere eletta. Una tesi che non solo venne sconfitta ma che le costò la testa.

La vera vita di Olympe. Nata a Montauban, nella regione dei Midi-Pirenei dove si parlava occitano, figlia illegittima di Jean-Jacques Lefranc de Pompignan, un marchese che si piccava di essere poeta ma a causa della mediocrità ridondante finì per essere tra le vittime predilette dei sarcasmi di Voltaire, data in sposa sedicenne a un ufficiale dell’Intendenza che la lasciò presto vedova con un figlio (“Fui sacrificata senza ragione che potesse bilanciare la ripugnanza che avevo per quest’uomo”) dopo esser rimasta sola raggiunse la sorella Jeanne che viveva con il marito a Parigi. E lì cominciò la sua “vera” vita.

Assunto il “nom del plume” di Olympe de Gouges, scrive nell’Enciclopedia delle donne Valeria Stoffi, “firmò 29 romanzi e scritti vari, 71 pièce teatrali, 70 fra libelli rivoluzionari e articoli” ma “è ricordata principalmente come autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1971 che seguiva di due anni la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”.

Una “versione femminile” assai polemica. Basti ricordare che perfino nella Encyclopédie di Diderot, considerata un momento fondamentale del progresso umano e terreno di coltura dei rivoluzionari francesi, il Cittadino detentore dei diritti era solo maschio: “Il termine non si applica alle donne, ai bambini, ai servi, se non come membri della famiglia del cittadino propriamente detto”.

Vi si leggevano, in quella “Dichiarazione”, parole mai scritte prima: “Uomo, sei capace di essere giusto? È una donna che ti pone la domanda; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi? Chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il Creatore nella tua saggezza; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere…”.

Due anni dopo, senza aver ottenuto che neppure dopo quella rivoluzione epocale la donna potesse votare e men che meno “salire in tribuna”, Marie Gouze saliva sul patibolo. Era il 3 novembre del 1793, pochi mesi dopo l’inizio del Terrore. E come ha ricordato su il manifesto Elena Caruso nell’unico articolo pubblicato in questi giorni (se altri mi sono sfuggiti me ne scuso) la motivazione della condanna alla ghigliottina fu la seguente: “Olympe de Gouges, nata con un’immaginazione esaltata, ha scambiato il suo delirio per un’ispirazione della natura: ha voluto esser un Uomo di Stato. Ieri la legge ha punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che le convengono al suo sesso”.

Insomma, fu accusata di essersi rifiutata di “stare al proprio posto”. Un’accusa che, due secoli dopo, è una medaglia d’oro.

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