20 Maggio 2016
UNA CITTÀ

La relazione materna – Intervista a Luisa Muraro

di Barbara Bertoncin.

Fare figli è un diritto? La filosofa Mary Warnock, interpellata da Blair per dirimere una questione di copertura sanitaria, rispose di no. Il rifiuto della maternità surrogata in nome dell’implicita subordinazione della donna, della tutela della creatura, ma anche per salvaguardare la relazione materna, che è fondante. La miopia di un ragionamento che vede solo le categorie di obbligatorio e proibito. La difesa di una differenza sessuale anche nel diritto.

Luisa Muraro, filosofa, femminista, è tra le fondatrici della comunità filosofica “Diotima” presso l’Università di Verona e della Libreria delle donne di Milano. Ha pubblicato, tra gli altri, Il lavoro della creatura piccola. Continuare l’opera della madre, Mimesis, 2013; Autorità, Rosenberg & Sellier, 2013; Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Carocci, 2011; L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, 1991, 2006.

La legge sulle unioni civili, con il corollario della stepchild adoption, è diventata occasione di dibattito sulla genitorialità. La prima questione è se fare figli sia un diritto.

La questione è stata discussa già durante il mandato di Tony Blair. Al governo inglese interessava sapere come comportarsi con la fecondazione assistita, una tecnologia oggi molto avanzata ma anche costosa. Era stato quindi chiesto un parere filosofico a Mary Warnock, filosofa di Cambridge della cerchia di Iris Murdoch, la quale a suo tempo aveva spiegato che no, non c’è un diritto ad avere figli in assoluto. Il suo pensiero è stato pubblicato anche da Einaudi con il titolo “Fare bambini. Esiste un diritto ad avere figli?”.
Io condivido questa posizione, cioè che non esiste un diritto, diciamo, incondizionato. Ma per parte mia evito il linguaggio che poi fa dire: i desideri non sono diritti. Ovvio che non lo sono, ma ci sono desideri che per fortuna portano al riconoscimento di un diritto, per esempio quello di istruirsi, che la borghesia negava alle donne. Scelgo piuttosto di avere qualche punto fermo, come questo: nessuno può vietare a una donna di diventare madre, e nessuno può obbligarla, per ragioni che non hanno bisogno di proclamare diritti. Io non parlo di un diritto di abortire.
Tu, come molte altre donne, avete espresso molte perplessità sul cosiddetto “utero in affitto”, e cioè sulla maternità surrogata o gestazione per altri.
La maternità surrogata commerciale non passerà mai nel nostro ordinamento per ragioni che appartengono proprio alla nostra civiltà. Con la Rivoluzione francese abbiamo abolito la schiavitù. Certo, purtroppo la schiavitù continua a esistere, ma qui parliamo di quello che accettiamo e non accettiamo di essere e di fare. C’è stata anche la conquista dell’uguaglianza effettiva delle donne, che prima era enunciata ma di fatto non esisteva. Questo per dire che è stato escluso in maniera irreversibile che si possa commerciare con il corpo e i suoi prodotti, come sperma, sangue e organi, a maggior ragione bambini. Qui in gioco c’è esattamente la fecondità di una donna, più precisamente il frutto di questa fecondità. Ricordiamo che la merce qui è lui o lei, la creatura neonata.
Nel corso del dibattito è stato fatto il paragone con la prostituzione; sicuramente c’è un’analogia, ma è imperfetta come analogia perché la gestazione sotto contratto produce un essere umano ed è quello l’oggetto commerciale.
Quindi esiste un’opposizione propriamente femminista, contro la subordinazione della donna, la quale può raggiungere anche aspetti penosi e inumani. E poi c’è l’opposizione che si fa, con l’ordinamento giuridico, per tutelare la creaturina.
Io condivido queste considerazioni, ma la mia opposizione, quello su cui io porto l’accento, è l’attacco alla relazione materna, che considero un asse portante della civiltà umana, universale. È un aspetto che deve interessarci moltissimo, perché la relazione materna praticamente, materialmente, ha a che fare con l’intreccio di natura e cultura che nella nostra civiltà si è rotto. L’ecologia ci ha segnalato questo: abbiamo rotto questo legame, che le civiltà contadine avevano salvaguardato.
Allora, la difesa della relazione materna che propongo ad altre e altri di fare, più che strettamente femminista, è proprio di fondo, perché abbiamo compromesso questo intreccio di natura e cultura in maniera grave.
Ne L’ordine simbolico della madre, ho sostenuto che dalla madre, dalla donna che ci è madre, grazie alla relazione materna, noi riceviamo insieme la vita e la parola. Lacan tendeva a parlare dell’ordine simbolico portato dal padre. Io non voglio pregiudicare la funzione paterna, voglio però ribadire che non si possono separare le cure materne dall’apprendimento della parola, della comunicazione. La comunicazione con la madre o chi per essa è indispensabile per vivere e per imparare a parlare. Le due cose vanno insieme, non sono disgiungibili. Ecco, in un momento in cui dobbiamo ritrovare una competenza dell’intrecciarsi di natura e cultura, lì abbiamo un modello che va inteso proprio nel suo valore simbolico e pratico. Mi oppongo alla maternità surrogata specialmente per questo motivo.
Tu qui non parli della madre biologica.
Parlo della donna che diventa fisicamente madre. La madre è una figura simbolica che però non prescinde da una donna in carne e ossa. Ma teniamo presente che la madre è sostituibile. La creatura, per parte sua, è un unicum, il bambino o la bambina sono insostituibili, sono il dono che la coppia parentale, o la singola donna, fanno all’umanità. E sono loro, le creature, a svolgere quello che io chiamo “il lavoro della creatura piccola”, nella relazione materna originaria, oppure, se la madre viene meno, nella ricostituzione della sua figura.
La madre è sostituibile e questo fa sì che i bambini, le bambine nati con la surrogata non siano muti. Ma la maternità surrogata interrompe la relazione in un punto dove solo la necessità può farlo. È un’interruzione pericolosa, spezza un vincolo che poi andrà ricucito perché il bambino nato con la surrogata è stato solo desiderato e comprato. Può essere anche ceduto gratuitamente dalla donna che lo mette al mondo, cui spetta il titolo di madre, come un dono. I doni hanno un’ambiguità, ma comunque pare che la surrogata gratuita sia un caso rarissimo.
In alcuni paesi è ammesso esclusivamente il rimborso spese.
Il rimborso spese! Ne sappiamo qualcosa in Italia. Per me quello resta un acquisto.
Ma veniamo ai paesi che noi consideriamo civili e che però ammettono questa pratica, gli Stati Uniti in primis. Io dico che gli Usa sono un paese meno civile, per più aspetti. Intanto mantengono la pena di morte. Inoltre negli Stati Uniti è stata applicata l’eugenetica. Quell’idea non è nata in Germania, si è sviluppata nell’Europa del nord e negli Stati Uniti. La fondazione Rockefeller ha finanziato l’eugenetica nazista fino a metà degli anni Trenta. Gli Stati Uniti sono tra gli ultimi paesi a essersi sbarazzati di pratiche di sterilizzazione selettiva degli individui che non si voleva procreassero. L’altra nota dolente degli Usa è che loro le pratiche di adozione sono di una disinvoltura che fa piangere. Basta leggere la biografia di Marilyn Monroe, creatura bellissima, di una vitalità sublime, disastrata nell’animo fin dall’infanzia, quando passava di famiglia in famiglia, spesso accolta solo per ottenere i soldi erogati dal governo fino a che non ci si stufava. Ecco, queste cose vanno dette: gli Usa da questo punto di vista non sono esemplari.
Dicevi che dobbiamo mettere in conto che la relazione materna può disgraziatamente spezzarsi e che la madre biologica può essere sostituita. Anche da un uomo?
Sì, certo. Per questo dico spesso “la madre o chi per essa”. Anche l’uomo, possibilmente il compagno della madre, possibilmente il padre; non sempre il compagno della madre è il padre biologico, ma comunque il padre, putativo o naturale che sia.
Di solito intervengono anche parenti femmine perché, per cultura, elezione, natura, la donna sembrerebbe più adatta a impersonare la figura materna. Se non altro abbiamo più ciccia degli uomini, che sono ossuti, e i bambini vanno tenuti stretti fra le braccia.
Quindi il padre sicuramente, se vuole, può fare la supplenza della figura materna. Mi è rimasto impresso questo padre che incontrai in treno diversi anni fa; andavamo da Lecce verso il Nord. C’era un bambino disperato perché si era appena staccato dalla nonna; il padre lo stava riportando a Bologna dove viveva e lavorava la madre. A un certo punto andai nel loro scompartimento e trovai questo padre, un ragazzo meridionale, un uomo gentile, che si teneva questo bambino sulla punta delle ginocchia, lo teneva fermo e basta. Allora gli dissi: “Stringilo, tienilo stretto”.
È la cosa istintiva che si fa, quel contenimento su cui Winnicott si è tanto dilungato. Fino a quel momento quel giovane padre aveva sopportato questi pianti in silenzio, dopo che l’ha abbracciato il bambino si è calmato. Ecco, per dire che a volte bastano un po’ di istruzioni. In passato, sui tram, si vedevano questi uomini che tenevano in braccio i figli senza accorgersi degli sforzi che la creatura faceva per attirarne l’attenzione.
Ma i padri giovani stanno cambiando, hanno imparato guardando come fanno le mogli, le madri. La paternità è una cosa originale, da reinventare e mi pare che ci siano cambiamenti in meglio.
Nel caso di coppie omosessuali?
Se sono due femmine il problema di allevare bambini piccoli non si pone. La legge italiana non lascia adottare a coppie omosessuali, vuole solo coppie eterosessuali, però se la compagna di una madre naturale fa la domanda di associarsi legalmente nella maternità, la tendenza della nostra magistratura è di dire sì. In certi paesi, come il Belgio, la legislazione prevede proprio questa possibilità per le coppie omosessuali femminili, insomma, fa la differenza sessuale.
Si tratta di un tema che sta affrontando la costituzionalista Silvia Niccolai. Lei insiste sulla necessità e l’importanza di una differenza, perché nel diritto neutro la donna ci rimette. Bisogna pertanto portare il diritto fuori da questa neutralità che poi noi sappiamo essere sinonimo di maschile.
Per quanto riguarda invece le coppie omosessuali maschili, che dire? Loro stanno tentando e si sono inseriti nella legge delle unioni civili. A mio avviso è stata una mossa incauta, perché ha creato l’opposizione dei cattolici, non solo di destra, e ha messo in pericolo tutta la legge. Io penso che, anche dal punto di vista giuridico, questa materia vada discussa in sede di legge sulle adozioni. Che in effetti va ripresa in mano, anche per altre ragioni.
Sono dell’idea che un uomo possa diventare genitore aggiunto in quanto compagno del padre naturale. Se i due partner crescono insieme il bambino o la bambina, questo è più che logico. Nel caso di due uomini che si prendono cura di un bambino o una bambina sarebbe bene che ci fosse la possibilità dell’adozione per il compagno del padre, per tanti motivi, pratici ma anche simbolici.
Perché allora dico che la mossa è stata incauta? Perché questo caso autentico è rarissimo! Intendo, il caso in cui un uomo si ritrova con un bambino piccolo di cui è padre naturale, in assenza della madre e in presenza di un compagno. Quanti sono? Dovrebbe trattarsi di un omosessuale occulto durante il matrimonio e manifesto dopo che il figlio gli è stato affidato.
La verità è che sappiamo bene che i padri omosessuali che hanno bambini propri li hanno comprati.
Questa cosa intanto è causa di conflitto sociale, ma va bene: è sempre meglio discutere piuttosto che subire le cose. Resta il fatto che c’è un’opposizione umana, civile e del diritto a questa pratica di comprare bambini.
E comunque le coppie omosessuali maschili -qualcuno mi ha accusato di omofobia perché l’ho detto- sono sterili. Altra cosa è vederle come coppie di educatori che lavorano insieme, collaborano, che si aiutano per allevare delle persone piccole.
Quindi saresti per aprire l’adozione alle coppie omosessuali?
Sì. Però qui voglio tornare su un altro punto. Io mi sforzo di non ragionare esclusivamente nei termini della legge, della legalità. La quale legalità ci fa vedere il mondo delle cose da pensare diviso in obbligatorio, proibito o indifferente. Eh no!
Allora, se mi chiedono se sono favorevole a che le coppie omosessuali possano adottare, la mia posizione è che, se si tratta di femmine, non ho nessuna obiezione; l’abbiamo sempre fatto, lo fanno i mammiferi, le femmine si mettono insieme e tirano su i bambini. Per i maschi dico: “Vediamo caso per caso, di volta in volta”. Questo lo fanno attualmente i giudici per le femmine perché la legge sull’adozione non lo permetterebbe e quindi la magistratura valuta caso per caso.
Sono per questa posizione, come un invito a fare il possibile per aprire il terreno a quello che va fatto in ordine ai guadagni di civiltà nella convivenza; che non tutto insomma sia sottoposto allo schema della legge, proibito-obbligatorio-indifferente. Che quell’indifferente sia esplorato.
E qui parlo dell’essere umano nella sua interezza: ci sono cose che non sono proibite ma che non sono disponibili.
Tu usi proprio quest’espressione: “non disponibile”. Puoi spiegare?
L’indisponibile. Per esempio, prendiamo il cambiare sesso. Qui non parlo dell’identità, beninteso, ma dei sessi, che sono due, maschile e femminile. L’ha deciso l’evoluzione nella notte dei tempi. Il sesso di cui nasciamo fa parte del non disponibile, fa parte della dotazione umana intrinseca ed essenziale che va accettata. Oggi i progressi della biotecnologia permettono di cambiare sesso. Ci sono persone che hanno bisogno che gli venga riconosciuta un’identità che non gli è stata assegnata o non gli corrisponde. Alcuni sono anatomicamente maschi ma non vogliono accettare di essere dei maschi, vogliono essere donne.
C’è stata una sentenza della magistratura nel giugno dell’anno scorso. L’alta corte di cassazione ha sentenziato che un uomo, anzi una trans, che non voleva più fare operazioni chirurgiche, poteva essere quello che si sentiva di essere, una donna. Siamo in una situazione in cui la biotecnologia, la tecnoscienza ci offrono delle possibilità di cui si fa un uso assennato. Purtroppo, ci sono sviluppi tali che non abbiamo più la competenza per giudicare se ci vanno bene o male.
Sulla questione della gestazione per altri, molte donne giovani hanno preso una posizione diversa e hanno accusato le femministe storiche di un certo paternalismo, o meglio “maternalismo”. L’argomento era quello della prostituzione: se una donna vuole fare la gestazione per altri, perché impedirglielo?
Intanto va detto che non si tratta solo di te che fai questa scelta: c’è un altro essere umano in gioco. Alcune donne giovani in effetti hanno detto che l’aspetto commerciale è inaccettabile, ma che loro sarebbero pronte a far bambini da regalare. È la generosità giovanile; un tempo, cento anni fa, i maschi li mandavano in guerra sullo slancio della generosità giovanile.
Altre donne invece hanno proprio questa concezione della libertà fondata sulla triade proibito-obbligatorio-indifferente, che per me è la deriva della nostra cultura, perché l’indifferente va messo al mercato, dell’indifferente si può fare quel che si vuole. Io ho coniato una slogan: il liberismo, malattia infantile del femminismo! Leggendo alcuni passi delle più giovani, raccolti dalla rivista “Legendaria”, ho trovato, insieme a molte cose condivisibili, dichiarazioni che facevano sorridere, altre che facevano drizzare i capelli. Quando parlo di deriva del liberismo, mi riferisco all’eliminare tutto quello che è contrattazione interiore tra necessità, desiderio, realizzazione; non una libertà che cresce dalla libertà, ma un’offerta di possibilità indifferenziata per cui faccio questo, faccio quello…
Allora, ripeto, la generosità fa sorridere, invece questa concezione della libertà mi ha colpito. È una questione intricata.
Faccio un esempio. La legge italiana prevede che una donna quando partorisce possa non dichiarare la sua identità, quindi legalmente non sarà mai la madre. La legge dà questa possibilità per incoraggiare le donne incinte che non vogliono diventare madri a non abortire e a non abbandonare la creatura, ma a procreare in tutta sicurezza lasciando il neonato o la neonata a disposizione dell’autorità di tutela.
Ecco, una delle giovani donne intervenuta nel dibattito ne aveva fatto l’ideale di libertà, per cui lei rivendicava questa libertà di poter scegliere nel momento del parto se tenere o meno il bambino. Il che tecnicamente in Italia si può fare, interpretando però la legge con uno spirito perverso. Questa giovane donna poi non si fermava qui, voleva anche di più: la possibilità, anzi naturalmente il diritto, di indicare chi sarebbe stata la madre al suo posto.
Nel momento in cui una donna che ha partorito rinuncia a essere la madre, è l’autorità che deve tutelare la creatura. Invece lei avrebbe voluto mantenere a sé il potere decisionale di indicare la madre, configurando in effetti una maternità surrogata con una correzione importante che potrebbe renderla accettabile.
Il contratto commerciale della surrogata, nella maggior parte dei casi non prevede affatto che la donna gestante (la madre rinunciataria) possa decidere. Lei invece corregge la surrogazione e si mette in una posizione vagamente di onnipotenza,
Ma ciò che più mi ha turbato è che la donna che scrive non considera l’impegno relazionale contratto con quella creatura, i sentimenti verso questa cosa che ti accompagna per nove mesi… Non c’è nulla di tutto ciò. E questa è una cosa che agghiaccia.
Secondo una rappresentazione forse non del tutto falsa, il femminismo avrebbe compiuto quest’operazione di sradicare la retorica della maternità in nome della libertà della donna.
Ora, la retorica della maternità era sì una trappola per la libertà femminile, ma non è che fosse tutto fumo. Basta vedere cosa ha potuto ispirare all’arte. Ecco, lì ti viene un po’ paura.
La donna che fa la gestazione spesso non è la portatrice dell’ovulo…
Questo, a mio avviso, è un male ulteriore che quel tipo di surrogazione porta con sé. Il sospetto è che venga fatto anche per impedire alla gestante di rivendicare la sua maternità.
Qui veramente si vede un attacco alla relazione materna.
La cosa curiosa è che ci sono paesi che consentono la surrogazione per coppie straniere a condizione che la creatura abbia materiale genetico della coppia adottante. E sai perché? Perché questa sarebbe una garanzia minima a fronte della possibilità che la creatura venga esposta a maltrattamenti, abusi gravi (sappiamo del terribile commercio di organi di bambini) o semplicemente abbandonata. Altri paesi hanno detto basta alla surrogata con stranieri, probabilmente la trovano una cosa umiliante, una specie di turismo, come quello sessuale.
Ecco, per dire le derive che si aprono; qui davvero si sente che l’umanità sta perdendo qualcosa di non secondario nella morsa fra tecnica e mercato.
Ho parlato delle posizioni assunte da persone giovani; ho lasciato da parte la categoria uomini. Alcuni uomini mancano semplicemente di fantasia, hanno una visione astratta delle possibilità, della legge, del giusto, dell’ingiusto; dicono soltanto: se si può, perché no?
Si può parlare anche di un’invidia della fertilità da parte dei maschi?
Sì, gli psicanalisti o le psicanaliste la devono tirare fuori questa storia. Nella storia della psicanalisi gli studiosi hanno registrato l’invidia della fecondità femminile. Prima, col patriarcato, potevano impadronirsi di donna e bambino.
Il fatto è che la libertà femminile, che si esprime anche in questa eccellenza che è la fecondità, genera una superiorità femminile che il diritto non registra. Silvia Niccolai ragiona proprio davanti a questa contraddizione. Un mio amico, parlando familiarmente, ha commentato: “Ma volete proprio tutto! Avete il lavoro, adesso anche le cariche, presidente della repubblica, Angela Merkel, volete questo, volete quello e avete i bambini!”. Si sta creando una asimmetria ancora più sensibile. E il diritto non è preparato.
Sull’invidia dovrebbero parlarne gli uomini.
C’è un altro dato, un tema affascinante per me che mi interesso al tema della differenza sessuale. Nella transessualità, molto illuminante su questo tema, c’è una sproporzione: vogliono quasi tutti diventare donne…
Che cosa vuol dire? Potrebbe spiegarsi con un voler stare vicini, intimi della madre. Quando il bambino comincia a dire “io” e prende consapevolezza di essere maschio o femmina avviene qualcosa a danno della relazione materna. Questo qualcosa serve a rendere i maschi, come dire, più insicuri ma più autoimpositivi: si impongono, si vede all’asilo; mentre le femmine sono più placide, più sicure di sé (se non vengono rese insicure culturalmente).
Insomma, lì capita qualcosa. Ecco allora che la transessualità sembra essere più questo, un’attrazione verso il corpo materno. È un’ipotesi, poi non lo so. La virilità impone di accettare un distacco: i maschi escono dal continuum materno. C’è questo continuum materno madre-figlia e loro ne vengono esclusi. Si introducono con lo sperma, nel continuum.
Volendo dar credito a certe mitologie, ma anche alle tracce archeologiche, oggi sappiamo che da un certo momento in poi in varie aree della cultura mediterranea cominciarono a comparire dei falli. In Sardegna si nota di più perché come monumento avevano una cosa che assomigliava a una vagina, con l’acqua, ecc. Ecco, a un certo punto cominciano a comparire falli. E questo mostra che quando i maschi hanno capito che servivano a qualcosa, in questo prodigio di cui erano capaci le femmine, è esplosa in loro una grande euforia e contentezza! Così sono partiti… e non si sono più fermati!

 

(UNA CITTÀ n. 228 / 2016 febbraio)

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