La Chiesa d’Inghilterra rompe con la tradizione e si avvia verso una scelta clamorosa: 378 favorevoli, otto contrari, 25 astenuti, è praticamente un plebiscito la votazione con cui il Sinodo della Chiesa anglicana, riunito da ieri a Londra, ha deciso per l’apertura al vescovato alle donne. Una grande vittoria per Justin Welby, nuovo arcivescovo di Canterbury, tra i maggiori sostenitori della riforma.
Ma il voto, apparentemente un passaggio condiviso dalla quasi totalità dei membri dell’assemblea, si lascia dietro una scia di polemiche. A sollevarla una frangia, interna agli anglicani, che da tempo si fa portatrice di una controproposta che vieterebbe l’accesso alla carriera ecclesiastica ai fedeli di sesso femminile. Un lungo braccio di ferro che va avanti dalla fine dell’anno scorso, quando la precedente riunione della Chiesa di Stato inglese aprì le consultazioni ufficiali sulla proposta di riforma della legislazione episcopale.
Non tutti, infatti, sono d’accordo nel compiere questo passo. A partire proprio dalle protagoniste della storica apertura: le donne. Già prima del Sinodo del 2012, infatti, 2.200 aglicane avevano presentato una petizione in opposizione alla nuova legislazione. Il Sinodo aveva tentato in tutti i modi di far rientrare la polemica trovando un compromesso: “rispettare” le singole Chiese anglicane sparse nel mondo qualora non avessero consentito l’apertura alle donne vescovo. Ma, nonostante ciò, non si raggiunse un accordo su che cosa questo ‘rispetto’ dovesse implicare. A conti fatti, comunque, la proposta di riforma non riuscì ad ottenere (per soli sei voti) i due terzi dei consensi, necessari per l’approvazione, e la questione fu rimandata.
Oggi, però, le pressioni fatte dai vertici anglicani in questi dodici mesi hanno trovato terreno fertile, portando l’assemblea verso un voto pressoché unanime. Secondo Welby, infatti, la “Chiesa madre” di 80 milioni di anglofoni nel mondo doveva necessariamente aprire le porte alle donne vescovo. Una concessione che, in effetti, è già prassi consolidata nelle comunità anglicane di Stati Uniti, Australia, Canada e Nuova Zelanda. Un’iniziativa, la sua, che gode del sostegno del premier britannico David Cameron, che riferendo in Parlamento si è dichiarato “fermamente a favore delle donne vescovo, che riaffermano la posizione della Chiesa d’Inghilterra come una Chiesa moderna e in sintonia con la nostra società”.
Difficile, comunque, che le proteste si plachino. Secondo Susie Leafe, a capo del gruppo “Proper Provision” (che riunisce le oppositrici alla riforma) “non è un problema di uguaglianza, ma di teologia. Uomini e donne sono stati creati uguali da Dio, ma ci sono delle differenze nel ruolo che uomini e donne hanno all’interno della famiglia e nella Chiesa di Dio”.
Anche perché la questione è tutt’altro che chiusa. La decisione, ora, dovrà passare l’esame del Sinodo generale della comunione anglicana, in programma fra luglio e novembre 2014. La palla, poi, andrà al Parlamento inglese; ogni deliberazione del Sinodo deve essere infatti ratificata da Westminster. Dopodiché, l’ultimissima parola spetterà alla regina Elisabetta, capo della Chiesa anglicana, che dovrà dare il suo assenso alla riforma. Se tutto però andrà come prevedono a Canterbury entro la fine del prossimo anno la nuova legislazione riuscirà a entrare in vigore e la Chiesa d’Inghilterra vedrà ordinata, dopo anni di battaglie verbali, la sua prima donna vescovo.