29 Marzo 2019

La rete toglie, la rete dà…

di Laura Colombo e Laura Milani


In una lunga intervista sul quotidiano francese Le monde del 27 febbraio 2019, il regista Nanni Moretti dà ragione della crisi della democrazia e del ripiegamento identitario che vediamo accadere in molti paesi europei con queste parole: “Le propongo questo cocktail: una crisi oggettiva delle classi medie e popolari; la scomparsa della sinistra e degli ideali collettivi; la paura dell’altro sordamente alimentata nelle persone; la detestabile presa che ha la Rete sul nostro comportamento sociale e sulla nostra maniera di pensare”.


L’ultimo elemento ci ha particolarmente colpite: siamo donne che abitano la rete da tempo e che in rete, con il sito e i social della Libreria delle donne di Milano, hanno giocato una scommessa politica importante. Proprio per questo capiamo il senso delle parole di Moretti, che riecheggiano le nostre esperienze e le riflessioni maturate nel tempo su ciò che accade in rete e ciò che capita a noi quando siamo in rete. Con la rete si è operato uno spostamento: gli scambi personali e politici, quello che Moretti chiama socialità, si è in parte spostata dai luoghi reali ai luoghi virtuali. Pensiamo alla politica istituzionale: dall’Italia agli Stati Uniti, i messaggi Twitter sono il primo canale di esposizione dei politici, efficaci perché sintetici e contestuali a ciò che accade, ma necessariamente determinati dalla logica del pro e contro. È una pratica molto diffusa, che rivela un bisogno di esserci e comunicare ma toglie l’essenziale nei dibattiti e nella politica. Toglie lo scambio in presenza, fatto di corpi, di sguardi, di sfumature nell’espressione e nel linguaggio. La rete cambia anche la compagnia, quella virtuale si comporta diversamente da quella reale. Spesso attraverso i social ricreiamo una comfort zone virtuale, una comunità di simili cementata dal bisogno di “essere contro”. Ci sono molti esempi che riguardano la politica in senso lato. Purtroppo il femminismo non è esente da queste logiche e la questione non è banale, perché la situazione si può trasformare in “una contro tutti”, o “qualcuna contro altre”, senza la mediazione dei corpi. È precisamente l’assenza di una mediazione che modifica la maniera di pensare: la mediazione, fatta dal coinvolgimento di tutti i cinque sensi in una presenza empatica, permette un riposizionamento rispetto al già detto e al già pensato, allarga l’orizzonte della responsività immediata e sintetica spesso indotta dalla rete. Il modo di pensare può anche essere condizionato dalle notizie false, dalla capacità dialettica o dall’arroganza di chi è pro o contro un’idea, dal gusto dello scontro frontale, della provocazione, dello schieramento fra chi vince e chi perde, della violenza verbale. Pensiamo alle minacce di morte e di stupro verso Laura Boldrini, che nel 2017 ha reagito denunciandone gli autori, per dare un segno di reazione al bullismo in rete, per essere esempio verso chi, più indifesa, porta scritte sul corpo le offese e le violenze che la rete registra rendendole immodificabili.


Tuttavia non è sensato dare tutta la colpa alla rete per singoli comportamenti umani violenti. La violenza verbale e le scorrettezze hanno nomi e cognomi, le offese sono fatte su persone reali. E questo nella rete ha un suo spazio e talvolta il linguaggio offensivo è un suo linguaggio. Ma non sempre e non per tutti. La rete non solo toglie, la rete dà. Di più, è un ingrediente ineliminabile della nostra vita che permette vicinanza, connessione e contatto a distanza, personale visibilità, senso di partecipazione e di comunità, possibilità di esprimersi, senso di esserci e contare, informazione ampia, diretta, dal basso.


Come difenderci, allora, da quello che la rete toglie o usa di noi per altri fini? Ci toglie qualcos’altro oltre allo scambio in presenza, c’è un conto che la rete ci presenta e che, senza neanche saperlo, noi paghiamo. Ci riferiamo, qui, ai dati come moneta di scambio, a tutto quello che, navigando, sborsiamo nei termini del nostro privato – preferenze, scelte personali, politiche, sessuali, religiose – che, senza mediazioni, è reso pubblico o usato per fare profitto. Ci abbiamo pensato, arrivando a un punto che va approfondito. Alla rete non rinunciamo, non solo perché oggi non è possibile, ma perché ci interessa, il nostro desiderio e la nostra scommessa politica sta anche lì. Si tratta di esserci con una propria misura, data essenzialmente da quello che circola nei rapporti tra noi, in primis nelle relazioni in carne ed ossa di noi che facciamo il sito (l’abbiamo chiamata “redazione carnale”). Ma, in concreto, in cosa si traduce questa misura data dalle relazioni? In alcuni casi significherà preservarsi, valutando di volta in volta il conto da pagare. In altri, significherà spendersi per attivare il circolo virtuoso rete-mondo, alla maniera di Greta Thunberg, per citare l’esempio più recente di una politica che punta in alto.


(libreriadelledonne.it, 29/03/2019)

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