22 Gennaio 2015
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La scelta

di il ricciocorno schiattoso

Per Natale ho deciso di tradurvi parte di un articolo pubblicato sul sito feminist current dal titolo Shit liberal feminists say: Choice.

L’autrice, Jindi Mehat, nel suo pezzo affronta il tema della “libera scelta”, un argomento usato da quello che lei definisce “femminismo liberale” per opporsi agli argomenti di quelle femministe che vengono etichettate come “SWERF” (Sex Worker Exclusionary Radical Feminist).

Secondo Mehat l’argomento della “libera scelta” è usato nei dibattiti per “rendere più confortevole l’oppressione” e “to feel good and feministy without actually doing feminism“.

 

Come viene utilizzato:

Il femminismo liberale stronca ogni dibattito tirando in ballo la “scelta”, laddove le femministe radicali analizzano il contesto e le conseguenze delle scelte – in particolare quelle scelte che rafforzano la supremazia maschile. Questo di solito avviene durante le conversazioni che riguardano prostituzione, pornografia, o altre industrie e attività che oggettivano le donne o incoraggiano le donne ad oggettivare se stesse, come, ad esempio, lo spogliarello.

Una femminista radicale vede lo spogliarello come qualcosa che conferma la supremazia maschile poiché la donna coinvolta presenta se stessa come oggetto sessualizzato ad uso e consumo dello sguardo maschile. Coloro che guardano sono uomini che non si preoccupano di quella donna come persona. Non stanno pensando a lei come ad un essere umano completo – il loro obiettivo è semplicemente esaminare e valutare il suo corpo allo scopo di ricavarne gratificazione sessuale.

In linea con la convinzione femminista che il femminismo è la lotta per liberare tutte le donne, una femminista radicale riconoscerebbe che “scelta” di una singola donna di spogliarsi è profondamente connessa all’idea ampiamente diffusa che i corpi delle donne  – i corpi di tutte le donne – esistono per gli uomini e per essere approvati dagli uomini.

Inoltre, una femminista radicale saprebbe anche guardare al contesto di questa scelta. Nel caso dello spogliarello, questo include anche il tenere conto del fatto che, nel patriarcato, le donne sono educate fin dalla dalla nascita ad oggettivare se stesse. Terrebbe in considerazione lo stillicidio di messaggi più o meno subdoli che assorbiamo nel corso di tutta la nostra vita e che ci insegnano a sforzarci di essere carine e sessualmente desiderabili per gli uomini.

Considererebbe anche i modi in cui il patriarcato limita la gamma di opportunità lavorative disponibili per le donne, il modo in cui il traffico aiuta gli uomini rifornendoli di corpi femminili da occhieggiare, e il modo in cui l’oggettivazione è collegata alla violenza maschile sulle donne. Dopo tutte queste analisi, concluderebbe che, se non fosse per il patriarcato, le donne avrebbero una più ampia gamma di professioni ben pagate tra cui scegliere  e, con ogni probabilità, meno donne sceglierebbero lo spogliarello.

L’analisi di una femminista liberale dello spogliarello sarebbe molto diversa; essa inizia e finisce con un punto: poiché una singola donna ha scelto di spogliarsi, lo spogliarello è, di default, una scelta femminista che da considerarsi “empowering” che non deve essere biasimata (per la terza ondata questo equivale ad “analizzare”).

Questo è tutto: la scelta. Punto.

Perché è sbagliato:

Gli obiettivi del femminismo liberale sono diversi dagli obiettivi del femminismo radicale, in quanto il primo vuole che le donne ottengano gli stessi benefici degli uomini, mentre le femministe radicali combattono per liberare tutte le donne dalle strutture patriarcali di oppressione; alla luce di questa premessa il focus sulla scelta ha un senso. Dal punto di vista liberare, che le donne possano scegliere qualcosa – qualsiasi cosa – è una vittoria, indipendentemente dall’impatto di quella scelta nella società, o da quali altre scelte quella donna avrebbe potuto fare se avesse avuto a disposizione una più ampia gamma di possibilità.

C’è una dura e amara verità da accettare prima di aderire ad un movimento che opera per la liberazione delle donne. E’ uno schifo rendersi conto che gran parte del nostro comportamento è influenzato da una società strutturata in modo da crescerci come creature graziose, compiacenti e concentrate sull’essere attraenti per gli uomini. E ‘doloroso prendere coscienza di come il razzismo, la povertà, la classe e la supremazia maschile limitino la varietà e la qualità delle scelte che abbiamo a disposizione. Non importa quanto  disagio ci causa l’accettarlo, questo è l’unico modo per intraprendere il lungo e difficile processo di messa in discussione del nostro comportamento affinché cambi, e cambi anche il comportamento  degli uomini.

Questo è il lavoro del femminismo, un lavoro per lo più ingrato, spesso pericoloso, ma che deve essere fatto – un lavoro che le donne non possono iniziare se negano le condizioni della nostra oppressione. Non possiamo uscire da una gabbia che stiamo cercando disperatamente di non vedere.

A cosa serve:

E’ fuor di dubbio il fatto che celebrare la “scelta” aiuta le donne a sentirsi bene con se stesse e, allo stesso tempo, le esime dall’affrontare il patriarcato che, in alcuni casi, finiscono col sostenere. Permette loro di ottenere dalla società quei benefici concessi alle donne che non mettono in discussione la supremazia maschile mentre confortano se stesse con l’idea che il loro comportamento – non importa quanto problematico – sia femminista.

Ci sono conseguenze concrete e pericolose quando le donne si comportano in modo misogino nella convinzione di essere femministe. Persuase di essere dalla parte delle donne, evitano di esaminare criticamente i comportamenti che sostengono e abbandonano il vero lavoro del femminismo, scatenandosi rabbiose contro quelle femministe radicali che chiedono loro di considerare che le idee espresse potrebbero in realtà non essere dalla parte delle donne. Allo stesso modo, gli uomini che sono attratti da questo femminismo buonista che non chiede loro di fare nulla di diverso, sostengono il femminismo senza prendere coscienza del loro privilegi e senza chiedere alle femministe come possono cambiare. Invece di dirigere la loro rabbia contro il patriarcato e il privilegio maschile, le femministe della terza ondata si scagliano contro le femministe radicali che osano porre quelle difficili domande cui occorre dare una risposta se l’obiettivo da raggiungere è un reale cambiamento.

Nel frattempo, si riscontra nelle donne e nelle ragazze un aumento del tasso di disagio mentale, di coercizione sessuale, e, con variazioni rispetto alla classe sociale di appartenenza, alla razza o al territorio, tassi tragicamente alti di violenza sessuale.

Che cosa rivela:

Uno sguardo attento rivela che il “femminismo della scelta” non è affatto femminismo. Il femminismo chiede che le donne sfidino le condizioni materiali della nostra oppressione e agiscano coraggiosamente per la nostra liberazione, nella consapevolezza che questo ci renderà dei bersagli e, in molti casi, ci allontanerà da quelle persone a cui teniamo che non sono disposte o in grado di stare dalla nostra parte.

Il femminismo liberale non chiede nulla per le donne. Invece, sostituisce alla dolorosa auto-autoanalisi e ad un’azione audace dei mantra e delle parole d’ordine che consentano alle donne di evitare le sanzioni che inevitabilmente comporta lo sfidare i sistemi di potere radicati. Le donne che scelgono il femminismo liberale hanno scelto di non combattere il patriarcato per liberare tutte le donne dalla gabbia in cui vivono oppresse – ma stanno scegliendo di rendere quella gabbia più comoda per se stesse.

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