14 Luglio 2016
Internazionale

La scuola cattolica di Albinati svela la violenza dei maschi italiani

di Christian Raimo

La scuola cattolica di Albinati svela la violenza dei maschi italiani – Christian Raimo – Internazionale

È veramente complicato parlare del nuovo libro di Edoardo Albinati, La scuola cattolica. E non è solo per la sua lunghezza, sono 1.294 pagine di un’edizione Rizzoli con una gabbia molto larga, e per leggerle occorre almeno una settimana in cui si rinuncia a quasi ogni altra attività. Ma la mole gigantesca non è l’ambizione maggiore di Lsc, che non è, come qualcuno ha fatto notare, solo un libro lunghissimo, ma un testo che già di suo dichiara di essere molte cose insieme.

È un romanzo fagocitante, bulimico, che cerca, impossibilmente, di fare i conti una volta per tutte con gli atti e le ideologie di quella generazione diventata adulta negli anni settanta tra crisi dei valori borghesi ed esplosione della violenza non solo politica; è un romanzo dell’io, metà Bildungsroman con tutte le scene classiche del genere (conflitto con i genitori, scoperta del sesso, amore per i mentori, amicizie e tradimenti, confusioni ideali, nostalgia e sollievo per la possibilità di lasciarsi quel tempo alle spalle) e metà memoir scritto a mo’ di diario, con appunti che ripercorrono l’aneddotica di una giovinezza esemplare anche per il solo fatto di essere lontana.
La scuola cattolica di Albinati svela la violenza dei maschi italiani – Christian Raimo – Internazionale

Ed è anche un trattato sull’educazione del maschio in Italia, il tentativo di rintracciare la genesi di quel carattere idealtipico di sopraffazione, arroganza, cameratismo criptofascista attraverso cui interpretare la storia complicata del nostro paese; ed è, come ha già fatto notare su IL Francesco Pacifico, un libro che somiglia per andamento e voce ai Saggi di Michel de Montaigne (in alcuni casi a Blaise Pascal), una serie di riflessioni che procedono per divagazione dalle letture e dalle esperienze biografiche di Albinati: invenzione e fedeltà ai ricordi si fondono senza nemmeno specificare precisamente le dosi dell’amalgama.

Cinquant’anni di storia personale e comune

La fonte nera da cui scaturisce l’intera narrazione è duplice. La prima è la coincidenza per cui Albinati è stato compagno di scuola dei tre protagonisti del delitto del Circeo – Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira (Angelo, Subdued e il Legionario, nel libro) – che violentarono e massacrarono Rosaria Lopez e Donatella Colasanti; quest’ultima si salvò miracolosamente, fingendosi morta. Era il 1975: l’autore aveva vent’anni, gli assassini avevano vent’anni.La scuola cattolica di Albinati svela la violenza dei maschi italiani – Christian Raimo – Internazionale

La seconda è l’altro delitto di cui si è reso colpevole Angelo Izzo, nel 2004: l’omicidio feroce di una donna e di sua figlia di 13 anni a Ferrazzano, un paesino vicino Campobasso nel quale Izzo scontava la pena in una cooperativa, affidato di giorno ai servizi sociali. Nel 2004 Albinati, che non aveva mai scritto del delitto del Circeo nonostante la conoscenza diretta, sente invece di essere chiamato a farlo: una sorta di vocazione a raccontare questa storia, a doverla dire tutta.

L’eccezionalità di questo libro deriva da questo: dai dieci anni di lavoro necessari alla stesura certo, ma soprattutto dal non voler lasciare nulla di nascosto, nel vuotare il sacco come in una confessione, alla Agostino, alla Rousseau.

Se è vero quindi che La scuola cattolica è un romanzo programmaticamente sconfinato, è vero anche che ha dei limiti geografici, che sono le stesse mura scolastiche dell’istituto solo maschile San Leone Magno e le strade del quartiere Trieste; SLM e QT come sono abbreviati nel libro. Ciò che può sembrare un campione talmente minuscolo da non poter essere paradigmatico di nulla, diventa invece, più che lo specchio, la lente deformata attraverso cui raccontare cinquant’anni di storia personale e comune.La scuola cattolica di Albinati svela la violenza dei maschi italiani – Christian Raimo – Internazionale

Soprattutto la prima parte del romanzo è un ritratto plurale di un gruppo di maschi, i compagni di classe e di scuola, che costituiscono un unico personaggio, un noi, da cui ogni tanto si distacca un nome.

“Eravamo sognatori abbastanza privi di fantasia. La principale stimolazione ci veniva dalla televisione e dalle barzellette sporche, di cui devo ammettere che raramente coglievo il senso, voglio dire, il senso integrale.
Non sarà per caso che esiste l’espressione “il primo della classe” mentre non si è mai sentito dire il secondo o il terzo, o il quinto della classe, come eravamo Zipoli e Zarattini, Lorco e io. Nascere maschi è una malattia incurabile. Non era solo Arbus a mostrarsi goffo, scoordinato. Tutti noi facevamo movimenti sgraziati per compiere qualsiasi gesto, fosse anche mettersi la cartella sulle spalle (allora non esistevano gli zaini se non quelli da campeggio). Se uno psicologo avesse osservato i balzi scomposti che facevamo, il nostro modo di grattarci e sbracciarci, avrebbe dedotto che eravamo malati di mente”.La scuola cattolica di Albinati svela la violenza dei maschi italiani – Christian Raimo – Internazionale

Se non è rigida come nel Giardino delle vergini suicide di Jeffrey Eugenides – dove il narratore non ha un’identità, scompare direttamente nel gruppo dei maschi adolescenti – la prima persona plurale coniugata all’imperfetto (eravamo, facevamo) è comunque il cardine della narrazione di Albinati. Questa gli serve per diagnosticare senza darsi scampo questa malattia incurabile dell’essere nati maschi.

La condizione maschile è setacciata attraverso un’acribia sociologica, filosofica, storica, letteraria, e soprattutto attraverso la strumentazione che gli viene dal femminismo. Albinati stesso ha dichiarato nella presentazione di Lsc all’Auditorium un mese fa che per scrivere questo libro si è letto centinaia di testi femministi, e anche a un certo punto del libro ammette questo debito:

“Il più originale e durevole discorso politico del novecento è il femminismo. (…) Il principale discorso politico del novecento non è dunque il comunismo, originato nel cuore del diciannovesimo secolo, e non lo sono nemmeno le alchimie reazionarie che lo hanno combattuto più o meno mescolandovisi. Tantomeno il capitalismo, che ha origini ancora più remote. Il più innovativo movimento politico degli ultimi cento anni, nonché quello più drammaticamente attuale, è quello della liberazione delle donne”.


[…]


Ci fermiamo qui, nel punto cruciale. Tutto il testo si può leggere su Internazionale
(La redazione del sito, 14/7/2016)

Print Friendly, PDF & Email