7 Settembre 2015
Il Quotidiano del Sud

La speranza che viene da chi fugge da guerre e fame

di Franca Fortunato


La speranza che viene da chi fugge da guerre e fame a occupare la scena europea e mondiale in questi ultimi giorni sono i tanti volti e corpi di migliaia di donne, uomini, bambine e bambini che, sfidando ogni pericolo, anche quello estremo della morte, continuano ad arrivare in Europa. Il mare, con la pietà di una madre, accoglie nei suoi abissi i loro corpi privi di vita, li adagia con compassione sulla sua battigia – come il corpicino del bimbo curdo-siriano sulla riva della Turchia – perché il mondo intero guardi e sappia. Guardi e sappia, chi ha occhi per guardare e cuore e mente per sapere, i disastri che i “potenti” europei e statunitensi hanno creato, dal 2001 ad oggi, con le loro “guerre umanitarie”, fatte per “esportare la democrazia”, “abbattere i tiranni”, “combattere il terrorismo” e “rendere il mondo più sicuro”. Guardi e sappia i disastri creati dalla finanza e dalle ricette neoliberiste e neocoloniali europee e mondiali, che rendono i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, costringendoli ad emigrare – come gli africani – che l’Europa vorrebbe respingere in quanto “migranti economici”. L’Europa e il mondo intero hanno un enorme debito verso tutta quella marea umana che si è imposta sulla scena mondiale e che interpella tutte e tutti noi. “Emergenza umanitaria” l’hanno chiamata quegli stessi governi, responsabili, insieme agli Usa, dei disastri in Iraq, Siria, Afghanistan, Libia e che fino a qualche mese fa preferivano girare la testa dall’altra parte e parlavano di voler intraprendere una nuova “guerra umanitaria”, questa volta per liberare i migranti dagli scafisti. «Nella parola “emergenza” c’è l’emergere: da un’emergenza nascono nuove cose», scrive Rebecca Solnit nel suo libro Speranza nel buio. Che cosa quella marea umana, con i suoi drammi e tragedie, ha fatto emergere? Ha fatto emergere le responsabilità – contrariamente a quanto affermato da Renzi – di un’Europa e di un mondo guidati dalla finanza e dall’ideologia coloniale neoliberista, che già altrove – in Grecia, come in America Latina – avevano avuto modo di mostrare il loro vero volto, “crudele” e “antidemocratico”, di fronte all’opposizione di popoli e governi liberamente eletti. La Grecia è stata umiliata e costretta ad accettare il ricatto dei “creditori”, l’America Latina sta là a dirci che un altro mondo è possibile. Quei popoli, come anche il popolo greco nonostante l’umiliazione subita, lasciano aperta anche per noi la possibilità di agire la speranza di cambiare questa Europa e questo mondo della globalizzazione dei disastri. La speranza guida la marea umana dei migranti. Sono pieni di speranza i loro cuori, per questo rischiano la vita in mare e sulla terra. Abbattono muri – come in Ungheria -, affrontano le bombe urticanti, le schedature, il marchio di un numero sul loro braccio, il caldo sugli scogli, il freddo, la pioggia, la fatica del camminare – come nella lunga marcia a piedi dall’Ungheria all’Austria -; le donne partoriscono sui barconi o sulla terra ferma e proteggono dalle insidie le loro figlie e figli che si portano dietro o stringono al loro petto. Niente e nessuno può fermarli, perché grande è la forza della speranza di chi fugge dalla guerra e dalla miseria e c’è chi tra loro spera un giorno di poter tornare nel proprio paese. Da questi uomini e da queste donne ci viene oggi una grande lezione di civiltà, di forza, di dignità e di lotta. Sui loro volti al momento dell’arrivo non ho mai visto disperazione ma gioia, per avercela fatta ad attraversare il mare, li ho visti sorridere, fare il segno di vittoria, inginocchiarsi sulla nuda terra per ringraziare il proprio dio. Ho visto bambine e bambini giocare anche con poco, anche nei momenti più faticosi come aspettare per giorni che aprano una frontiera – come a Ventimiglia – o che parta un treno che non arriva, in una stazione sconosciuta, di un paese lontano come l’Ungheria. Ho visto il volto bellissimo di neonati tra le braccia delle madri e dei padri. Immagini di una umanità dolente, sì, ma fiera, forte e determinata ad andare avanti, a non tornare indietro. Sono loro che oggi danno un’anima a questo mondo. Sono loro che, accanto alle miserie umane di chi li addita come nemici da temere, di chi li respinge e li attacca, hanno fatto emergere l’umanità delle tante donne e dei tanti uomini che li accolgono, li soccorrono, li vestono, gli danno da mangiare e da bere, dalla Sicilia a Ventimiglia, dalla Calabria all’Ungheria, dalla Sardegna all’Austria, dalla stazione di Milano alla Germania. Il Pentagono avverte che l’esodo di massa durerà ancora per vent’anni, dando per scontato che questo mondo non cambierà. Ma nel mondo degli affari umani niente è scontato, tutto è imprevedibile se la coscienza e la consapevolezza, figlie della conoscenza, grazie anche a quella marea umana, avranno la meglio su questa Europa e su questo mondo della globalizzazione dei disastri.


(Il Quotidiano del Sud, 7 settembre 2015)

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