26 Novembre 2013
Avvenire

La svolta di noi padri contro la violenza alle donne

di Luciano Moia

Non basteranno le leggi, non basteranno le “giornate contro”, non basteranno convegni e riflessioni, non basteranno le tante parole ascoltate in questi giorni a debellare l’odiosa tragedia del femminicidio.

Giusto, certo, alzare la guardia e diffondere dati, conoscenze e consapevolezza su un sommerso impressionante, troppo spesso avvolto dal silenzio pesante del familismo peggiore. Ma se noi uomini, noi padri per primi non ci convinceremo dell’urgenza di inaugurare una nuova stagione educativa contrassegnata da esempi inequivocabili di rispetto e di attenzione verso il mondo femminile, non riusciremo mai a estirpare questo virus malefico. Serve cioè una svolta radicale per sgomberare il campo da un certo clima di omissioni, di silenzi, di indifferenza.

Di fronte a un sistema che, attraverso i media, la pubblicità, la tv e ogni altro genere di spettacolo vomita a getto continuo immagini ammiccanti e volgari del corpo femminile, ci vogliono dosi robuste di pazienza, gesti contrassegnati dall’umiltà e una carica inesauribile di energia. La pazienza serve per non stancarci di spiegare ai nostri figli maschi – soprattutto se adolescenti – che è segno di maturità e di equilibrio rifiutare il ciarpame machista alimentato anche di piccoli soprusi e di dispotismi apparentemente innocui.

E che sono i piccoli gesti di rispetto e di tenerezza a costruire un’identità maschile che, se vuol essere davvero controcorrente e alternativa, dev’essere modellata sulla dimensione della reciprocità e della condivisione. L’umiltà è poi indispensabile per rivedere i nostri comportamenti, spesso inconsapevoli, ma talvolta viziati da distrazioni banali, omissioni più o meno gravi nei confronti di mogli, fidanzate, amiche, figlie, colleghe, ma anche di tante altre donne a cui talvolta ci siano rivolti con parole e atteggiamenti sbagliati.

E ancora l’umiltà serve – e ce ne vuole tanta – per riconoscere la disparità del nostro impegno sul fronte domestico. Le statistiche non lasciano spazio al dubbio. Noi maschi italiani siamo agli ultimi posti in Europa per il tempo dedicato all’educazione dei figli e alle faccende di casa. Le nostre partner, tra ufficio e lavoro domestico, accumulano in media 4, 5 ore di lavoro quotidiano in più. Un primato di cui dovremmo vergognarci. Anche perché i figli guardano e giudicano.

Nella migliore delle ipotesi prendono le distanze. Nel peggiore si adeguano. Ma se è vero, come è vero, che si educa soprattutto attraverso gli esempi, è indispensabile recuperare terreno e credibilità anche rimboccandoci le maniche. Il dovere e la bellezza della parità dei ruoli si proclama sul campo, affiancando la nostra lei in tutte le incombenze, non teorizzando buone intenzioni sprofondati nella poltrona del salotto. Il virus dell’intolleranza verso le donne e gli stereotipi sulla presunta inferiorità femminile, combustile silente e pernicioso di tanti gesti di violenza, si combatte con la virtù dei fatti, non con la demagogia delle parole.

E infine la carica di energia. A quella dobbiamo ricorrere per non spegnere mai il fuoco dell’indignazione. Indispensabile per reagire con fermezza e per bollare come ingiusti e insopportabili agli occhi dei nostri figli i tanti episodi di stalking, di violenza e gli altri reati obbrobriosi contro le donne che trovano spazio nei titoli dei tg e nelle pagine dei giornali. Perché solo il protagonismo convinto di noi uomini e di noi padri sul fronte educativo servirà a costruire un futuro di autentica e condivisa parità.

(Avvenire, 26 novembre 2013)

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