24 Ottobre 2012

La vecchiaia non è un pesticida

Francesca Pasini

Sono bloccata da una caviglia rotta. Da tre mesi. L’immobilità mi inquieta, anche per gli ovvi presagi di vecchiaia. Però, mi piace quest’immersione nel tempo che passa senza di me. Io lavoro a casa, non devo andare regolarmente in un posto. Non ho subito lo sbalzo di questa interruzione. Lavoro al computer come sempre. Ma non è automatico entrare in me stessa. Sono sospesa.
E’ molto forte la percezione che il tempo passi senza di me. Una prova generale di vecchiaia, quando ti perdi in piccoli rituali per darti una ragione del tempo? Forse. All’inizio mi sono fatta guidare dal ritmo delle stampelle, che non uso perchè ho paura di cadere, dalla carrozzella che mi consente di muovermi con apparente spontaneità, dalle visite di controllo, dalla ferita che non cicatrizza, dagli appuntamenti televisivi. Di nuovo la vecchiaia. In genere guardo poco la TV: alla sera ci sono le inaugurazioni delle mostre, e poi gli weekend a Camogli. Insomma: a casa ci sto molto durante il giorno, ma di sera quasi mai.
Sono sospesa. Poi un giorno sono venute a trovarmi Giovanna e Silvia e mi hanno parlato del seminario sulla vecchiaia della SIL (“Passaggi di vita, passaggi di stile”). Vorrei venire, ma purtroppo non potrò. Così provo a utilizzare il tempo per rifletterci.
Mi è tornato in mente il festival di Sanremo, erano anni che non lo seguivo. Tra gli esordienti Erica Mou canta “Voglio diventare vecchia… Voglio diventare vecchia con i ricordi tutti intatti, con le rughe tatuate a ricordarmi quanto è stato bello ridere con gli occhi e con le labbra. Voglio diventare vecchia con le rughe tatuate…. Schiva chi si conforta con espressioni di gomma…. Voglio diventare vecchia. … Voglio diventare vecchia senza fretta. Senza fretta, insieme a te”.
Bello questo desiderio, e il rifiuto di una giovinezza a suon di bisturi. Ma percepivo qualcosa di più. Ecco cos’è: La vecchiaia non esiste più. Fisicamente sì, ma sentimentalmente non c’è più.
Il problema vero è viverla e forse anche arrivarci.
Tutto quello che abbiamo scoperto negli anni 70 coincideva con la giovinezza, non solo anagrafica, ma anche culturale, sentimentale, teorica. Oggi si spendono parole e parole sui i giovani, sul loro difficile futuro, ma non si arriva a un granché.
Forse il problema sta nel fatto che la vecchiaia non esiste più? Era questo che ci raccontava la garbata melodia di Erica Mou? Quel suo desiderio delle rughe tatuate avverte che la vecchiaia non è raggiungibile? E’ banale pensare che riguardi solo la chirurgia plastica, secondo me riguarda il compimento della vita. La protezione dei ricordi non è garantita dalla successione delle generazioni, la storia individuale è lasciata sola.
Non ci sono ombrelli comuni sotto i quali fare esperienza di questa rivoluzione affettiva: la fine della vecchiaia. Non si interrompe nulla. Non ci sono pensioni. Non ci sono famiglie coese piene di nipoti. Quello che mi interessa e mi dà uno scatto forte è come inventare ( si tratta di una vera invenzione) un luogo affettivo, teorico e pratico, per prendere coscienza che le età anagrafiche non sono le uniche scadenze della vita?
Abbiamo riflettuto sull’educazione dei figli e delle figlie, abbiamo elaborato modelli non autoritari, psicologicamente sensibili, abbiamo scrutato i disagi dell’adolescenza, abbiamo solidarizzato con le difficoltà amorose e così via. Ma non ci siamo accorte che nel frattempo saltava la progressione “darwiniana” delle età: quindi, non abbiamo un modello utile per stare in equilibrio con le varie generazioni che organicamente accompagnano il passare del tempo.
Se l’età media si alza non possiamo mica pensare solo a programmare più ospizi (quelli ci vogliono), ma la scommessa è come uscire dalle abituali stagioni della vita. Sappiamo che la giovinezza ha le maggiori potenzialità. Ma è difficile accettare la stereotipata consolazione che la vecchiaia sia un compimento che anestetizza la vita passata.
Oggi questo non è garantito per nessuna donna, per nessun uomo, viste le efferate esperienze che la cronaca ci mette sotto gli occhi, mentre scrivo in due giorni ci sono stati tre episodi di violenza su donne di varia età. Per loro la vecchiaia potrà mai prescindere da quello che è successo? E nello stesso tempo per quale motivo la curiosità verso di sé e verso il mondo dovrebbe attutirsi con l’andare del tempo? La cosa veramente difficile è come impostare un dialogo sincronico con l’infanzia, l’adolescenza, la maturità, la vecchiaia senza incasellarle in un compimento regolare. La senectus latina ci ha plasmato la fantasia di un ammorbidimento di pulsioni, contrasti, inquietudini, una volta che si sia raggiunta la debolezza fisica del corpo e la saggezza della vecchiaia. Ma oggi siamo a fine corsa: la realtà è più dura.
Non maturiamo come una mela sull’albero. Ci sono vermi che una volta che hanno scavato i loro tunnel nel nostro corpo e nella nostra mente, non spariscono. La vecchiaia non è un pesticida che libera dall’infezione. Né una forma di atarassia rispetto alle emozioni e alle intuizioni. Forse valeva quando la forza fisica era base della sopravvivenza. Ma, in millenni siamo diventati più complessi.
Comunque, se la vecchiaia non esiste sentimentalmente e “razionalmente”, esiste fisicamente. L’unica via per viverla è la commendevole accettazione di quello che si è vissuto? Ci sono cose dolorose, ma anche felici che non sono alienabili. Mai. E oggi la tecnologia ci presenta solo l’aspetto più rozzo del desiderio di “non smettere di desiderare mai ” come diceva Rilke, quello dell’aspetto fisico del corpo, per cui possiamo cancellare rughe e chili in più. E’ sufficiente a farci sentire giovani? No. Però ci ha portato a pensarci sempre attraenti e, quasi di soppiatto, a cancellare la vecchiaia. La longevità ha fatto il resto.
Bisogna fare un grande salto. Conviviamo con persone vecchie, ma giovani rispetto all’aspetto fisico, con altre che si tengono le rughe tatuate e sono comunque giovani perchè hanno intuito che la vecchiaia sentimentale intellettuale non ha più spazio.
Nel 1970 in “La critica è potere”, l’ultimo saggio come critica d’arte, Carla Lonzi afferma: “l’intuizione è essa stessa un modo di vivere e non un mistero da chiarire attraverso un’analisi razionale”. (Scritti sull’Arte , et/Al. Edizioni, 2012)
La fine della vecchiaia è un’intuizione che ho “vissuto” spesso in questi anni, di fronte alle lamentele sull’assenza di giovani nella società, nella politica, nelle professioni. Ma, se andiamo oltre lo stereotipo delle parole, del decadimento della pelle e del corpo, si può vivere qualcosa di esaltante e anche tremendo. E’ esaltante pensare che sarò sempre consapevole di ciò che mi è successo, ma è tremendo pensare che non posso addormentare le felicità, le ansie, i drammi della mia vita.
Tutte forse, sotto sotto, nel dialogo con quelle che sono nate dopo, abbiamo sperato che si ripetesse la nostra felice stagione anagrafica e di pensiero.
Ma io credo che per le donne non sia stato ancora accumulato un patrimonio sufficiente da far avvertire il passaggio delle generazioni. Non possiamo neanche diventare vecchie. Ma dobbiamo farci carico di una società che ci ha ricacciato nel modello di una giovinezza senza età per continuare ad essere oggetto di desiderio. Erica Mou, che ha ventanni, dice che vuole continuare ad essere un soggetto anche da vecchia e aggiunge “insieme a te”. Un tu che allude alla persona preferita nella vicenda amorosa, ma io penso anche a quel tu che riguarda i molteplici rapporti con gli altri, le altre. Insomma alla necessaria condivisione dei pensieri e delle opere che compiamo.
“Sebben che siamo vecchie”, abbiamo sempre “delle buone malelingue”, per contrastare le barriere fangose attuali, che talvolta vorrebbero appannare i cambiamenti per i quali abbiamo combattuto da giovani, trasformando i sentimenti e la sensibilità delle donne e, pur limitatamente, degli uomini. Sono barriere limacciose perché (donne e uomini) non siamo più giovani, perché non abbiamo movimenti in cui credere, perché abbiamo più esigenze e minori energie, perché siamo stati contagiati dall’ordine, perché abbiamo imparato a nascondere il disordine. Siamo diventati docili? Sì.
Il rischio è che la violenza che tutti deplorano, ritorni indietro come un boomerang e ce la troviamo addosso senza accorgercene (come scrive Luisa Muraro sull’ultimo Via Dogana). Le nostre “malelingue” devono ricominciare a cantare. La posta in gioco è dura e pericolosa. Serve un’invenzione. Non ce l’ho. Ma, Lonzianamente, vivo l’intuizione.
E voglio vivere la fine della vecchiaia nell’ubiqua, fragile famiglia relazionale in cui mi trovo a scambiare pensieri e affetti.
E’ una famiglia scossa da grandi turbamenti, perchè non è possibile chiedere e dare le stesse cose come nelle famiglie parentali. Per prendere tutto il buono di questa famiglia relazionale, bisogna riconoscerne la mobilità. Parte da intuizioni e non da linee di discendenza. Si allarga, si restringe, cambia, si avvita, si scioglie. Qui dentro appare anche la fine della vecchiaia, perchè il comportamento fisico, psichico generale e, se vuoi, il perenne stato di collegamento narrativo di iPhone, internet ecc, promuovono un contatto “senza età “, che entra negli incontri, nel lavoro, nelle vacanze.
Non erano in fin dei conti questi i nodi sostanziali della famiglia borghese patriarcale? Quante storie ho sentito da bambina rispetto agli amori, ai successi, ai drammi economici, di parenti vicini e lontani che pensavo costituissero la realtà della amata casa di campagna dei miei nonni paterni. Quella era il riferimento della mia discendenza e anche il modo di conoscere affettivamente la vita, la scuola, il futuro. Poi il femminismo mi ha fatto ritrovare in tante altre donne, la Rachele, la prima persona non consanguinea che ho amato, dalla quale ho imparato tutto quello che pensavo fosse necessario per cucinare e per crescere. E lo credo anche oggi, perchè lei per prima, lavorando in casa dei miei nonni, mi ha concretamente fatto capire che la famiglia è un anello che va oltre i cancelli di casa e che il sapere è sempre legato a una passione che coinvolge altri e altre. Perchè io l’ho amata di vero amore e le ho creduto. Così quando vedeva gironzolarmi attorno vari “mosconi”, mi diceva: “attenta Checca, che il can de massa paroni more de fame!” Come dire, sei tu che devi orientare la tua vita.
Voglio diventare vecchia, con questi ricordi intatti e metterli in pratica nella famiglia relazionale che ho cominciato a frequentare, quando ho ritrovato nelle donne, l’educazione sentimentale che mi ha trasmesso la Rachele. Lo capisco oggi perchè sono vecchia o perchè riconosco che la mia adolescenza è ancora dentro di me?

Milano, Aprile 2012
frapasini@gmail.com

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