24 Gennaio 2014

Un giorno si è decisa a raccontarmi

di Sara Gandini

Un giorno si è decisa a raccontarmi. Lei sapeva che lui era separato, che probabilmente aveva altri figli, che aveva dei debiti, ma le aveva garantito che in qualche anno tutto sarebbe andato a posto. E poi grazie a lui erano potute venire in Italia quando sua figlia aveva cinque anni. Non avevano avuto alternative, in Congo soffrivano la fame. Negli ultimi anni, a causa delle varie guerre per il petrolio, a mala pena riuscivano a mangiare una volta al giorno. Se non altro ora avevano un tetto sotto cui dormire e mangiavano tutti i giorni. Non era molto, ma d’altronde anche la ministra Kyenge è arrivata in Italia facendo la badante e dopo varie traversie è riuscita a studiare e a realizzarsi anche nel lavoro.

Dal giorno in cui sono arrivati in Italia sono passati otto anni e sono nati altri due figli. Tutti e cinque hanno vissuto con i risparmi di lei e gli aiuti della parrocchia. La casa in cui abitano in Giambellino appartiene a una cooperativa che realizza progetti per l’integrazione. Ma a chiamarla casa ci vuole coraggio: pareti scrostate, umidità ovunque, infissi inesistenti, il riscaldamento spesso salta. In una stanza più cucina vivono in cinque e non hanno nemmeno l’acqua calda.

Lui si era impegnato a farsi carico di affitto, bollette e retta scolastica, in attesa di avere una situazione economica che gli consentisse di provvedere a tutte le necessità della famiglia, momento che non è mai arrivato. In compenso un bel giorno lei si è trovata sotto casa la polizia, intenzionata a sfrattarli. Ed è così che ha scoperto che il marito non solo non aveva mai dato un soldo per cibo e vestiti, ma non aveva nemmeno mai pagato una retta scolastica, né una rata d’affitto e ultimamente neanche le bollette della luce. Infatti, a distanza di qualche giorno dall’arrivo della polizia, le hanno pure tagliato l’elettricità. Quando sono andata a trovarli, i due sorridenti bambini di tre e cinque anni giocavano alla luce della candela.

A questo punto, la mia amica si è mossa da sola per salvare il tetto che ha sulla testa. Certo non è stato facile, con tre figli da accudire, di cui due piccoli, e senza conoscere bene l’italiano, ma lei è sveglia ed è riuscita a contattare gli assistenti sociali, un’avvocata per separarsi, e ora ha trovato anche un lavoro part-time. Solo dieci giorni al mese, a fare le stanze in un albergo fuori Milano, ma meglio di nulla. È riuscita anche a rivolgersi al SICET (Sindacato Inquilini Casa e Territorio)1, per capire come muoversi per non perdere la casa. E il SICET è stata proprio una bella scoperta, in termini di umanità, disponibilità e competenza. Si sono mossi concretamente e in modo intelligente nelle mediazioni con la proprietà della casa per trovare soluzioni e cercare alternative praticabili per tutti.

Con lei ho vissuto di nuovo il respiro affannoso per l’angoscia di trovarsi in un paese lontano, di cui non sai lingua e usanze, senza soldi né familiari a cui chiedere aiuto. Ho sentito quasi sulla mia pelle la sua sofferenza l’ingiustizia che viveva. Forse perché anch’io ho vissuto all’estero. Sono stata un anno in Inghilterra e sono partita senza conoscere l’inglese e senza soldi. Ero studentessa di un master, quindi ero una privilegiata, ma la mia borsa di studio prevedeva soltanto di rimborsarmi spese che non sapevo come anticipare. E conosco bene l’angoscia di perdersi in un paese lontano dove non conosci nessuno. So cosa significa sentirsi persa di fronte a contratti da firmare di cui non capisci nulla, lavorare da cameriera e non sapere prendere le ordinazioni, sentirsi sola in un paese sconosciuto.

E così, toccata dalla sua storia, ho iniziato a coinvolgere alcuni genitori, un professore e una professoressa della classe delle nostre figlie – scuola media Rinascita – ed è iniziato un bello scambio di solidarietà e attenzione. C’è stato chi ha contattato gli amici valdesi, individuando un posto in cui rifugiarsi in mancanza di alternative, chi ha trovato un’avvocata per chiedere consigli, chi ha prestato una stufetta per scaldare il bagno e chi ha portato giocattoli per i bambini. Abbiamo raccolto i soldi per pagare la bolletta della luce e abbiamo cercato soluzioni per affrontare il freddo invernale, e poi serate nelle case per conoscersi e creare occasioni di scambio tra noi genitori. Mentre i professori si sono mossi per avvertire le istituzioni, assistenti sociali e consultori per la famiglia. È stato bello perché ognuno a modo proprio ha dato un contributo, umanamente, economicamente o cercando soluzioni, e la forza della scuola-comunità su cui punta Rinascita ha ridato energia anche a me, che mi ero fatta carico in prima persona di diversi problemi. Ho cercato di raccogliere informazioni, fare mediazioni, creare contesti ed è stata un’esperienza impegnativa e molto interessante, che mi ha permesso di scoprire mondi lontani. Alcuni genitori si sono stupiti e mi hanno chiesto come faccio a trovare tante energie per occuparmi e appassionarmi anche di questi problemi. Ma io so che per affrontare la mia angoscia per il mondo non posso far altro che mettermi in gioco personalmente, puntando sulla forza delle relazioni e facendone materia politica. Anche da questi racconti di vita vissuta, forse proprio dalle esperienze personali, spesso nasce la voglia di ribellarsi, di lottare a livello politico e provengono le domande che rimettono in moto.

Proprio grazie alla mia amica mi sono affacciata sul mondo parallelo del Giambellino, il quartiere in cui si trova la bellissima scuola media di mia figlia, Rinascita. È stato un incontro duro ma interessante, che mi ha spinto ad approfondire una serie di questioni di cui non mi ero mai occupata, a cercare di capire il mondo delle case popolari dell’Aler e delle case occupate del quartiere dove va a scuola mia figlia. Ho così scoperto che, sebbene l’Aler abbia generato un deficit di 207 milioni di euro, il Comune di Milano le ha dato in gestione oltre 28.000 appartamenti2 . Di fatto in realtà ora l’Aler vorrebbe solo privatizzare sebbene si stima che l’edilizia pubblica a Milano riesca a soddisfare solo il 4% delle richieste di case popolari.3 C’è ovviamente chi sostiene che la colpa dei buchi economici dell’Aler sia dei migranti, dei morosi incolpevoli o degli occupanti. Ma Lucia Castellano, capogruppo del Patto Ambrosoli al Consiglio regionale della Lombardia ed ex-assessora alla casa del Comune di Milano, denuncia stipendi sproporzionati per i dirigenti e quadri, oltre alle spese per consulenze esterne, e ha promosso una commissione d’inchiesta che faccia luce sulle responsabilità del disastroso buco di bilancio.4 Anche un’altra donna, l’assessora ai Lavori pubblici del Comune di Milano Carmela Rozza, sostiene che «si vuole fare ricadere le colpe del buco sugli inquilini, mentre qui si tratta di ben altro». Infatti dobbiamo ricordarci che l’assessore regionale alla Casa un anno fa era Domenico Zambetti, arrestato con l’accusa di voto di scambio con la ’ndrangheta e accusato anche di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione, scarcerato a fine aprile ma in attesa di processo.5 Se la Regione ha le sue responsabilità anche il comune non è da meno. Infatti i fondi al momento sono solo in una direzione: l’ecomostro di piazza Maggi, il progetto Citylife, i vari grattacieli del quartiere Isola e gli enormi nuovi quartieri di lusso sulle aree dismesse delle stazioni ferroviarie milanesi, che hanno visto un notevole dispendio di capitali pubblici. È evidente che la città ha bisogno di nuove case popolari e di ristrutturazione di quelle esistenti, non di residenze di lusso.

Voglio però finire questo racconto con una buona notizia. Sappiamo che sono tanti i luoghi abbandonati di Milano, pubblici e privati. Ebbene, l’assessora all’Area metropolitana, Casa, Demanio Daniela Benelli e l’assessora Lucia Castellano nel 2012 hanno promosso un’iniziativa molto interessante, offrendo gratis a cittadini e associazioni 1.200 spazi di edilizia pubblica e un centinaio di edifici, perché diventino luoghi di aggregazione. 6

Si tratta di un bando attraverso il quale hanno cercato di coinvolgere cittadini e associazionismo per promuovere progetti sociali, culturali, imprenditoriali, per valorizzare soprattutto le periferie.7

Chissà, forse anche la vicenda del centro sociale MACAO8, che rappresenta un’esperienza culturale e politica fuori dalle istituzioni, ha insegnato ad affidarsi e non solo a chi ha interessi economici e speculativi ma a chi ha passione politica, come quella che mi ha spinto a raccontarvi questa storia. È importante però ricordare che il collettivo di MACAO spinge a riflettere anche sullo strumento del bando perché implica troppa burocrazia. E a questo i nostri assessori dovranno cominciare a pensare davvero, se le loro intenzioni sono serie.7

1. http://www.sicet.it/

2. http://www.milanox.eu/case-popolari-il-buco-nero-dellaler/

3. http://www.abitarenellacrisi.org/wordpress/?p=1513

4.http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_dicembre_30/aler-spunta-nuovo-debito-61-milioni-ambrosoli-subito-commissione-d-inchiesta-ece0a92c-7133-11e3-acd7-0679397fd92a.shtml

5.http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_agosto_1/aler-ispezioni-tutte-le%20sedi-polemiche-2222427938606.shtml

6.http://www.02blog.it/post/57193/gratis-ai-cittadini-gli-spazi-abbandonati-del-comune

7. http://www.temporiuso.org/

8 http://www.macao.mi.it/

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