20 Febbraio 2021
#VD3

L’altra ti fa essere più te stessa


di Vita Cosentino


Sì, la posta in gioco è alta: il cambio di civiltà tanto desiderato si prospetta e sta avvenendo nella situazione più drammatica e improvvisa, in una crisi di sistema, allo stesso tempo sanitaria ambientale sociale culturale e politica.

Nell’immediato la speranza è ancora una volta affidata a un provvedimento salvifico. In questo caso sono due: il vaccino che ci porterà in tempi brevi fuori dalla pandemia; la guida di un tecnico “super” fin dal soprannome, incontro al quale sono accorsi tutti i partiti (tranne uno), in una sorta di misteriosa identificazione con il “salvatore” che porta in sé un pezzetto della propria identità. A cominciare da Grillo che gli ha attribuito un’anima grillina.

Quella speranza è falsa perché le cose non stanno così. Il covid non passerà facilmente, già imperversano le sue varianti e altri virus arriveranno; la crisi climatica è vicina alla rottura e la transizione ecologica, pur con il benvenuto ministero apposito, non sarà indolore; la povertà sta aumentando in strati sempre più ampli della popolazione, mentre aumenta la concentrazione della ricchezza in poche mani.

Così un fondo di tristezza si è accoccolato dentro di me. Ma c’è anche altro che veicola gioia, se si è donna e si ha passione politica. Io la provo quando sento parole del femminismo diventate senso comune e vedo volti di donne autorevoli saltare fuori in ogni ambito: il cambio di civiltà porta impresso un visibile segno femminile.

In questa cornice colloco l’invito di Antonietta Lelario ad autorizzarci a portare la politica della differenza sul piano politico più allargato. Ha ragione, ma diciamoci con franchezza che mentre alcune sanno stare nella sfera pubblica con efficacia, per la stragrande maggioranza delle donne è difficile.

Io ammiro chi riesce con le sue parole ad orientare nella lettura del presente e ad aprire nuove strade. È il caso di Luisa Muraro che sorprende sempre per la sua capacità di invenzione politica, l’ultima è stata la lettera aperta alle ministre di Italia Viva del governo Conte. Ha suscitato un intenso dibattito che ancora ci impegna, indicando anche una nuova possibile pratica: l’interlocuzione nella distanza. Oppure è il caso di Ida Dominijanni che con tempismo e intelligenza politica riesce a fornire analisi acute degli avvenimenti in corso. Cito solo il suo post su Facebook riguardo a Conte che ha lasciato palazzo Chigi accompagnato da lunghi, intensi applausi di impiegati e commessi. Altri giornalisti si sono affrettati a minimizzare quegli applausi, mentre la sua interpretazione va in fondo all’anima, anche della mia, facendo vedere come siano stati «una citazione inconscia dal primo lockdown, quando ci affacciavamo tutti alle finestre, e un ricordo dell’alleanza stretta in quel momento fra governanti e governati in nome non del potere o della competenza, ma della percezione di una comune impotenza, che ci ha consentito di affrontare quell’esperienza difficile senza dilaniarci». Che Dominijanni abbia colto qualcosa di speciale di quel rapporto è confermato dal numero milionario di like avuto dall’ultimo post di Conte. Un record, hanno scritto i giornali. Del resto lo stesso Draghi nel suo discorso per la fiducia in parlamento lo ha ringraziato e si è posto in una certa continuità con il governo precedente.

Tornando alla questione della presa di parola e dell’esposizione pubblica posso io stessa confermare un disagio. C’è grande bisogno e desiderio di scambio, come mostrano gli ultimi incontri di Via Dogana, e allo stesso tempo c’è un’esitazione femminile a esporsi forse per debolezza del desiderio e forse perché molte donne pensano di aver poco o niente da dire, soprattutto sull’attualità politica. Al mattino ascolto regolarmente Radio Popolare e ai microfoni aperti telefonano in genere uomini, tanto che in una trasmissione la conduttrice, Lorenza Ghidini, ha chiesto solo alle donne di chiamare per discutere il fatto del giorno: il mancato invio di ministre al governo da parte del PD. E quelle che hanno telefonato ne avevano di cose da dire! La difficoltà è innegabile e la sentiamo anche nelle nostre imprese femministe, che siano librerie, centri o riviste.

La pandemia ha rimesso al centro i corpi con tutta la loro fragilità e difettosità nel fisico e nell’anima, da accettare come comune condizione umana, inaggirabile. Mesi mesi e mesi di zona rossa o arancione me ne hanno dato una consapevolezza tangibile e qualcosa è cambiato dentro di me.

Ho cominciato a fare pace con i miei “difetti” e, quindi, con quelli di chi mi circonda. Ho smesso di avere in mente un ideale di perfezione. Gli esseri umani, le donne, io, siamo imperfetti, ma questo non toglie niente al nostro desiderio e alle nostre potenzialità di espressione.

La scena pubblica è a misura maschile e sappiamo bene che c’è un’opprimente richiesta sociale: una donna, specie se giovane, deve essere a dir poco “perfetta”.

Ma ancora più insidioso è l’ideale di perfezione che alberga nella testa delle donne. Si è ciò che si è, frutto di una vita e di una storia. Se si toglie di mezzo l’ideale con cui misurarsi e misurare, ciò che era catalogato “difetto” appare più come una differenza, una caratteristica di quell’essere umano lì, che entra in gioco con le differenze dell’altra nell’alchimia della relazione. Il potenziamento è dato proprio dal gioco delle differenze e delle caratteristiche delle singole donne che stanno in relazione. Per questo è così essenziale la fiducia nella relazione tra donne. L’altra ti fa essere più te stessa.

Le nostre pratiche politiche – quelle che abbiamo già scoperto come l’autorità e l’affidamento e quelle che andiamo scoprendo muovendoci praticamente in questa inedita situazione – sono parte integrante del passaggio che stiamo vivendo da un mondo basato sull’individuo sovrano a un mondo basato sulla relazione e l’interdipendenza.

Per parlare della mia esperienza nella redazione ristretta, posso dire che fare Via Dogana, decidere il tema della discussione, esporsi con una introduzione, sta diventando una pratica in cui le relazioni sono più importanti delle singole individualità, in cui l’io risulta meno importante del progetto comune. E questo potenzia molto il lavoro della redazione. Spesso le aggregazioni femminili funzionano male perché l’ideale di perfezione finisce per essere una lente deformante che accentua il negativo, fa vedere principalmente le manchevolezze dell’una o dell’altra e innesca una litigiosità strisciante che porta tutto al ribasso. Il vero negativo è che così l’attenzione rimane concentrata sulla singola individua e non si scommette sulla potenzialità trasformativa delle relazioni. Insomma, una più una vale cento.


(Via Dogana 3, www.libreriadelledonne.it, 20 febbraio 2021)

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