di Pina La Villa
Ho seguito gli eventi di LampedusaInFestival (19-23 luglio 2013) insieme alle amiche e agli amici della rete delle Città Vicine, una rete che tiene insieme – vicine per l’appunto – realtà associative sparse per l’Italia che hanno come comune denominatore il radicamento nella città e nel territorio, verso i quali attuano una politica di cura e di relazioni ispirate al pensiero della differenza. Una politica che agisce per proliferazione di buone pratiche e con la pazienza di costruire relazioni significative perché la città sia luogo “felice” di dialogo e confronto. Naturale quindi l’attenzione di Città Vicine a quanto è avvenuto in questi anni a Lampedusa, diventata luogo nevralgico del complesso fenomeno dell’emigrazione, naturale costruire con le associazioni che lo affrontano rapporti di collaborazione che vedono la rete partecipare per il terzo anno consecutivo al festival con diverse iniziative (quest’anno con l’allestimento della mostra “Lampedusa porta della vita” insieme all’associazione Colors Revolutions). Una sorta di “vacanza politica”, fra il desiderio e la difficoltà di entrare nella vita e nei problemi reali di un luogo come Lampedusa, da un lato l’isola di chi ci vive, dall’altro l’isola di chi fa la vacanza, da alcuni anni l’isola di chi vi approda sperando che sia solo una tappa per costruire il proprio destino in un mondo migliore di quello che si è lasciato.
Anna, Giusy, Pamela e io arriviamo il 17 luglio (Luca arriverà qualche giorno dopo). Il primo e il secondo giorno ce lo prendiamo per guardarci un po’ in giro, assistiamo agli ultimi ritocchi della mostra, vediamo la fatica e l’impegno dei volontari di Askavusa (l’associazione che cura l’organizzazione del festival) e di Colors Revolution. Il 19 luglio il LampedusaInFestival ha ufficialmente inizio ed è talmente ricco di eventi che da quel momento diventa difficile per noi dividerci tra le nuotate e il sole nelle spiagge di cala Madonna, isola dei conigli, cala Creta, cala Pisana, Ciatu Persu e gli appuntamenti del festival, sparsi nei vari luoghi dell’isola: dalla mostra “Con gli oggetti dei migranti” nella sede dell’area marina protetta, alla spiaggia dei conigli, con una lezione di Iain Chambers e la voce di Giacomo Sferlazzo, interprete di una canzone tradizionale dei pescatori di Lampedusa, a Piazza Castello per la visione serale di film e documentari. Ma c’è un altro luogo, oltre ai film in concorso, un luogo simbolico, in cui sembra sia stato possibile realizzare se non un incontro, almeno un gioco di sguardi per conoscere, per capire e capirsi.
Il luogo simbolico è l’arte, che guarda sempre un po’ più lontano.
“Lampedusa porta della vita” e “Sostiene Sankara” sono i titoli delle mostre qui allestite.
Realizzata da Anna Di Salvo (Città Vicine), Katia Ricci (Città Vicine) e Rossella Sferlazzo (Colors Revolutions), la mostra “Lampedusa porta della vita” ha già nel titolo il messaggio vitale dell’apertura, sottolinea la gioia dell’incontro. Il mare come culla della vita contro il dramma e il dolore della morte, il mare come luogo di scambi, come ricchezza di incroci, incontri, relazioni. Artisti e artiste da varie parti d’Italia hanno inviato foto, dipinti, opere realizzate con materiali vari, tutti ispirati al mare e ai suoi colori interpretando il tema proposto dalle curatrici: esprimere “la drammaticità e la felicità di donne e uomini migranti quando in lontananza intravedono la Porta di Lampedusa quale salvezza e accesso a una nuova vita. È questa un’emozione che vede partecipi anche le donne e gli uomini abitanti l’isola, in un’inter-azione di desideri, curiosità, perplessità e bellezza tra chi arriva e chi accoglie”. Nello spazio minuscolo della stanza, mentre viene proiettato il video realizzato da Mirella Clausi sulla vacanza politica delle Città Vicine “Lampedusa mon amour” del 2011, la mostra nella sua varietà rimanda in maniera immediata alla straordinaria storia del Mediterraneo, culla (è il caso di dirlo sottolineando il termine) di tre civiltà che ancora oggi in queste immagini appaiono unite, dai colori ai materiali ai visi e ai paesaggi. E a quel mare che facilità gli scambi e gli incontri. In fondo un grande abbraccio in segno di gratitudine all’isola, ai suoi colori e alla sua bellezza che non può che essere accogliente, un unico abbraccio verso chi abita l’isola e verso chi vi approda fra la paura e la speranza.
“Sostiene Sankara”, curata da Amina e Kanjano, con fumetti di vari autori e un video di Silvestro Montanaro dal titolo “Sankara… e quel giorno uccisero la felicità”, viene raccontata la vita e la vicenda politica di Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso (letteralmente “terra degli uomini integri”), finita con la sua morte 26 anni fa. La storia di una terra libera, del tentativo di una libera costruzione del proprio spazio politico, della lotta contro chi determina invece le condizioni di vita impossibili da cui i migranti sono costretti a fuggire. Nessuna esperienza di libertà e di autodeterminazione è stata possibile in Africa.
L’arte, la politica, la città. Il LampedusaInFestival è questo. Ed è questo anche il senso dell’impegno politico di Giusi Nicolini, da un anno sindaca di Lampedusa e Linosa, ma da anni attiva nelle associazioni ambientaliste. Seguire il suo discorso significa seguire il futuro possibile dell’isola, e sicuramente l’abbandono di quelle politiche che l’hanno soffocata.
Jeans, camicia bianca e cappellino giallo. Giusi Nicolini si presenta così all’inaugurazione del LampedusaInFestival, il 19 luglio 2013, sotto il sole ancora torrido delle sette di sera. È il momento più intenso di tutto il festival. Un momento fortemente carico di simboli. La cerimonia d’inaugurazione si svolge di fronte al mare, laddove è più aperto, perché la costa non presenta baie e insenature. A picco sul mare, il palco sul quale si esibiranno i gruppi in concerto e dal quale sta parlando la sindaca, è pronto lì da anni: è la parte superiore di un vecchio bunker che risale alla seconda guerra mondiale, quando Lampedusa era il primo avamposto per respingere gli Alleati. A pochi metri di distanza, di fronte al bunker, la “Porta di Lampedusa-Porta d’Europa”, opera di Mimmo Paladino. Dalle armi che respingono alla porta che accoglie. In fondo è la stessa trasformazione che Lampedusa ha operato in questi anni, e che traspare da ogni gesto e da ogni parola degli organizzatori e della nuova sindaca, orgogliosi di avere costruito il loro rapporto con i migranti sull’accoglienza e la solidarietà, anche a dispetto delle politiche volute dai vari governi italiani che si sono avvicendati negli ultimi anni. Politiche che hanno arrecato ferite profonde alla cultura dell’accoglienza tipica di un isola persa in mezzo al mare, che fa parte della placca africana, e si trova più vicina all’Africa che all’Italia.
Il discorso di Giusi Nicolini, inizia però ricordando l’appello doloroso delle donne tunisine per ritrovare i loro uomini dispersi e la necessità di dare delle risposte concrete a quest’appello (“Appello per i migranti tunisini dispersi” http://www.storiemigranti.org/spip.php?article995). Le donne tunisine stanno cercando circa 200 dispersi negli anni 2010-2012. È solo grazie a queste donne, sottolinea con forza la sindaca, che questi uomini non hanno smesso di esistere. La sua risposta all’appello è dunque un’esortazione – “prendiamo sul serio questo dolore” – ma anche una dura condanna – “Se esistono i migranti è per le scelte politiche dei governi” – e, infine, un’assunzione di responsabilità – “il silenzio è l’unica risposta che non possiamo permetterci”. Nella sua veste istituzionale Giusi Nicolini ha già inoltrato l’appello delle donne tunisine al presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, ai ministri dell’Interno e degli Esteri e all’Unione Europea, in particolare per investire del problema l’agenzia Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea) il cui scopo è il coordinamento del pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati della UE e l’implementazione di accordi con i Paesi confinanti con l’Unione europea per la riammissione dei migranti extracomunitari respinti lungo le frontiere.
Se i migranti arrivano disperati a Lampedusa è per le scelte politiche dei loro governi. Il compito politico di ognuno di noi è fare in modo che abbiano la possibilità di stare bene nei loro paesi d’origine. Ma il dato di fatto che i migranti fuggono dai loro paesi per le insostenibili condizioni di vita è ciò che viene sistematicamente oscurato da un’informazione che deforma la realtà e fa vedere nel migrante il nemico. L’immagine di moltitudini di migranti che arrivano a sorpresa sull’isola per assaltarla è falsa (è falsa e fuorviante la parola “sbarchi”, che dovrebbe essere sostituita da “soccorsi”), così come i numeri che sono stati dati qualche anno fa in coincidenza con gli eventi della primavera araba, per giustificare la politica dei respingimenti. Sono cose che a Lampedusa si sanno da sempre, così come da sempre è prevalsa, sulle paure create artificialmente, la cultura dell’ospitalità e della solidarietà.
Oggi Lampedusa è candidata al Nobel per la pace. Onorata, a nome della cittadinanza, Giusi Nicolini ha risposto a questa candidatura dicendo che prima occorre ottenere alcune cose di cui l’isola ha bisogno per meritare davvero questo alto riconoscimento: cambiare la legge Bossi-Fini e abolire alcune norme del pacchetto Maroni che oltre a essere odiose per i migranti condizionano negativamente e pesantemente i luoghi in cui arrivano.
(da “Girodivite”, 22 agosto 2013)