7 Agosto 2021

Laura Lepetit Maltini

di Fiorella Cagnoni


Sapeva mostrare enfasi senza essere enfatica. La donna (a parte Elisabetta II) più dotata di perfetto understatement.

Era avventurosa, però. Capace di balzi spericolati. Sia nella professione di editora sia nella vita privata. Per quello, e per la sua aria sempre un po’ ironica ma sempre in agguato a fiutare libri, pesantezze da evitare, conflitti inutili, pericolose prolissità, – per me era La californiana evasa. Quell’atteggiamento audace ma non sventato, sicuro ma non sconsiderato. Vissuto, sapiente ma mai ridondante.

La costante più ridicola del nostro discutere riguardava l’inconscio, che per decenni lei sosteneva non esistere e per me è il puntello pericolante ma ineliminabile della vita. Poi qualcosa l’ha resa meno drastica, e a maggio di quest’anno ha voluto esser taggata nel post in cui annunciavo un webinar su La Carta Coperta, l’inconscio nelle pratiche femministe.

Sulla scrittura mi fidavo ciecamente. Quando lavoravo a un libro gliene mandavo le prime dieci pagine e se lei diceva va bene continuavo, – seguendone le raccomandazioni, per esempio di togliere un personaggio superfluo o di mettere un maneggio dove compariva un cavallo. Quando mi ha detto lascia perdere, – ho lasciato perdere. L’ultima volta le ho mandato i primi capitoli di una nuova storia gialla e mi ha scritto “Auguri a Alice Carta. Mi raccomando non essere prolissa, non superare le 150 pagine!” Al momento il libro è finito e sottoposto alla prima lettura – sarebbero 180 ma taglierò certi inutili elenchi di alibi e moventi.

Di ritorno dalla Gran Bretagna nel 1984 andai in casa editrice, in via Turati, con le lettere Sackville West – Woolf, l’edizione Hutchinson che Sylvie Coyaud e io avevamo trovato e comprato a Londra. «Tu devi fare questo libro. E soltanto io e Sylvie lo possiamo tradurre,» dissi. Papale papale. Del resto a lei non piacevano le mezze misure.

Via Turati era un luogo magico, profumato di intelligenza e di passione oltre che di carta stampata. E lei e Rosaria erano incantevoli, insieme.

Poi ci ha lasciato tradurre per La Tartaruga Nera pure Plotting and Writing Suspense Fiction di Highsmith e Seducers in Ecuador di Sackville-West. Era soddisfacente, aiutare La Tartaruga. Amorevole.

Anche sulla celeste stirpe equina mi fidavo ciecamente. Ho ricominciato con lei a montare a cavallo in Maremma, – le piaceva galoppare in salita: che è più sicuro, perché anche la cavalla, o il cavallo, si stanca parecchio e non esagera.

Quando suo figlio Roberto viveva là ci andavamo in vacanza, con Rosaria, Pat, (che poi l’ha sposato, Roberto) talora altre amiche. Di ritorno dal mare, bevevamo per aperitivo un Fragolino locale, che portato a Milano faceva pietà ma sul posto era perfetto.

Suo figlio Nicola invece, mentre era all’università, ha lavorato per qualche anno nel periodo natalizio al negozio di giocattoli della mia famiglia, – esperienza speciale per lui come per altri figli e figlie di amiche e un bel ricordo per me.

La sua morte muove in me pensieri quasi disperati sulla fine di un’epoca tanto felice, e su quello che ne resterà.

Certo, aveva quasi novant’anni e certo nessuna, nessuno, è immortale. Non avevo mai pensato alla sua morte però, e ieri ho pianto, – pianto davvero a lungo come non mi accadeva da decenni.

Ma quella felicità c’è stata, e fortunate noi. Quelle che l’abbiamo vissuta, insieme.

Pensava d’esser dimenticata e le dispiaceva, pativa la fatica che abbiamo fatto e facciamo a costruire salda memoria delle nostre vite. Ma a me pare che l’ammirazione per lei sia vasta, robusta, profonda.

Troverà un posto perfetto. Magari con Margherita Tosi, che si intendevano benissimo anche quando non erano d’accordo.


(www.libreriadelledonne.it, 7 agosto 2021)

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