9 Luglio 2016

Le differenze non sono discriminazioni

di Silvia Niccolai

In questi giorni la Corte di cassazione ha confermato una sentenza di merito che aveva riconosciuto alla partner di una coppia di donne la possibilità di adottare la figlia dell’altra. Tenendo conto del fatto che il caso riguardava appunto una coppia di donne, la Cassazione ha chiarito espressamente che la propria decisione si deve a una circostanza molto precisa: «il rapporto di filiazione esistente tra la minore e la madre biologica e legale, al pari del rapporto che lega la minore alla richiedente l’adozione non è riconducibile ad alcuna delle forme di cd surrogazione di maternità realizzate mediante l’affidamento della gestazione a terzi: la minore infatti è stata riconosciuta dalla donna che la ha partorita».
Che ci sia di mezzo la madre, o non ci sia, non è la stessa cosa, quando si discute dell’interesse di una creatura, e il fatto che la partner di una coppia lesbica possa adottare la figlia partorita – e riconosciuta – dall’altra non significa che il partner di una coppia gay possa adottare il figlio che l’altro ha avuto via maternità surrogata.
Il succo della decisione può essere infatti riassunto così: da una parte, tutte le coppie omosessuali, femminili e maschili, devono essere ritenute capaci di crescere figli come lo sono quelle eterosessuali e pertanto possono chiedere l’adozione dei figli del partner; dall’altra parte, il principio di non discriminazione tra coppie, famiglie e progetti di genitorialità non travolge automaticamente il divieto di surrogazione di maternità vigente nel nostro ordinamento.
Le decisioni di merito ad oggi esistenti in relazione all’adozione in coppie omosessuali sono dunque approvate, ma non tutte, e precisamente non quelle – rare, sinora – che, emanate con riferimento a coppie gay, sono passate sopra al non irrilevante fatto che la ‘genitorialità’, in quel caso, presupponeva lo scavalcamento del nostro diritto, che non consente la surrogazione, e comportava, con ciò, lo sfruttamento commerciale e il silenziamento, materiale e simbolico, della maternità. A differenza di quanto ha ritenuto di recente il Tribunale minorile di Roma in favore di una coppia di padri surrogati (con sentenza divenuta definitiva perché non impugnata dal Pubblico Ministero ma non in linea coi principi poi espressi dalla sentenza che sto commentando), la Cassazione ci ricorda che non si può dare per scontato che nascere e crescere in quelle condizioni corrisponda per definizione all’interesse del bambino, realizzi un valore per la nostra convivenza e richieda perciò incondizionata approvazione.
La conseguenza di questa decisione è che laddove i giudici di merito decidano in favore della step-child in casi che presuppongono la maternità surrogata, è doveroso il ricorso avverso queste decisioni; il divieto di surrogazione, evidentemente ritenuto dalla Cassazione non aggirabile dal giudice in via interpretativa, dovrebbe semmai diventare oggetto di una questione di costituzionalità indirizzata alla Corte costituzionale, e, meglio ancora, di un dibattito esteso nell’opinione pubblica e politica in vista di una conferma, della rimozione, o di una riformulazione, del divieto esistente. Tutte cose piuttosto buone, certamente preferibili a decisioni giudiziarie che applicano un diritto di fantasia, dimenticando, tra l’altro, precedenti giudiziari sinora considerati indici importanti di civiltà. Penso a decisioni di una ventina di anni fa, con cui la Cassazione ha affermato che non si deve dare per scontato che avere due genitori corrisponda per definizione all’interesse del bambino. Quelle decisioni difesero l’interesse delle madri sole a non vedersi imporre in nome dell’interesse del bambino la presenza di un uomo che, con un riconoscimento tardivo, ricompariva nelle loro vite. Oggi quelle decisioni possono dire altro: precisamente, che non si può stabilire che sia nell’interesse del bambino cancellare il suo essere stato partorito da donna in nome di un diritto alla ‘bi-genitorialità’ che non esiste né per i bambini, né per i genitori, etero o omo che siano. Discutiamone, dunque. Non si tratta di difendere, nel divieto di surrogazione, un paternalistico limite alla libertà di scelta delle persone, ma un principio di civiltà che afferma in positivo l’insostituibilità della relazione materna, per nascere e vivere libere e liberi.

(www.libreriadelledonne.it 9 luglio 2016)

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