di Paola Giannelli
Le chiamano Solar Mamas e portano la luce nei villaggi delle località rurali di paesi come la Giordania, il Burkina Faso, la Colombia, il Belize.
Sono, nello specifico, dei solar engineer, dei tecnici solari, che dopo sei mesi di formazione sanno costruire, installare e far funzionare delle lampade collegate a un pannello solare; per alcune comunità è un lusso inimmaginabile in un’abitazione.
La circostanza degna di nota è che molte di loro non hanno mai messo piede in un’aula scolastica – spesso non sono giovanissime – qualcuna non è in grado di leggere o scrivere, ma questo non è un ostacolo.
Il progetto è promosso in India dall’associazione non governativa Barefoot College (letteralmente università a piedi nudi) di Tilonia, nel Rajasthan.
Gli insegnanti, in aula, parlano inglese, ma le partecipanti non hanno una lingua comune e prendono appunti riproducendo gli schemi disegnati alla lavagna; imparano il giusto ordine di connessione dei fili, usano il saldatore, memorizzano il nome dei componenti e degli strumenti in inglese. La prima cosa che imparano è il saluto:«Namasté»,«Namasté», una donna che indossa colorati abiti africani e una donna musulmana a capo coperto, vestita di scuro, congiungono le mani nel saluto.
La scelta delle donne per il progetto ha un preciso valore, indica la volontà di crescita e sviluppo della comunità, che spesso contribuisce all’individuazione delle candidate. Al contrario degli uomini, che quando acquisiscono competenze specialistiche tendono a lasciare i luoghi in cui sono nati, le donne rappresentano un fattore di avanzamento del villaggio, perché raramente lo abbandonano.
Non solo, il loro ruolo è anche quello di formare nuove Solar Mamas, che a loro volta porteranno nuova luce e nuova formazione.
Non sempre il percorso è facile. In alcuni casi, gli uomini della comunità non vedono di buon occhio una donna che impara un mestiere, può lavorare e guadagnare e sono restii, se non apertamente ostili, a consentire che trascorra i sei mesi di apprendistato in India.
«Uccide il mio spirito» dice Rafea, Solar Mama proveniente dalla Giordania, commentando la ritrosia del marito a farle frequentare il corso senza minacce di divorzio; lo racconta in un docu-film (il trailer qui) che ha ricevuto numerosi riconoscimenti e narra la sua vicenda e il progetto. E ancora: «È disonorevole per una ragazzina andare a scuola dopo i dieci anni».
Nonostante tutto, i programmi si susseguono di anno in anno e sono una grande risorsa per le donne che li frequentano.
La storia delle Solar Mamas conferma la brillante intuizione di Rita Levi Montalcini:
«Se istruisci un bambino avrai un uomo istruito. Se istruisci una donna avrai una donna, una famiglia e una società istruita».
(unaverandapertre.wordpress.com, 4 maggio 2016)