9 Aprile 2016
La Sicilia

Le donne e La città della cura

di Pinella Leocata

«Nel lavoro di cura esistono prassi, modalità e competenze che hanno la dignità di un paradigma e che offrono un differente punto di vista sul mondo e un diverso modello di governo della cosa pubblica». Annalisa Marinelli, che di professione fa l’architetta, nel libro La città della cura (Liguori editore) ha descritto il modo in cui l’attività di cura incide sugli ambiti di lavoro, sulle sue finalità e sugli strumenti che adotta producendo competenze spendibili nel governo delle città. Chi fa lavori di cura ha capacità di relazione, sa gestire la complessità, dà centralità ai corpi, è in grado di affrontare l’imprevisto. Competenze, tutte, preziose per la cura della città. Chi si occupa del lavoro di cura ha uno sguardo privilegiato sulla città perché la utilizza in maniera diversa, più densa, dal momento che mette in relazione i vari spazi. È l’esperienza di tutte le donne: vanno da casa al nido del figlio, poi al lavoro, e di nuovo a scuola, a fare la spesa, a casa. Non solo. Chi si occupa del lavoro di cura si fa carico della materialità dei corpi delle persone: va in giro con il bimbo nel passeggino, con un anziano da sorreggere, con un disabile e questo costringe ad avere consapevolezza degli aspetti ostili della città. E sono innumerevoli. Basti pensare che non si può salire in autobus con un passeggino o con un deambulatore. Dunque il lavoro di cura è uno sguardo privilegiato sul territorio e anche un diverso paradigma di governo delle cose perché offre soluzioni, strumenti, punti di vista e un modo di pensare che si presta a un modello di governo del territorio proprio delle nostre società complesse, un modello che risponde alle sfide ecologiche. «Il territorio è un corpo vivente e, come i corpi delle persone, è vulnerabile e ha dei limiti. Dunque la competenza della cura è una competenza sulla vulnerabilità e reimmette nella dimensione del vivere un dato fondamentale che abbiamo perso: l’esistenza del limite». Alla luce di questa analisi – al centro dell’incontro promosso da La Città Felice alla libreria Catania Libri – l’architetta Annalisa Marinelli propone un’agenda politica per lo Stato centrale e per le amministrazioni locali partendo dall’idea di una costruzione del servizio pubblico come primo strumento di welfare. Un esempio. Nelle nostre città che invecchiano è comune vedere un’ottantenne che si appoggia al bastone accompagnandosi alla figlia sessantenne. Se la città offrisse la possibilità di andare in giro con un deambulatore, la donna anziana potrebbe mantenere la propria autonomia, andare al cinema, al teatro… e contribuire, così, allo sviluppo economico della città. E anche la persona che l’accompagna potrebbe dedicarsi ad altro, a sviluppare il proprio potenziale umano dando il proprio contributo alla società. «Ma tutto questo presuppone un territorio che sappia rispondere e accogliere le fragilità dei corpi per liberare nuove risorse». Di qui discende la consapevolezza che «la cura è un valore sociale, non soltanto un problema privato; è un prodotto della catena generativa, non solo un costo sociale». Ne consegue la proposta politica: la cura non deve essere pensata soltanto come competenza che va condivisa tra uomo e donna, ma come una competenza che ha una sua centralità sul piano politico perché è la base su cui si fonda tutta la società. «La politica deve riconoscere che la cura non è solo un costo sociale, ma è una dimensione insostituibile della vita, è presupposto alla cultura, alla politica, all’economia poiché rimette in moto la vita, ogni giorno. Ma perché diventi realmente volano sociale e generativo bisogna sostenerla con risorse economiche, di tempo, di spazio, strutture e regole nuove che la comprendano. Bisogna rendere possibile alle persone che hanno in carico la cura di vivere una cittadinanza piena, come tutti gli altri».

(La Sicilia, 9 aprile 2016)

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