29 Dicembre 2017
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Le donne Tamimi e la nuova resistenza palestinese

Le donne Tamimi ancora in carcere. La figlia 16enne, la nipote 21enne e la madre.

Ahed, minorenne, è famosa per le sue provocazioni: ora è accusata di avere schiaffeggiato i soldati israeliani che erano venuti a sequestrare il suo pc. Infatti la nuova resistenza palestinese ora si gioca anche in rete. I loro video sono virali perché diffondono i metodi dei soldati israeliani nei villaggi Palestinesi.
E poi d’altronde, si sa, una ragazzina che schiaffeggia e spinge un soldato mette a dura prova la sua forza e la sua virilità, per cui c’è ampio dibattito nella società israeliana sul reagire o meno…

Haed è famosa anche perché, quando era poco più di una bambina, aveva morso la mano del sodato israeliano che arrestava suo fratello.

Quando ne aveva 9, nel dicembre 2009 il suo villaggio ha deciso di iniziare una serie di proteste simboliche contro l’occupazione militare e per ottenere l’accesso libero ad una fonte d’acqua, minacciata dalla vicina colonia.

Da allora Ahed è sempre stata al centro delle manifestazioni del suo villaggio, con il protagonismo, la grinta e la determinazione che la contraddistinguono.
Sara Gandini

Ahed Tamimi: 16 anni, è il simbolo della nuova resistenza popolare in Palestina

La storia di Ahed Tamimi, arrestata a soli 16 anni per opporsi all’occupazione, sta diventando il simbolo della nuova resistenza popolare in Palestina, dopo l’annuncio di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele.

Sono trascorse quasi tre settimane da quando Trump ha annunciato la volontà di trasferire l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, in tal modo riconoscendo di fatto questa città quale capitale dello stato di Israele.

Le reazioni a livello internazionale sono state tanto numerose, quanto limitate nelle conseguenze concrete. Mentre l’Europa continua nel suo silenzio assordante, alle Nazioni Unite è stata votata dall’Assemblea Generale una risoluzione di condanna della scelta di Trump, mentre un provvedimento più efficace da parte del Consiglio di Sicurezza è stato bloccato per l’ovvio veto da parte degli Stati Uniti. Purtroppo anche questa rimarrà l’ennesima risoluzione dell’Assemblea Generale rispetto al conflitto mediorientale priva di conseguenze reali, basti pensare che la prima relativa a Gerusalemme (la 2253) è del 1967, ed è di ferma condanna all’occupazione israeliana.

Sul campo, l’impressione che si può trarre è che la questione ha generato proteste generalizzate e determinate, che in molte occasioni hanno determinato feriti, arresti e anche morti, se ne contano dieci dal 6 di dicembre ad oggi. Le esecuzioni si sono verificate sopratutto nella Striscia di Gaza dove i palestinesi si sono più volte spinti a manifestare fino al confine della prigione a cielo aperto in cui sono rinchiusi, incontrando il fuoco dell’esercito israeliano.

Tuttavia sembra mancare una visione organica e un piano di azione coordinato che possa fare intuire che le proteste generalizzate potrebbero portare ad una sollevazione generalizzata, che è appunto il significato originale della parola araba intifada.

Sullo sfondo sicuramente le dinamiche di potere tra Hamas e la ANP la fanno da padrone. Sembra infatti a tutti chiaro che gli accordi a cui erano giunti Fatah e il partito islamico sono ormai carta straccia.

Nel frattempo Abu Mazen continua nelle sue dure dichiarazioni nei confronti degli USA, affermando di non riconoscere più un ruolo di mediazione verso la pace, ma sono evidentemente dichiarazioni prive di conseguenze immediate, e qualcuno potrebbe pure intenderle come una richiesta indiretta di tornare ad avere un ruolo nel cosiddetto “processo di pace”, ormai in stato vegetativo da anni.

In Palestina ha suscitato molto clamore la storia di Ahed Tamini abitante del villaggio di Nabi Saleh. Ahed è stata arrestata il 19 dicembre, accusata di aver spinto un soldato fuori dal cortile di casa sua. Ahed è una ragazza di 16 anni. Quando ne aveva 9, nel dicembre 2009 il suo villaggio ha deciso di iniziare una serie determinata di proteste contro l’occupazione militare e per ottenere l’accesso libero ad una fonte d’acqua, minacciata dalla vicina colonia. Da allora Ahed è sempre stata al centro delle manifestazioni del suo villaggio, con protagonismo, grinta e determinazione che la contraddistinguono.

Il suo arresto ha scatenato una serie di pesanti reazioni a catena da parte di Israele, che hanno messo assieme il razzismo contro la popolazione palestinese con un violento sessismo nei confronti di Ahed. Naftali Bennet, ministro dell’Educazione del partito di estrema destra “Jewish Home” ha detto che Ahed dovrebbe passare la vita intera in carcere. Un ex membro della Knesset, Ynigon Magal, ha detto che sente la mancanza di Elor Azaria il soldato conosciuto per essere stato processato per aver ucciso un palestinese ad un check point. Nel frattempo molti commentatori televisivi si sono dimostrati preoccupati dal fatto che il soldato che Ahed ha spinto fuori casa non abbia reagito, e quindi quasi impressionati e addolorati dal ferimento della “mascolinità” del proprio eroe, davanti alla reazione della ragazzina palestinese.

Come sempre sessismo e potere statale riescono ad intrecciarsi per determinare maggiore violenza e controllo, e il caso di Ahed lo dimostra ancora una volta.

Il 23 dicembre il giudice ha deciso che Ahed dovrà rimanere in carcere ancora 5 giorni.

Siamo tutte e tutti con lei, #FreeAhed!

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