2 Febbraio 2014
Il Quotidiano della Calabria

Le parole giuste

Editoriale del direttore Matteo Cosenza

 

 

In questi tempi quanto valgono le parole? Me lo chiedevo l’altra sera nel corso di un incontro a Catanzaro, organizzato dall’associazione “Città Vicine” e dalla fondazione Imes, nel corso del quale se ne sono dette tante. Chiacchere? Direi di no. E ne sarà consapevole chi ha letto ieri il puntuale resoconto di Andreana Illiano. Molte donne chiamate da Franca Fortunato da altre regioni, e tanti amministratori, sindaci soprattutto che, fatta eccezione per quello di Lamezia e di Acquaformosa e per il vicesindaco di Catanzaro, sono di genere femminile. Ma qui non voglio fare il rituale discorso sul ruolo e sulla sensibilità delle donne quando sono chiamate ad una responsabilità pubblica e non solo. Intanto tutte, compresa Wanda Ferro, presidente della Provincia, e tutti gli altri sono stati eletti dai cittadini. Credo che, a parte le qualità delle persone, valga molto questo rilevante aspetto perché esso spiega sufficientemente la concretezza e la sincerità degli interventi. Hanno raccontato le loro scelte, le esperienze, le difficoltà, le soddisfazioni e anche la solitudine. Parole tante ma precise, tutte con significati comprensibili, ognuna riferita a un fatto, a un concetto, a una situazione reale. Più le ascoltavo e più pensavo al diluvio di parole senza senso che quotidianamente, ventiquattrore su ventiquattro, invadono la nostra vita dagli schermi e dalle sede della politica e delle istituzioni. Oggi è nero, domani è bianco, e dopodomani è di nuovo nero. Di quello che si dice oggi non c’è traccia domani. Spesso si ha la sensazione che sia una recita a soggetto. Frasi fatte, purché siano brevi, e vince – si fa per dire – chi la spara più grossa in pochi secondi. D’altro canto non c’è scampo perché il conduttore di turno ti toglie la parola promettendoti che ti farà chiamare più tardi, ma un marinaio a confronto arrossirebbe. E la parola perde valore.

Intendiamoci, non ho in mente il Verbo divino e non sono un novellino né un ingenuo e meno che mai un candido, nel senso di condividere il candore de “L’idiota” di Dostoevskij (immenso, eterno Fedor!). So bene che il gioco della politica contempla da sempre la furbizia, la mossa astuta, il dire e non dire per far passare al momento giusto la propria posizione, ma qui c’è ben altro, prevalentemente un piccolo cabotaggio che raramente prevede una conclusione logica, che sia poi utile alla collettività che si rappresenta, dai cui problemi reali e ora sempre più angosciosi si è sideralmente lontani. Ciò avviene mediante la ricorrente profanazione della parola, su cui su queste colonne ha detto cose importanti Raffaele Perrelli, che non a caso ha sottolineato il valore etico della parola. Aggiungo che ci sono modi di dire (basta la parola, sulla parola, dammi la parola) che dimostrano quanto degrado ci sia nella politica esibita ai nostri tempi.

Ora, se possono ancora avere un senso – essere più che apparire anch’esse – tre parole sono risuonate con accenti sinceri nella discussione di Catanzaro: normalità, verità, passione. Di normalità hanno parlato un po’ tutti, da Carmela Lanzetta a Elisabetta Triposi, da Teresa Procopio a Giovanni Manoccio. Insomma, non c’è bisogno di eroi o di eroine, occorrono persone normali che fanno semplicemente il loro dovere: sei sindaco e fai il sindaco, sei un funzionario e fai funzionare le cose che ti competono, sei un cittadino e fai il cittadino. Rispetto delle regole e degli altri, un piccolo o grande contributo da ognuno e si vivrebbe in una condizione di normalità. Sapendo tutti che le istituzioni non sono proprietà di qualcuno, al contrario di quello che accade – vedi la Regione Calabria – dove di norma (sic!) i nuovi arrivati fanno tabula rasa di quello che hanno trovato e ricominciano da capo, per ritrovarsi alla fine della legislatura quando, a volte, hanno finalmente capito qualcosa.

Anna Maria Cardamone ha confessato che, per quanto possa talvolta sentirsi sola, lei dice sempre e subito quello che succede, che va o che non va, in ogni sede, soprattutto in consiglio comunale. Meglio la verità o lo sforzo per raggiungerla piuttosto che impaludarsi nelle ambiguità, negli equivoci, perfino nelle maldicenze. Anche perché qualcosa va bene e qualcosa no. Per esempio, espropri un terreno attiguo al centro che accoglie i tossicodipendenti e glielo affidi per lavorarlo e coltivarlo. Va bene sebbene tra tante difficoltà. Ma devi mettere nel conto anche il dolore per qualcuno che non ce la fa e se ne va all’altro mondo: pensi che hai fallito, poi ricominci e ammetti con sincerità i successi e il fallimento. Attraverso la verità si avanza come su una montagna russa. Ma senza verità regnano la falsità e la menzogna.

Infine la passione. Wanda Ferro – un’area diversa, distante dalle idee politiche degli altri amministratori – l’ha rivendicata ed esaltata con orgoglio. Brava Wanda. Senza emozionarsi, indignarsi, arrabbiarsi, entusiasmarsi, che vita è? Il conflitto, la tensione, il confronto e anche la contrapposizione sono energia vitale per una società. E quando una generazione se ne sta da parte, prevalgono quasi sempre il grigiore, l’appiattimento, la perdita di fiducia e di speranza e le derive più negative. Servono razionalità, onestà e competenza, ma abbiamo una necessità insopprimibile di passione.

(Il Quotidiano della Calabria, 2 febbraio 2014.
Editoriale del direttore Matteo Cosenza)

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