di Barbara Spinelli
GLI ULTIMI movimenti di Grillo, dopo la rielezione di Napolitano, sono non solo prudenti ma inquieti: quasi contratti. Non ha afferrato l’occasione offerta dalla collera di migliaia di cittadini, che avevano sperato in Stefano Rodotà: dunque in una democrazia rifondata, che chiudesse il ventennio berlusconiano. Ha evitato euforiche piazze. Non è un comportarsi populista.
Perché il populista classico mente al popolo, per usarlo e manipolarlo.
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La realtà vista da Grillo è difficilmente confutabile: è la sconfitta, enorme, vissuta sabato dall’Italia del rinnovamento. E il trionfo, non meno vistoso, dei piani del demiurgo di Forza Italia: il Pd ridotto molto democraticamente in ginocchio; poi un governo di larghe intese; poi la vittoria elettorale del Pdl. E all’orizzonte, non lontano: Berlusconi capo dello Stato. Parlando alle Camere, lunedì, Napolitano ha definito perfettamente consona alla democrazia europea la coalizione “tra forze diverse”. L’orrore che essa suscita, l’ha analizzato in termini psicologici: è una “regressione” faziosa. Un’immaturità smisuratamente tenace. Mai Berlusconi è stato così banalizzato. Mai è apparso lo statista che solo nevrotici bambinizzati avversano.
Ma Grillo sa qualcosa di più. La morte della sinistra italiana, prima innescata dal rifiuto di 5 Stelle di accettare un comune governo, poi accelerata dal no del Pd a candidati di svolta, suggella l’apoteosi, più vasta, di chi da tempo vede l’Europa assediata da dissensi cittadini subito bollati come populisti, quindi euro-distruttori.
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È un’autentica offensiva antipopolare (non antipopulista) quella cui assistiamo da quando Papandreou, premier socialista greco, provò nell’ottobre 2011 a proporre un referendum sull’austerità che già minava Atene, e ora l’ha portata alla miseria. Fu ostracizzato, divenne un infrequentabile paria per le sinistre europee al completo. Solo ai Verdi, Papandreou destituito spiegherà il senso del referendum: non il rifiuto di pagare i debiti (i “compiti a casa”) ma la domanda di un’Europa che compensi lo scacco degli Stati nazione con un proprio bilancio accresciuto e un comune solidale rilancio stile Roosevelt.
Dopo di allora l’offensiva si accentua, senza più pudore. A Cernobbio, l’8 settembre 2012, il Premier Monti chiede un vertice europeo straordinario, di “lotta ai populismi”. Citiamo quel che disse, perché è emblematico e perché le autorità dell’Unione l’applaudirono entusiaste: “È paradossale e triste che in una fase in cui si sperava di completare l’integrazione anche dal punto di vista psicologico, dell’opinione pubblica e in ultima analisi (dal punto di vista) politico, si stia determinando un pericoloso fenomeno opposto, con molti populismi che mirano alla dis-integrazione in quasi tutti gli Stati membri”.
Sembrava il comunicato di un prefetto anti-sommosse più che di un capo politico, e si sa che poliziotti e prefetti usano mettere nello stesso sacco ogni sorta di estremismo, per poi srotolare deserti che chiamano pace civile. Nel sacco ci sono Le Pen, i nazisti greci di Alba Dorata, i liberticidi ungheresi, e a Roma o Atene i veleni letali che sono M5S e Syriza. L’ideologia è quella con cui Pangloss indottrina l’inerme Candide, in Voltaire: stiamo andando verso il migliore dei mondi possibili, l’Europa meravigliosamente si integra, ed ecco – horribile visu! – una coorte di paradossali e tristi sovvertitori mirano proprio al contrario: alla dis-integrazione.
Due bugie s’infilano in un’unica collana. La prima marchia i populismi senz’alcuna distinzione, e poco serve che Grillo ricordi l’evidenza: avremmo anche noi Alba Dorata, se lui non facesse da argine. La seconda bugia concerne i movimenti detti euroscettici: come se i disintegratori fossero loro, non chi per primo ha disintegrato fingendo d’integrare. Le bugie non hanno affatto gambe corte, lo sappiamo. Le hanno lunghissime e vanno lontano.
Vero è che Napolitano – una storia lunga l’attesta – ha sull’Europa idee ardite, non condivise da Berlusconi né forse da Monti. Quel che non vede, è il nesso causale fra crisi dell’Unione e torsione delle istituzioni democratiche, della legalità, della giustizia, delle costituzioni. Altrimenti non prediligerebbe, con tanto impeto, quelle che alcuni chiamano ipocritamente larghe intese e altri, più crudamente, inciucio.
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È tentante bendarsi gli occhi, e nascondere l’estensione di un disastro che non sfascia solo la democrazia deliberativa di Grillo, ma la stessa democrazia rappresentativa che contro lui si pretende presidiare. Ecco dove sta, caro Presidente, la regressione.
Il Parlamento non ha saputo farsi portavoce dell’Italia che invocava Rodotà o Prodi. Ha ucciso l’idea stessa di rappresentanza, più che la democrazia dal basso.
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