di Franca Fortunato
VALERIA Nicoletta, la madre di Taverna a cui il Tribunale dei minori nel lontano 2008 ha tolto le quattro sue creature, due bambine e due bambini, perché ritenuta “non matura”, l’altro giorno è tornata a parlare della sua storia su questo giornale. Lo aveva già fatto nel 2009. Allora scrissi per dire la mia indignazione verso quel Tribunale, dove ogni madre che, come Valeria, ha avuto a che fare con esso, sa che è difficilissimo se non impossibile fare valere il proprio affetto per le/i figlie/i. La legge autorizza il disprezzo verso la madre, separandola dalle proprie figlie e figli, e permette di osare là dove “perfino gli angeli esitano”, nella relazione materna, luogo sacro per ogni creatura piccola che viene al mondo nella dipendenza dalla madre. La madre, in quei Tribunali, diventa vittima da sacrificare all’“idolo” del minore, pensato come soggetto autonomo da ogni relazione con lei. È quello che accade quando a una madre – come Valeria – , che ha desiderato le sue figlie e figli e vuole tenerle/i con sé e crescerle/i nell’amore, vengono tolte/i in nome di quell’immaginario, più che reale, interesse del minore.
Un anno fa – come ha raccontato su questo giornale – sembrava che Valeria e suo marito potessero riavere le proprie creature. La Corte d’appello, infatti, dopo cinque anni aveva consegnato ai due coniugi il diploma di “idoneità”, per cui le bambine e i bambini dovevano essere restituiti loro, anche se “gradualmente”. Prima la/i più grande/i e poi la piccola, che avrebbe dovuto restare nell’istituto che la ospita, separandola, così, naturalmente in nome del suo interesse, anche dalla sorellina e dai fratellini. Da non credere! Dovevano, perché così non è stato. Altri giudici, oggi, chiedono un supplemento di esame di maturità. Da non credere! C’è davvero da avere paura quando la legge si occupa dell’interesse dei minori. Ma Valeria non ne ha. Conosco questa donna coraggiosa, solo per telefono, in quanto mi ha cercata, dopo quel mio primo articolo, per ringraziarmi. Oggi sono io che la ringrazio per quello che sta facendo per le/i sue/i figlie/i e per tutte noi. Cara Valeria, nelle parole che hai consegnato alla brava giornalista Rosanna Bergamo, c’è tutta la sapienza che a una donna viene dall’intelligenza dell’amore: «Non sono avvocato, ma è trascorso un anno da quando la Corte d’appello ci ha detto di occuparci nuovamente dei nostri figli e da allora la nostra condizione non è mutata, non siamo diventati due cattivi genitori, semplicemente perché non lo siamo mai stati. Non abbiamo studiato granché, non navighiamo nella ricchezza ma abbiamo la cosa più importante da donare alle creature che abbiamo fortemente voluto, l’amore». Sei maestra d’amore materno, come lo era mia madre. È questa la tua grandezza. Con le tue parole di verità, hai dato corpo alle parole scritte da un’altra donna, Luisa Muraro: «C’è qualcosa che sta sopra la legge, alcuni dicono Dio, amore, io dico la relazione materna, ma forse sono la stessa cosa. Ciò che sta sopra la legge ha il diritto di essere rispettato. L’amore di chi ci ha messi al mondo è un sentimento per tutti, forse insormontabile». Insormontabile, è questa la verità di cui la legge dovrebbe parlare, altrimenti sarebbe meglio che tacesse. Cara Valeria, so che la tua lotta finirà solo quando avrai giustizia per te e le tue creature, che ti saranno grate per sempre per non averle mai abbandonate. So bene che nessuno/a potrà risarcirti del dolore inflitto a te e a loro o restituirti i giorni, gli anni, persi a vederle crescere, ma voglio che tu sappia che tu, come tante altre donne, rendi questa terra di Calabria bella ed accogliente. Ogni donna e uomo di buon senso dovrebbe essertene grata. Io te ne sono.
(Il Quotidiano della Calabria – 25.06.2014)